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Sechi Salvatore - 1 novembre 1980
NOI E I FASCISTI: (30) Questo sistema politico esclude troppa gente
(Intervista con lo storico Salvatore Sechi)

(a cura di Mino Guerrini, "Giornale di Sicilia", 6 agosto 1980)

SOMMARIO: Una raccolta di scritti sull'antifascimo libertario dei radicali: riconoscere il fascismo vuol dire capire quello che è stato e soprattutto quello che può essere. Troppo spesso dietro l'antifascismo di facciata si copre la complicità con chi ha rappresentato la vera continuità con il fascismo, la riproposizione di leggi e di metodi propri di quel regime.

("NOI E I FASCISTI", L'antifascismo libertario dei radicali

a cura di Valter Vecellio, prefazione di Giuseppe Rippa - Edizioni di Quaderni Radicali/1, novembre 1980)

Dopo lo scatto in piedi e l'indignazione di rito per lo scoppio di Bologna, di nuovo tutti a sedere, per fare salotto, come direbbe Luckacs, sull'orlo del precipizio. Si discute se la vendetta debba prevalere sulla giustizia, l'odio sulla ragione, lo stato forte su quello garantista. Sugli autori dell'eccidio, tutti d'accordo: sono stati loro, i "destri", i "neri", forse addirittura lo sparuto gruppo romano dei NAR. Ed è a questo punto che affiorano domande inquietanti, terribili: e se i NAR o chi per loro, fossero stati soltanto "affittati" per compiere il massacro, se avessero prestato la loro opera a "noleggio", se insomma avessero ucciso a cottimo? E se alle loro spalle ci fossero quelli di sempre, i mandanti di Piazza Fontana, e dell'"Italicus", ignoti oggi come dodici anni fa?

Abbiamo girato queste domande a Salvatore Sechi, docente di storia contemporanea nell'Università di Bologna e di Venezia, collaboratore dei più importanti giornali italiani, autore di diversi volumi, l'ultimo dei quali ("La pelle di zigrino", Cappelli editore, 325 pagine, lire 6.000), in libreria da poche settimane, è un'attenta e poco ortodossa analisi della storia e della politica del PCI.

Domanda: "Allora, professor Sechi, una nuova piazza Fontana? Oppure un nuovo terrorismo?"

Sechi: "Prima di tutto non bisogna insistere su interpretazioni fondate sulla follia criminale di pochi individui e neanche sulla teoria di un cervello unico ma ramificato, cioè "il grande vecchio" di Craxi. Il terrorismo nasce invece dalla costituzione politica e sociale del nostro paese. E per quanto possa sembrare paradossale, esprime addirittura una domanda di politica, di stato, perfino di democrazia. Se non capiamo questo non riusciremo mai a "prosciugare il fiume", cioè l'acqua in cui vive e si nutre".

Domanda: "Ma i terroristi, sia di destra che di sinistra, si dicono mossi da esigenze assai diverse da quelle da lei esposte..."

Sechi: "Credo che quando una classe politica riduce la propria ragione d'essere al compitino in classe (Democrazia uguale Resistenza uguale Costituzione), ebbene si sta suicidando. Una democrazia che esaurisca la propria legittimazione nella pura autodifesa ha infatti bisogno di costruire certezze sul proprio passato: perciò insiste stancamente sulla ideologia, ormai necroforica, delle proprie origini. In realtà ha soprattutto paura di misurarsi fino in fondo con conflitti che nascono dai mutamenti avvenuti nella società. Il punto da cui partire è un'altro: chiedersi perché la matrice sociale accomuni l'estremismo di destra e quello di sinistra".

Domanda: "Risponda lei stesso".

Sechi: "Intanto osserviamo una differenza: il terrorismo di sinistra è selettivo e colpisce il "cuore dello stato" attraverso simboli individuali (magistrati, leader politici, giornalisti...), mentre il terrorismo di destra colpisce nel mucchio, come nel caso di Bologna, e punta sulla strage. Ma l'obiettivo di entrambi è lo stesso: produrre una reazione di massa che porti a uno stato autoritario; per poter poi creare un altro movimento di massa per la sua distruzione".

Domanda: "In questi giorni parecchie voci autorevoli si sono levate per chiedere almeno alcuni strumenti tipici dello stato forte, come la pena di morte..."

Sechi: "Direi che l'uomo della strada è favorevole a certe richieste. E questa è proprio la prova che il "bisogno di stato" del terrorismo fa leva sulla "carenza di stato" che i cittadini avvertono. Si è infatti creata una specie di divaricazione, di forbice, fra i cambiamenti sostanziali avvenuti nel "paese reale", a proposito della cultura, della concezione del lavoro e della democrazia, e quei cambiamenti a pelle di leopardo, cioè discontinui e soprattutto inessenziali, avvenuti nel sistema politico istituzionale, il "paese legale".

Domanda: "Chi ha riempito questo vuoto?"

Sechi: "Sino al '74 il terrorismo di destra e successivamente quello di sinistra. Hanno cercato entrambi di rendere irreversibile questa lacerazione attraverso lo spargimento di sangue. Se non hanno ancora raggiunto l'obiettivo è perché le forze dell'ordine (almeno in parte), la magistratura e le organizzazioni del movimento operaio hanno saputo resistere".

Domanda: "Ma i governi di unità nazionale, sostenuti tanto dalla DC che dal PCI, non hanno forse coinciso con la massima diffusione delle attività eversive?"

Sechi: "Sì. E dipende dal fatto che quei giorni a cui lei accenna non potevano essere una risposta efficiente alla crisi dei rapporti fra movimenti collettivi e istituzionali. Ha finito col vincere la dilazione, l'attendismo, il compromesso. Più in generale, il sistema dei partiti si è considerato l'unico canale di rappresentanza dei mille soggetti sociali (operai, donne, studenti, emarginati, omosessuali) emersi dopo il '68. E così, a fornire copertura silenziosa o massa di manovra al terrorismo sono proprio quanti si sentono esclusi e mal rappresentati dal nostro sistema politico, dove dominano soprattutto gli interessi protetti o dal sindacato o dai partiti".

Domanda: "Lei dunque ritiene che per sconfiggere la politica della violenza siano soprattutto necessarie le grandi riforme?"

Sechi: "Occorre ricostruire la lotta politica sulla base di grandi programmi di trasformazione (il che comporta anche la riforma dell'esecutivo) in modo che ogni forza riacquisti la propria identità e la propria autonomia. E quando parlo di forze non mi riferisco solo ai partiti. Le nuove "potenze sociali" rivendicano infatti con ragione la prerogativa di partecipare, e di decidere, in posizione non subordinata alle segreterie dei partiti. Il rapporto elettori, iscritti ai partiti, mostra infatti che questi ultimi sono una esigua minoranza e che quindi le loro pretese onnicomprensive sono insostenibili".

Domanda: "E intanto, mentre ci dedichiamo a queste trasformazioni, gli altri sparano e piazzano le bombe..."

Sechi: "Occorre che gli apparati preventivi e repressivi dello stato funzionano realmente. Sono state approvate leggi speciali, misure di emergenza, create addirittura figure inedite, come i "testimoni della regina" Peci e Fioroni, che consentono d'individuare e colpire, se lo si vuole fare, burattini e burattinai del terrorismo. Da dieci anni i servizi di sicurezza, la magistratura e la polizia conoscono i teorici e spesso gli esecutori della violenza. I NAR come le BR e l'Autonomia, non sono talpe, ma persone che in opuscoli, riviste, giornali, teorizzano apertamente la lotta armata, l'insurrezione e i disegni eversivi. E' mai possibile che l'autorità "competente" non abbia fatta filtrare qualche "controllore dall'interno"? Quali misure di prevenzione sono state quindi adottate? Le inefficienze degli apparati pubblici, su un terreno così delicato, non rischiano di coprire oggi complicità, e reticenze, se non i veri e propri santuari del terrorismo?"

Domanda: "Dunque solo uno stato forte può formare la democrazia?"

Sechi: "Come dimostra la repubblica di Weimar, la democrazia muore quando nel suo organismo vengono inoculati alti tassi di autorità, ma quando, come oggi in Italia, è assente la democrazia politica capace di governare i conflitti (e non solo di cancellarli o comprimerli, come invece succede spesso) la carenza di autorità (cioè di potere decisionale anche microfisico; sul terreno del quartiere, della scuola, della fabbrica) si trasforma in una domanda reazionaria: cioè un bisogno prepotente dello stato forte"

(a cura di Mino Guerrini, "Giornale di Sicilia", 6 agosto 1980)

 
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