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Pasquino Gianfranco - 21 febbraio 1981
Che cosa hanno da perdere radicali e socialisti
di Gianfranco Pasquino

SOMMARIO: Cessato l'ostruzionismo radicale sul fermo di polizia, inizia la campagna referendaria, che avrà ripercussioni politiche sui rapporti tra radicali e socialisti. E' finita la luna di miele, che vide radicali e socialisti convergere su molte valutazioni fino a fare ipotizzare un appoggio dei radicali al governo Forlani? Ma la difficoltà dei rapporti tra i due partiti è "inevitabile". Ambedue i leaders "puntano alla leadership della sinistra non-comunista". Ma differenze strutturali, diffidenze nelle basi, modelli di iniziativa assai diversi rendono difficile una intesa. I socialisti agiscono secondo la "logica delle mediazioni", i radicali preferiscono presentare "alternative nette". Secondo i socialisti, quella radicale è una logica del "tanto peggio, tanto meglio", per i radicali i socialisti pensano solo alla loro "posizione di governo". E' difficile separare i torti e le ragioni, ma è certo che tutte e due le forze hanno da perdere qualcosa nella spaccatura.

(»Il Messaggero 21 Febbraio 1981 - ripubblicato in "I RADICALI: COMPAGNI, QUALUNQUISTI, DESTABILIZZATORI?", a cura di Valter Vecellio, Edizioni Quaderni Radicali/5, 1981)

Adesso che si è conclusa la vicenda dell'ostruzionismo radicale sul fermo di polizia e che sta per aprirsi ufficialmente la procedura per la campagna elettorale sui referendum, appare opportuno fare il punto sui rapporti radicali-socialisti. Infatti, anche se i referendum non verranno politicizzati dalla contrapposizione tra uno schieramento laico e uno cattolico, uno antidemocristiano e uno democristiano con appoggio dei missini, essi non potranno non avere ripercussioni politiche. E, al momento, le ripercussioni politiche che si annunciano quali più vivaci e interessanti sono per l'appunto quelle nei rapporti tra radicali e socialisti.

E' finita la luna di miele iniziata nel corso della primavera del 1980 quando il segretario socialista promise il suo impegno e quello del suo partito per la raccolta delle firme mancanti al conseguimento della soglia necessaria e firmò egli stesso parecchie richieste e, in uno scambio non esplicito ma evidente, i radicali fecero convergere i loro voti in molte zone sulle liste locali socialiste? E' terminato lo slancio che ha visto radicali e socialisti convergere su molte valutazioni della situazione politica, spesso in chiave anticomunista, fino a fare ipotizzare un appoggio dei radicali al governo Forlani nella fase della sua creazione e un'alleanza vera e propria tra laici di »sinistra (Pr-Psi-Psdi)?

Solo chi ha esagerato l'importanza dei due fenomeni e in generale del ravvicinamento tra radicali e socialisti, dimentico dei contrasti del passato e della diversità di posizioni oltreché della necessità che i due partiti hanno di competere in un'area ristretta può stupirsi del raffreddamento delle relazioni verificatosi negli ultimi tempi. E' vero che non era così facilmente prevedibile l'atteggiamento ostile di un giudice costituzionale socialista ai referendum radicali concernenti la qualità della vita. Ma è anche vero che Craxi non poteva immaginare che Pannella intendesse candidarsi alla presidenza del Consiglio sull'onda dei referendum.

Al di là, peraltro, di elementi contingenti, la difficoltà nei rapporti tra radicali e socialisti è, allo stato delle cose e per un periodo di tempo non breve, inevitabile. Anzitutto per le prospettive concrete dei due leaders. Infatti entrambi puntano alla leadership della sinistra non-comunista. Pannella intende probabilmente svolgere il ruolo di federatore della sinistra e sull'onda dei movimenti collettivi ripetere in Italia il successo che Mitterrand ha avuto in Francia riunificando i tronconi della sinistra laica e di »movimento . Dal canto suo Craxi deve rimontare la china elettorale e di quei movimenti e dell'appoggio dei radicali ha sicuramente bisogno a questo fine. Ancor più, ovviamente, se punta alla guida del governo. I due progetti o vengono coordinati tra di loro oppure sono destinati a scontrarsi.

Il coordinamento non appare facile; lo scontro è in parte nella natura della dinamica politica: dei due gruppi e dei loro progetti. Il coordinamento richiede la subordinazione, almeno temporanea, di uno dei due leaders o, quantomeno, una riconosciuta e esplicita divisione del lavoro politico. Lo scontro affonda le sue radici nella natura dell'organizzazione radicale e socialista. Mentre i radicali tentano una diffusione attraverso un appello esplicito all'elettorato d'opinione, svincolato dai due grandi partiti di massa, e utilizzano spregiudicatamente i mezzi di comunicazione, i socialisti hanno anch'essi bisogno di quegli elettori ma la loro organizzazione e la loro collocazione politica impediscono loro la libertà di manovra che hanno i radicali. E' vero che non tutti i voti in più ottenuti dai socialisti nelle elezioni amministrative del giugno 1980 sono voti radicali ma è anche vero che l'apporto socialista alla raccolta delle firme non fu molto consistente. Una certa diffidenza tra i due raggruppamenti

permane, anche a livello della base. Ed è sotto molti aspetti inevitabile che sia così tra un partito che si presenta come movimento, quello radicale, ed un partito la cui organizzazione rimane pletorica, spesso burocratizzata, altrettanto spesso impacciata.

I socialisti giustificano questi impacci e alcune scelte fortemente criticabili, dalla lottizzazione alle mancate firme sul caso Gioia, con la necessità di mantenere fede all'impegno preso con gli elettori, riassumibile nel garantire la governabilità del Paese. Per dirla con Max Weber i socialisti ritengono di operare secondo l'etica della responsabilità, tenendo conto delle compatibilità e cercando di mantenere un equilibrio nelle loro iniziative. La verità è, dicono i radicali, che i socialisti si preoccupano soltanto della loro posizione di governo e del loro peso elettorale. I radicali sostengono che in un sistema politico come quello italiano è indispensabile, per cambiare e progredire, agire senza tenere conto della logica delle mediazioni ma mirando diritti al fine. Le iniziative referendaria che impongono scelte drastiche rendono impossibili le mediazioni, obbligano partiti ed elettori a confrontarsi senza veli con alternative nette. Questa logica, ritorcono molti socialisti, deriva dall'etica della

convinzione, è scarsamente adatta alla situazione politica italiana, finisce per costeggiare la riva del »tanto peggio, tanto meglio . I radicali emergono come irresponsabili che in Parlamento e nella società, sui mezzi di comunicazione di massa e nelle dimostrazioni di piazza impediscono utili, indispensabili mediazioni.

Il torto e la ragione di queste argomentazioni non possono essere separati con un coltello. Resta che, dal punto di vista delle conseguenze, se i rapporti tra radicali e socialisti rimangono tesi, entrambi hanno qualcosa da perdere. I radicali si giocano probabilmente l'appoggio dei socialisti su alcuni referendum (e fors'anche su prossime richieste); i socialisti rischiano sia di perdere i voti radicali in molte consultazioni amministrative sia di non pervenire a un fecondo accordo per il rinnovo del consiglio comunale di Roma. L'accentuazione di cosa divide radicali e socialisti rispetto a che cosa li unisce finirà per avere gli stessi effetti negativi che ha avuto l'accentuazione degli elementi di divisione tra socialisti e comunisti.

 
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