Radicali.it - sito ufficiale di Radicali Italiani
Notizie Radicali, il giornale telematico di Radicali Italiani
cerca [dal 1999]


i testi dal 1955 al 1998

  RSS
ven 26 apr. 2024
[ cerca in archivio ] ARCHIVIO STORICO RADICALE
Archivio Partito radicale
Stanzani Sergio - 25 febbraio 1982
Le "responsabilità" dei politici nell'affare "Giannettini"
di Sergio Stanzani Ghedini

SOMMARIO: La relazione di minoranza del senatore radicale Sergio Stanzani Ghedini, presentata alla presidenza delle Camere il 25 febbraio 1982, relativa al procedimento d'accusa, davanti all'Inquirente, contro i deputati Andreotti, Rumor e Tanassi, in ordine ai reati di cui questi si erano resi responsabili testimoniando a Catanzaro nel processo per la strage dl piazza Fontana. L'Inquirente scagionò completamente gli accusati, nonostante schiaccianti fossero le prove della loro volontà d'impedire l'accertamento della verità.

(QUADERNI RADICALI, Bimestrale Politico, N. 14/15, Luglio-Ottobre 1982)

PARTE I.

Le responsabilità politiche del Governo furono investite del caso Giannettini in due successive circostanze:

1) quando il giudice di Milano D'Ambrosio chiese al capo del Sid, con apposita lettera (27 giugno 1973), che venisse precisato se Giannettini era o non era agente del Servizio;

2) quando, dopo la risposta del Sid, la Magistratura di Milano chiese per le vie ufficiali al Ministero di grazia e giustizia di riesaminare il problema e di fornire una risposta precisa.

Vediamo dunque i diversi atti di questa vicenda, nel volgersi del tempo; quali atteggiamenti assumono i diversi protagonisti, sia militari sia politici; quali fondati indizi di una attiva responsabilità dei politici si desumano dalla ricostruzione logica e cronologica dei fatti.

Primo atto (riunione dei generali)

Ricevuta la richiesta del giudice D'Ambrosio, il capo del Sid decise di chiedere il parere dei tecnici del servizio per prospettare il problema (con lo stesso parere) al Ministro della difesa per la decisione. Le testimonianze dei militari partecipanti alla riunione sono tutte concordanti nel ricordare che il generale Miceli giustificò in questo modo la richiesta del parere.

La riunione si svolse a Palazzo Baracchini (nella stessa sede in cui era ubicato l'ufficio del ministro) e vi parteciparono:

i generali Terzani (vice capo del Sid), Maletti (capo reparto D), Alemanno (capo ufficio tutela del segreto) e il colonnello D'Orsi (capo della sicurezza interna);

il generale Malizia, consulente giuridico del Ministro della difesa (Magistratura militare);

il colonnello Castaldo, consulente giuridico dell'ammiraglio Henke, cioè del capo di stato maggiore della difesa.

Il capo del Sid aveva disposto la partecipazione di Malizia e di Castaldo proprio in funzione della prevista presentazione del problema - per la decisione - sia al Ministro sia al capo di stato maggiore della difesa.

La procedura speciale adottata da Miceli ha diverse motivazioni, tutte rilevanti, anche a prescindere dalla delicatezza e gravità del problema del possibile coinvolgimento di un collaboratore dei servizi nelle responsabilità della strage di piazza Fontana.

Tutte queste motivazioni convergevano nell'escludere una risposta autonoma del Sid, quale si era avuta in altri casi:

Giannettini aveva prestato la sua opera come giornalista presso gli stati maggiori ed aveva frequentato i Gabinetti dei Ministeri (Andreotti, etc.);

Giannettini era stato in diretto contatto con il generale Aloia (allora capo di stato maggiore della difesa), il quale lo aveva fatto inserire nel Sid (durante la gestione Henke);

Giannettini per incarico degli stati maggiori (Aloia) aveva partecipato a riunioni dimostrative Nato (sperimentazione di mezzi: carri armati, etc.);

Giannettini, al Sid, era stato amministrato direttamente al livello dei generali capi del Reparto D (Viola Gasca Maletti) dopo essere stato »inserito nel Servizio da Aloia e quindi da Henke.

Tutto ciò investiva non solo la responsabilità dell'autorità militare ma anche di quella politica (al capo di stato maggiore della difesa era affidata la sovraintendenza sul Sid - il Sid dipendeva direttamente dal Ministro): perché si trattava di agente che aveva operato in precedenti gestioni e perché aveva avuto i contatti già menzionati.

Lo scopo della riunione era quello di vagliare e di mettere a confronto da una parte la delicatezza e la gravità dell'indagine svolta dalla Magistratura e, dall'altra, le ripercussioni che la rivelazione dell'identità di un agente avrebbe potuto avere sul servizio.

A sostegno della versione fornita dal generale Miceli, occorre inoltre tenere presente le seguenti circostanze:

1) la riunione si svolge senza alcuna precauzione in ordine alla segretezza. Del resto la presenza di Malizia e di Castaldo (non appartenenti al Sid) è indicativa proprio di un intendimento volto ad un esame approfondito di tutti gli aspetti del problema (aspetti tecnici politici giuridici) piuttosto che alla ricerca di un parere »addomesticato o comunque »tritato nei meandri del servizio segreto;

2) in particolare la presenza di Malizia e di Castaldo dava la relativa certezza che gli stessi - indipendentemente dal canale ufficiale, Sid Ministro e capo di stato maggiore della difesa - avrebbero riferito alle autorità cui erano rispettivamente affiancati (era loro dovere farlo). E ciò per quanto riguarda il generale Malizia è effettivamente avvenuto, per ammissione dello stesso Tanassi;

3) è da aggiungere a tutto ciò il fatto che secondo le norme vigenti la Magistratura avrebbe potuto impugnare la risposta del Sid rivolgendosi direttamente (come del resto ha fatto) all'Autorità politica;

4) il capo del Sid introdusse il problema ma non partecipò alla discussione, perché chiamato da altra più urgente esigenza. Al termine della discussione i partecipanti si recarono nell'ufficio del capo del Sid per dire che a loro avviso bisognava prospettare all'Autorità politica la opportunità di opporre il segreto.

In particolare il magistrato militare Malizia suggerì che la risposta dovesse lasciare intendere il si, pur opponendo ufficialmente il segreto. Cioè, secondo Malizia, bisognava solo dire: »non possiamo rispondere alla domanda .

Il capo del Sid accolse il parere scaturito dalla riunione e disse che lo avrebbe presentato al Ministro.

In quel periodo nessun provvedimento di carattere giudiziario gravava ancora su Giannettini. Non era nemmeno »indiziato di reato.

Secondo atto (autorizzazione dell'Autorità politica)

Dopo la riunione il capo del Sid, secondo le plausibili deposizioni dello stesso generale Miceli, mise al corrente di tutto il Ministro della difesa, che dichiarò di essere d'accordo e che avrebbe parlato con il Presidente del Consiglio per la decisione definitiva.

In un secondo colloquio Tanassi disse al capo del Sid che anche il Presidente era d'accordo e autorizzava la risposta. In un terzo colloquio il capo del Sid fece vedere al Ministro, per l'approvazione, la bozza della lettera diretta al Magistrato di Milano. Il Ministro approvò.

Miceli colloca gli ultimi due colloqui in date vicine a quella del 12 luglio, cioè alla data di partenza della lettera di risposta.

La lettera ricalcava il suggerimento di Malizia. In sostanza, si opponeva un NI lasciando capire che Giannettini era un informatore (... non possiamo rispondere alla domanda).

Terzo atto (la Magistratura interessa il Governo)

Come si prevedeva la Magistratura di Milano non gradì il »ni e chiese per le vie ufficiali al Ministro di grazia e giustizia (Zagari) di rivedere il problema per una risposta precisa.

Ciò accadde circa un mese e mezzo dopo, cioè nel settembre 1973.

Zagari presentò la richiesta della Magistratura al Presidente del Consiglio Rumor, che promise che ne avrebbe parlato con Tanassi.

Ma nulla venne fatto. Il silenzio coprì la richiesta.

Né di questo fatto venne a suo tempo informato il capo del Sid (il quale se lo avesse saputo avrebbe certamente disposto il riesame della questione).

Quarto atto (nuovo avallo)

Nell'ottobre 1973 (circa tre mesi dopo l'invio della nota lettera) l'ammiraglio Henke fu chiamato a deporre presso il giudice D'Ambrosio.

In questa occasione il capo di stato maggiore della difesa oppose il segreto sulla questione Giannettini in aderenza al contenuto della nota lettera del Sid.

Ed è da sottolineare che l'ammiraglio Henke, prima e dopo il colloquio con il giudice D'Ambrosio, si recò dal Ministro Tanassi per concordare la »sua linea e per informarlo.

Ed è anche da sottolineare che ciò accadde dopo che la Magistratura aveva inviato a Zagari la precisa richiesta di chiarimento.

Quinto atto (mandato di cattura per Giannettini)

Nel gennaio 1974, venne spiccato il mandato di cattura nei riguardi di Giannettini.

Il capo del Sid dispose che il caso venisse riesaminato. Il generale Alemanno (il tecnico della tutela del segreto) riprese in mano la questione in coordinamento con gli altri capi reparto e con Malizia (consulente giuridico del Ministro). Alla fine si uniformò al parere di quest'ultimo: »lasciare le cose come stavano in attesa di una specifica nuova richiesta della Magistratura .

Ma la richiesta non venne.

Anche di ciò fu informato il Ministro della difesa. Mentre da parte del Presidente del Consiglio (nonostante le precedenti »attivazioni ricevute e nonostante lo sviluppo di una campagna di stampa che lo chiamava in causa) non proveniva alcun segno.

Anche il Ministro di grazia e giustizia tace.

Sesto atto (Andreotti, Ministro della difesa)

Nel marzo 1974, dopo tanti mesi durante i quali i giornali parlavano del caso Giannettini, Andreotti assunse il dicastero della Difesa, con Rumor Presidente del Consiglio.

Come di regola il capo del Sid in diversi colloqui »inquadrò il nuovo Ministro. In particolare gli presentò tutti gli aspetti della vicenda Giannettini: ciò che era stato fatto etc.

Anche il capo di stato maggiore della difesa Henke fece lo stesso.

In particolare nel mese di maggio dello stesso anno, poiché la Magistratura di Milano (dopo il mandato di cattura) non aveva inviato alcuna specifica richiesta al Sid, sia il capo del servizio, sia Henke sostengono di aver invitato Andreotti a parlare con Rumor al fine di »sciogliere la cosiddetta opposizione del segreto.

Ma il nuovo Ministro della difesa anziché seguire la prassi regolamentare, preferì rivelare il cosiddetto »segreto mediante una intervista giornalistica (Caprara) in cui, tra l'altro, diceva chiaramente che la decisione della »opposizione del segreto era stata presa dal potere politico (Presidente del Consiglio).

Settimo atto

Dopo l'intervista di Andreotti sono state presentate interrogazioni da Pecchioli (19 giugno 1974) e Signori (24 settembre 1974) per conoscere i particolari della vicenda. Ma il Governo non ha risposto Rumor Presidente, Andreotti Ministro della difesa).

Lo stesso Andreotti in Commissione Difesa della Camera (1974: 4 e 5 luglio, 13 agosto e 24 ottobre) non ha mai smentito quanto aveva detto a Caprara sulle responsabilità dell'Autorità politica. Né ha fatto tale smentita in occasione di altre numerose interviste sullo stesso argomento rilasciate a quotidiani ed a settimanali.

Né è stata svolta alcuna azione da Rumor per una smentita o un chiarimento rispetto alle responsabilità che gli erano state attribuite da Andreotti.

Le norme in vigore sui rapporti Sid Governo

Le norme allora in vigore che regolavano il rapporto Sid Governo stabilivano un rapporto diretto Sid capo di stato maggiore della difesa e Sid Ministro della difesa Presidente del Consiglio. Questo rapporto è insieme gerarchico e funzionale. I rapporti fra il Sid e i Ministri dell'interno e degli esteri, per informazioni e affari che investissero la loro competenza, dovevano passare comunque attraverso l'autorizzazione del Ministro della difesa.

Tali norme sono contenute nell'articolo 2 del decreto presidenziale 18 novembre 1965, n. 1477, e nella circolare Tremelloni del 25 giugno 1966.

Il decreto del Presidente della Repubblica 18 novembre 1965, n. 1477, all'articolo 2, lettera g), stabiliva:

»Il capo di stato maggiore della difesa sovraintende al servizio unificato di informazioni delle forze armate il quale provvede, a mezzo dei propri reparti, uffici ed unità ai compiti informativi di tutela del segreto militare e di ogni altra attività di interesse nazionale per la sicurezza e la difesa del paese, attuando anche l'opera intesa a prevenire azione dannosa al potenziale difensivo del paese .

All'articolo 2, lettera d), stabiliva:

»Il capo di stato maggiore della difesa dipende direttamente dal Ministro della difesa .

Una circolare Tremelloni del 25 giugno 1966 stabiliva:

»Il Ministro della difesa in quanto responsabile della politica informativa, controinformativa e di sicurezza ha il diretto controllo del Sid.

Il capo di stato maggiore della difesa dà al capo del Sid le direttive... Il capo del Sid riferisce periodicamente al capo di stato maggiore della difesa sulla attività svolta...

Il Presidente del Consiglio e il Ministro della difesa possono chiedere al capo del Sid notizie che interessino la sicurezza nazionale; il Ministro della difesa può altresì disporre che informazioni sullo stesso oggetto siano direttamente fornite al Ministro dell'interno o al Ministro degli affari esteri.

Gli uffici e il personale del Sid non possono compiere indagini che non riguardino... né possono fornire notizie a uffici, enti o persone diverse dalle autorità sopraindicate.

Gli ufficiali e i dipendenti del Sid che violino il dovere del segreto ovvero svolgono attività informative in contrasto con quanto è sopra stabilito, debbono essere immediatamente allontanati dal servizio .

PARTE II

A questa ricostruzione dei fatti, si oppone il diniego generalizzato su tutta la linea, del Ministro Tanassi e del Presidente del Consiglio Rumor, anche se non esente da contraddizioni e significative ammissioni, e anche se contraddetto, prima che dalle affermazioni che appaiono reticenti, dal comportamento del Ministro Andreotti dopo che questi assunse la responsabilità del dicastero della difesa.

Vediamo il comportamento dei politici nei diversi processi e davanti all'Inquirente.

Processo di Catanzaro

Tanassi: dice di non essersi mai occupato di un caso Giannettini né di esserne mai stato informato. Si contraddice. E tra i »sì e i »no ammette di averne parlato in almeno due circostanze: con Malizia (suo consigliere giuridico) a proposito della riunione indetta dal capo del Sid; con l'ammiraglio Henke a proposito del colloquio che questo ebbe con il giudice D'Ambrosio, successivamente alla richiesta rivolta al Ministro Zagari.

In particolare dice di »non ricordare nulla circa i colloqui con il capo del Sid. Dice di non averne mai parlato né con Zagari né con Rumor.

Zagari: dice di aver dato in visione a Rumor la richiesta della Magistratura di Milano. E di averne atteso invano una decisione o una qualsiasi risposta.

Rumor: »non ricorda niente . Si contraddice più volte e rischia di essere incriminato. Quanto al colloquio con Zagari, che lo informò della richiesta della Magistratura milanese, non lo esclude recisamente, ma afferma, anche qui, di non ricordare.

Andreotti: smentisce Caprara ma solo sul punto di una riunione a livello ministeriale che si sarebbe svolta a Palazzo Chigi, come aveva inteso Caprara dal colloquio con Andreotti, per decidere l'opposizione del segreto. E aggiunge di non essere stato mai informato sul caso Giannettini.

I militari: raccontato i fatti come stati riferiti in precedenza (Riunione dei generali. Prassi seguita dal capo del Sid).

Sia in corte d'assise sia in appello l'atteggiamento dei politici è stato severamente stigmatizzato.

Nelle stesse sedi non sono state, nella procedura seguita e sul caso specifico, attribuite colpe al Sid (considerato nel suo complesso), ma sono stati mossi specifici addebiti solo a Maletti che ha amministrato direttamente Giannettini.

Processo di Potenza

Si trattava di assolvere Malizia. Con questa assoluzione la posizione dei politici sarebbe migliorata.

Nel processo: è presente la difesa di Malizia. Gli altri sono tutti testimoni.

I problemi esaminati a Potenza furono:

qual'era la prassi vigente per la opposizione del segreto;

se Malizia era stato oppure no il tramite tra la Difesa e la Presidenza del Consiglio per la definizione del caso Giannettini.

Tali argomenti »non toccano la responsabilità dei politici. Si tratta di altri aspetti, riguardanti le sole responsabilità di Malizia.

Circa la prassi è da sottolineare che lo stesso Andreotti ha detto più volte anche in Commissione Difesa (4 5 luglio 1974) che l'opposizione del segreto era di competenza del Presidente del Consiglio. Ed Henke ha più volte dichiarato che la prassi seguita dal Sid era giusta. Inoltre, come già indicato, Giannettini era un caso particolare che richiedeva l'attenzione dell'autorità politica (e così è stato fatto).

Per quanto riguarda il »ruolo sostenuto da Malizia (quale tramite tra la Difesa e la Presidenza del Consiglio) nessuno dei testimoni aveva mai fornito indicazioni precise. Il »ruolo , in effetti, veniva esercitato sulla base di accordi diretti, tra l'interessato e il Ministro. Comunque anche questo aspetto non aiuta a definire le responsabilità dei politici, in quanto era Tanassi (e solo Tanassi) I'interlocutore ufficiale dei militari.

Rimane, nonostante l'assoluzione di Malizia, tutto il problema dei politici. Nel processo non sono stati esaminati i fatti, né le successive »prove del nove come ad esempio la vicenda Zagari Rumor.

A Potenza, in particolare, sono state scavalcate tutte le indicazioni che erano state acquisite in anni di lavoro dai tribunali di Milano e successivamente di Catanzaro.

Milano. Istruttoria del giudice Fenizia

Questa istruttoria si è conclusa con l'invio della documentazione alla Camera dei Deputati.

Fenizia, nella sua relazione, conferma, in sostanza, per quanto riguarda la partecipazione dei politici, i giudizi espressi dalla Magistratura di Catanzaro.

Se nella sua ricostruzione dei fatti e nella ampia argomentazione giuridica, il giudice Fenizia espone i pro e i contro e sulla sussistenza del reato di favoreggiamento (sia per i politici che, a maggior ragione, per i militari) propende per una risposta negativa, sulla partecipazione dei politici alla opposizione del segreto la sua relazione è nettamente per una risposta positiva, in particolare per quanto riguarda il primo capitolo di questa vicenda (risposta alla prima richiesta della Magistratura milanese rivolta direttamente al Sid).

Rileggiamola:

»E oltremodo significativo, d'altra parte, e non può essere sottovalutato, il fatto che se è vero che per gli altri casi il segreto non fu concordato con autorità politiche, è pure vero che per questi non fu neppure indetta un'apposita riunione ai più alti vertici dello stesso Sid, con la partecipazione addirittura dell'ammiraglio Castaldo, in rappresentanza dello Stato maggiore della difesa, e dello stesso generale Malizia che doveva ben chiarire gli aspetti giuridici (e perché in questo caso e non gli altri?) della questione.

Non v'è dubbio che questo caso fu trattato come 'peculiare', sicché ogni riferimento a casi e normative diverse non può essere particolarmente significativo.

L'esclusione della partecipazione politica, pure sostenuta in tempo non sospetto, non può dunque essere sicuramente affermata, tanto più che la stessa lettera di risposta fu fatta siglare - a differenza di altri modi di opposizione del segreto - dallo stesso ammiraglio Henke.

Ma vi è di più perché è stata rinvenuta una bozza della lettera di risposta che l'ammiraglio Casardi, successore di Miceli al Sid, ha trasmesso alla corte di Catanzaro con nota 6 ottobre 1977. Tale bozza, che reca la data del 4 luglio 1973, presenta a destra in alto l'annotazione con grafia e sigla del generale Miceli 'bozza approvata dal signor Ministro e dal capo di stato maggiore della difesa' ed in basso a sinistra la sigla dell'ammiraglio Henke. Riceve quindi significativa conferma l'assunto della partecipazione ministeriale, perché in epoca non sospetta non si spiegherebbe in alcun modo una annotazione palesemente falsa da parte del generale Miceli. Costui, per vero, risulta in modo inconfutabile che non aveva mostrato alcun personale interesse, nella riunione militare, per una soluzione piuttosto che per un'altra: dopo aver esposto i termini della questione e la richiesta del giudice istruttore, si era addirittura allontanato senza neppure esporre il suo personale parere, sicché tornò poi solo per pre

ndere atto della decisione, che senza dubbio egli stesso condivise - visto che firmò la lettera di risposta - ma che comunque non determinò in alcun modo. Non si vede in questo momento perché precostituirsi un avallo politico che non avrebbe richiesto, quando attraverso la prevedibile procedura di rimozione del segreto avrebbe potuto pubblicamente ed immediatamente essere smascherato e la falsità della annotazione sulla bozza e delle sue assicurazioni ai colleghi essere facilmente svelata.

D'altra parte, ancora, vista la decisione unanime dei militari e lo stesso sicuro parere del consulente giuridico del Ministro, non v'era ragione di annunciare una approvazione politica che non si aveva intenzione di richiedere, perché con assoluta prevedibilità non vi era motivo alcuno per l'Autorità politica di discostarsi dal parere già concordato.

Del resto l'Autorità fu ben investita del problema e nessuno ha contestato al Miceli di aver palesato a suo tempo una approvazione inesistente.

E ben vero, d'altra parte, che probabilmente l'articolo di Caprara sul Mondo è stato male interpretato, in quanto ivi si fa riferimento ad un segreto opposto non sulla qualità di Giannettini ma addirittura su di un rapporto inviato da costui sulla strage, il che è profondamente inesatto, a dimostrazione, pertanto, della possibile confusione di notizie effettuata dal Caprara, ma è pure vero, peraltro, che l'onorevole Andreotti in dibattimento ha pur sempre parlato di sede politica superiore con riferimento alla opposizione del vero segreto eccepito .

Deposizioni davanti alla Inquirente

Tanassi, Rumor e Andreotti non si discostano, nelle deposizioni davanti all'Inquirente, da ciò che avevano dichiarato davanti ai giudici. Il diniego generalizzato, su tutta la linea, viene confermato da parte di Tanassi e Rumor. Anche Andreotti conferma in buona sostanza le precedenti deposizioni.

Anche Zagari, all'epoca Ministro della giustizia, conferma le sue precedenti deposizioni, contrastanti con quelle di Rumor.

Quando si apre il secondo capitolo di questa vicenda, con la inchiesta da parte dell'autorità giudiziaria rivolta direttamente al Governo, di non celarsi dietro il segreto e di correggere e precisare la precedente risposta, il Ministro Zagari:

1) attende oltre un mese il parere legale del suo Gabinetto, il quale parere, oltre a sostenere le ragioni della precedente risposta, consiglia il Ministro e il Governo di disattendere la richiesta del magistrato adducendo che non rientrava nell'ipotesi dell'articolo 352 del codice di procedura penale;

2) ritiene di dover avere un colloquio diretto con il giudice D'Ambrosio sull'argomento;

3) ha infine il colloquio con il Presidente del Consiglio Rumor, alla presenza del suo Capo di Gabinetto dell'epoca.

Fin qui le conferme. Ma nella deposizione di Zagari davanti all'Inquirente ci sono anche due fatti nuovi:

1) Zagari afferma di aver avuto anche un secondo colloquio, su questo argomento, con Rumor;

2) Zagari sostiene di essersi voluto attenere alla citazione di fatti che avevano un sicuro riscontro (primo colloquio con Rumor, alla presenza del capo di gabinetto Altavista) senza citare altri avvenimenti che non potevano essere provati, ma informa l'Inquirente di essersi interessato alla questione - oltre che nella sua veste di Ministro destinatario per competenza della richiesta della Magistratura - anche come uomo politico e come rappresentante all'interno del Governo di un partito. Informa a questo proposito di aver informato della questione sia il Presidente del suo partito Pietro Nenni, sia il capo della delegazione socialista al Governo, Francesco De Martino. E fa capire abbastanza chiaramente che, non solo la questione generale delle responsabilità dei servizi segreti in ordine al terrorismo, ma anche la rimozione del segreto sul caso Giannettini furono oggetto di rapporti politici, ed anche di contrasti, all'interno della maggioranza.

I rapporti tra il Sid e Giannettini e tra Giannettini e Ventura

Occorre inoltre tener presente che, già nella riunione dei generali, indetta da Miceli, la Magistratura milanese aveva portato a conoscenza del Sid il fatto che nella casa di Ventura erano stati trovati rapporti informativi prima attribuiti a un fantomatico servizio rumeno e poi rivelatisi come i rapporti informativi inviati da Giannettini al Sid e consegnati in copia a Ventura.

Ora delle due l'una: o Giannettini era autorizzato a consegnare questi rapporti (e allora anche Ventura era informatore e collaboratore del Sid) oppure Giannettini non era autorizzato, e portava a conoscenza di documenti segreti e di note informative dei terzi con cui era in contatto per le ragioni del suo ufficio (ed era quanto meno sospettabile di essere un agente infedele). Questo fatto connotava di particolare importanza la richiesta della Magistratura inquirente milanese, soprattutto per il ruolo da questa attribuito a Giovanni Ventura. Il problema non poteva essere in nessun modo liquidato con l'argomento che Giannettini era un personaggio secondario (e le procedure speciali seguite dimostrano il contrario) o che era una »scarsissima fonte , di trascurabile interesse per il Servizio.

Conclusioni dell'Inquirente

La Commissione Inquirente scagiona completamente i politici: »non hanno saputo nulla .

»In ordine a tali reati è emerso, infatti, in modo indubbio, che la opposizione del segreto politico militare da parte del Sid al giudice istruttore di Milano non fu preventivamente né discussa, né tantomeno concordata con le competenti autorità politiche, per cui, esclusa qualsiasi intesa preventiva, si deve concludere che la decisione collegiale dei responsabili (nei vari settori) del Sid fu assunta in modo autonomo sulla base di valutazioni tecniche. Pertanto la corresponsabilità dei politici non potrebbe essere riguardata che a posteriori, sotto il profilo di una successiva adesione alla decisione del Sid. Ma al riguardo si deve osservare:

in fatto: che nessun elemento di prova è stato acquisito a conferma di tale tesi, in quanto l'unica voce in tal senso - quella del generale Miceli che, peraltro, si limita ad affermare di avere informato della decisione presa dal Sid il Ministro della difesa onorevole Tanassi - non ha trovato il necessario riscontro in una serie di indizi univoci e convergenti;

in diritto: che i reati sono punibili a titolo di dolo, dolo che implica da parte dei politici, la duplice consapevolezza che Giannettini era coinvolto nella strage di Piazza Fontana e che, comunque, il segreto politico militare era opposto dal Sid per »coprire Giannettini o, più in generale, per ostacolare le indagini sulla predetta strage, o per impedire che su di essa si facesse piena luce .

PARTE Ill

Le responsabilità di Tanassi

Secondo le conclusioni della maggioranza dell'Inquirente, la ipotesi di una partecipazione dei politici alla decisione si reggerebbe solo sulla deposizione di Miceli, priva di ogni riscontro. E vero, al contrario, che tutti i riscontri esistono, esistono una serie di indizi convergenti che convalidano la deposizione di Miceli. Ma, senza tenerne conto in alcun modo conto, la Commissione si affida solo alle deposizioni di Tanassi.

Sembra quasi che si tratti solo di due deposizioni contrastanti che si elidono a vicenda. Anche così l'assoluzione di Tanassi imporrebbe il beneficio del dubbio, a favore di Miceli. Ma non è così. La Commissione non tiene conto:

I ) del fatto che sia Malizia che Castaldo avrebbero riferito rispettivamente al Ministro e al capo di stato maggiore della difesa (come effettivamente fecero) e quindi avrebbero riferito che Miceli avrebbe dovuto presentarsi al Ministro con il parere per ottenerne I 'autorizzazione;

2) del fatto che la magistratura milanese avrebbe potuto (come in effetti ha fatto), ricevuta la elusiva risposta del Sid, rivolgersi direttamente al Governo. E in questo caso l'abuso commesso da Miceli gli sarebbe stato contestato;

3) della bozza inviata dall'ammiraglio Casardi, in cui è scritto di pugno di Miceli che la opposizione del segreto è autorizzata dal Ministro, e in cui compare la sigla di Henke;

4) del fatto che anche Henke, come poi Tanassi, affermò davanti al giudice istruttore di Catanzaro di non essere stato investito della questione da Miceli, ma di averla appresa dal suo consigliere Castaldo; di più, affermò che, se ne fosse stato investito, avrebbe fatto valere la tesi sostenuta da Castaldo nella famosa riunione del parere favorevole allo scioglimento del segreto; ma questa sua categorica affermazione fu poi clamorosamente smentita in dibattimento dalla sigla apposta sotto la bozza della lettera inviata alla corte di Catanzaro da Casardi. Perché lo stesso non dovrebbe essere accaduto per Tanassi? Solo per il fatto che, a differenza di quelli con il capo di stato maggiore della difesa, i rapporti del capo del Sid con il Ministro non erano in alcun modo formalizzati?

5) del fatto che tutte le dichiarazioni di Tanassi appaiono deliberatamente rivolte a »scansare le responsabilità , e che in più punti contraddicono l'asserita assoluta estraneità del Ministro alla decisione (anzi alle fasi successive di una decisione presa e poi confermata).

In definitiva la Commissione non si preoccupa neppure di scardinare l'argomentazione del giudice Fenizia, prima citata, sulla partecipazione dei Ministri alla decisione; e soprattutto, non solo non risponde, ma neppure si pone la domanda: perché Miceli avrebbe dovuto annunciare e mettere in atto una procedura, rivolta esclusivamente a millantare una copertura politica che poteva essere smentita in qualsiasi momento e che gli poteva essere contestata?

Non solo non esiste la manifesta infondatezza delle responsabilità di Tanassi, ma esistono dunque fondati e convergenti indizi che portano a far ritenere che il parere del Sid fu condiviso dal Ministro della difesa, il quale autorizzò - sulla base di tale parere - l'opposizione del segreto. E a questa serie di convergenti indizi si collega, in un momento decisivo - dopo che era partita dalla Magistratura milanese la seconda richiesta, rivolta questa volta direttamente al Governo - il consenso, non sappiamo se esplicito o implicito dato all'ammiraglio Henke dallo stesso Tanassi, per sua ammissione ai giudici di Catanzaro, dl continuare a negare la collaborazione all'autorità giudiziaria, quando l'ammiraglio Henke fu chiamato a deporre davanti al giudice D'Ambrosio.

Le responsabilità di Rumor

Circa le responsabilità di Rumor, bisogna distinguere i due momenti delLa opposizione del segreto: quello successivo alla richiesta del giudice milanese al Sid; e quello successivo alla richiesta rivolta direttamente al Governo, dopo la risposta del Sid.

Gli stessi concordanti indizi che portano a concludere per la partecipazione di Tanassi, portano infatti alla stessa conclusione per quanto riguarda la partecipazione del Presidente del Consiglio. Portano cioè a concludere che Tanassi informò della questione il Presidente del Consiglio.

Occorre tuttavia rispondere a due domande preliminari:

I) chi era il Presidente del Consiglio;

2) se si è svolta a Palazzo Chigi una riunione per l'opposizione del segreto.

Quanto alla prima domanda Rumor ha sostituito Andreotti nell'incarico di Presidente del Consiglio, il 7 luglio 1973. La riunione dei generali del Sid si è svolta il 30 giugno (così risulta dalle testimonianze) e la risposta è partita con lettera in data 12 luglio.

Con chi ha parlato Tanassi? Con Andreotti o con Rumor? Non è possibile rispondere a questa domanda, sulla base di testimonianze, perché ambedue i politici negano di aver saputo qualcosa.

Un approfondimento potrebbe partire da un preciso dato: Tanassi fino al 7 luglio ricopriva due incarichi, quello di Ministro della difesa e quello di vice presidente del Consiglio.

Quanto alla riunione di Palazzo Chigi, su questa questione si è discusso a lungo e si è perso molto tempo. Ma in effetti si tratta di un aspetto che non ha importanza.

Infatti per l'opposizione del segreto (caso Giannettini) non era necessaria una riunione. Queste cose si risolvono con un colloquio diretto tra il Ministro della difesa e il Presidente del Consiglio (come certamente è avvenuto).

Non vale quindi il giudizio semplicistico secondo il quale non vi sono prove circa la riunione e conseguentemente non si può dire che il Presidente del Consiglio fosse a conoscenza del caso.

Non è necessario soffermarsi invece sulle norme che regolavano all'epoca la competenza sul segreto. I Ministri interessati vi si sono soffermati a lungo per altro con tesi differenziate se non addirittura divergenti, corrispondenti ai differenti, se non divergenti, interessi personali da difendere. Ciò che conta, infatti, come risulta da tutti gli atti esaminati, e come è stato già messo in rilievo nel corso di questa relazione, è la procedura speciale seguita in questa circostanza, dovuta evidentemente sia alla personalità del Giannettini, sia alla delicatezza e gravità della vicenda (Strage di Piazza Fontana).

In questa prima fase della opposizione del segreto può farsi valere a favore di Rumor, il beneficio del dubbio: per la difficoltà di individuare il Presidente del Consiglio, fra Rumor e Andreotti; per la confusione creata dalla crisi di Governo e dall'avvicendamento perché sia avvalendosi della impressione delle norme sulla competenza sia del fatto che fino al 7 luglio era vice presidente del Consiglio, sia a causa della crisi di Governo, è ipotizzabile che Tanassi possa aver fermato sulla sua persona, in questa fase, la decisione sulla opposizione del segreto.

Ma sulla seconda fase, quella successiva alla seconda richiesta della Magistratura milanese, è difficile nutrire dubbi sulle responsabilità di Rumor Presidente del Consiglio.

Fermi restando i punti che si riferiscono alle caratteristiche della riunione dei generali (partecipazione del consulente giuridico del Ministro e del consulente del capo di stato maggiore della difesa) e ai colloqui specifici tra il capo del Sid e il Ministro, bisogna con pazienza esaminare attentamente tutto quanto si è verificato dopo l'invio della risposta del Sid al giudice istruttore di Milano. Si tratta di fatti che denotano non solo l'iniziale atteggiamento favorevole alla opposizione del segreto, ma anche la volontà precisa di mantenere tale opposizione anche dopo l'emissione del mandato di cattura per Giannettini. I fatti in argomento sono stati citati nei precedenti capitoli.

Qui è da aggiungere che il Presidente del Consiglio e il Ministro della difesa hanno mantenuto il loro atteggiamento favorevole all'opposizione del segreto anche di fronte ad una accesa campagna di stampa che li sollecitava al chiarimento.

Il significato della vicenda Zagari Rumor non è stato minimamente approfondito dalla Commissione Inquirente.

Ecco alcuni dati di base: la memoria della Magistratura di Milano è stata inviata al Ministro di grazia e giustizia il 5 settembre, il Ministro Zagari ne ha parlato con Rumor, dopo circa un mese, cioè in ottobre; tutto rimane senza alcuna risposta, nemmeno interlocutoria, alla Magistratura di Milano. Né è stato provveduto a notificare la richiesta al Sid.

Cosa è successo dal 5 settembre all'ottobre 1973, di fronte ad una delicata ed urgente richiesta della Magistratura? Perché le autorità politiche non hanno seguito la prassi (riesame del problema con la partecipazione del Sid)? Perché non è stata data alcuna risposta alla Magistratura?

Evidentemente se fosse stato interessato il Sid, si sarebbe pervenuti subito ad un chiarimento, perché il Sid aveva risposto in linea interlocutoria alla prima richiesta. Ora ci si trovava non di fronte a una richiesta generica ma di fronte ad una dettagliata memoria della Magistratura in cui venivano presentati nuovi aspetti che configuravano gravi responsabilità in ordine alla condotta di Giannettini, e più in generale in ordine al caso Giannettini.

Se è comprensibile che, dopo la prima elusiva risposta, la Magistratura milanese non ritenesse di doversi di nuovo rivolgere al Sid, è invece quanto meno singolare che nessuno del Governo abbia ritenuto di dover nuovamente investire della questione il Sid. Eppure è certo che il Sid riesaminò la questione (come è stato ricordato nella precedente ricostruzione) decidendo di lasciare le cose come stavano in attesa di una nuova richiesta del magistrato. La mancanza di ogni nuova insistenza da parte del magistrato, dopo l'assenza di una risposta governativa, si spiega probabilmente con il fatto che proprio la vicenda Zagari Rumor ha convinto gli inquirenti che il Governo non intendeva rimuovere il segreto.

La vicenda Zagari Rumor è dunque la chiave di tutta la questione. E come nella vicenda Miceli Tanassi, anche qui abbiamo due deposizioni contrastanti. Ma mentre sulla prima la maggioranza della Commissione ha dato ragione a Tanassi e torto a Miceli, su questa invece pretende di dare ragione a entrambi, scagionando sia Zagari, sia Rumor.

La scelta della maggioranza della Commissione è insostenibile. Perché se Rumor davvero della questione non fosse stato investito, o ne fosse stato investito in modo non formale, e per di più in modo talmente generico da consentirgli oggi di »non ricordare , le responsabilità del Ministro di grazia e giustizia dell'epoca sarebbero evidenti: quanto meno per »omissione di doverosi atti di ufficio.

Ma la Commissione non ha messo in dubbio il fatto che Zagari si sia »attivato . Si è attivato chiedendo un parere legale al suo Gabinetto; si è attivato, dopo aver ricevuto questo parere, per saperne di più, andando a parlare direttamente con il giudice D'Ambrosio, il che gli ha procurato addirittura la denuncia di violazione del segreto istruttorio; si è attivato infine sottoponendo la questione al Presidente del Consiglio per la decisione politica.

Di più, davanti alla Commissione, Zagari ha affermato che la questione è stata oggetto di ulteriori sollecitazioni a Rumor, di valutazioni all'interno del partito socialista e di rapporti politici fra i partiti della maggioranza; ha fornito i possibili riscontri di queste sollecitazioni e di questi rapporti politici indicando i nomi di Nenni e di De Martino (Nenni è morto, ma De Martino è vivo e vegeto, e vivo e vegeto è Mancini che all'epoca era segretario del Psi). Non può non apparire sospetta la scelta della Commissione che ha rifiutato di ricercare qualsiasi riscontro a queste affermazioni. Eppure Zagari è arrivato a dire che la scelta su tali questioni poteva essere a un certo punto addirittura motivo di crisi di Governo. Ed ha aggiunto di aver avuto l'impressione che, in seguito a quelle sollecitazioni e a quei rapporti politici »qualcosa si stesse muovendo .

Oggi sappiamo che nulla si è mosso e caso mai si è mosso (deposizione di Henke a D'Ambrosio) nel senso di mantenere il segreto.

L'esistenza di dolo

Non è senza significato osservare che, anche nella relazione del giudice Fenizia, con cui il Parlamento è stato investito del procedimento per le eventuali responsabilità ministeriali, si prende in esame e a lungo si argomenta una ipotesi tendente a scagionare anche i Ministri di ogni responsabilità. Ma questo viene fatto sotto il profilo della liceità e perfino legittimità della opposizione del segreto da parte sia dei militari sia dei politici, attraverso la comparazione degli interessi in gioco, e dei contrapposti beni da tutelare e che, nella valutazione dei responsabili sia politici sia militari, entravano in conflitto.

»I beni a confronto, in realtà, non erano la tutela di quella 'scarsissima' fonte, qual era stato il Giannettini, da un lato e la 'strage di Piazza Fontana' dall'altro, ma le astratte esigenze probabilmente paritetiche di uno Stato moderno, della 'repressione' di un certo delitto - pur gravissimo ma ormai da alcuni anni consumato e cessato - affidata alla Magistratura da un lato, e la 'prevenzione' nazionale dall'altro, affidata quest'ultima alla funzionalità del Servizio. Non è infatti assurdo quanto affermato in proposito in questa sede sia dal generale Miceli che dal colonnello D'Orsi sulla estrema delicatezza delle operazioni in atto che concretamente svolgeva il Servizio al tempo della opposizione del segreto e che ragionevolmente avrebbero potuto essere pregiudicate .

E significativo che nella Commissione nessuno abbia voluto prendere in esame la difesa dei politici sotto questo profilo.

Significativo probabilmente per l'abitudine a considerare l'Inquirente come il luogo di una giustizia speciale, che non ricerca la verità e non si preoccupa di individuare la responsabilità ma assicura piuttosto immunità: cioè come un luogo privilegiato, un foro speciale in cui la sorte dei politici deve essere sempre e comunque separata da quella dei funzionari (sempre innocenti i primi, sempre colpevoli i secondi). Affrontare la questione sotto questo profilo significava infatti riconoscere, e doversi far carico di difendere, l'assunzione di responsabilità dei politici. Ma forse anche non si è affrontata perché si sarebbe dovuta dare una risposta al problema posto da Fenizia: quale era in realtà prevalente dei beni da tutelare e se davvero i due beni fossero in conflitto: se davvero cioè erano a confronto una, per altro astratta e generica, prevenzione (che proprio per Piazza Fontana e per le altre stragi non aveva funzionato) con solo la repressione delle responsabilità di un delitto che rimane orrendo an

che se si allontana nel tempo: o se invece preoccuparsi di questo ultimo fine non significava ricercare la verità anche sui comportamenti dello Stato, delle sue istituzioni, dei suoi corpi separati e quindi perseguire non solo il fine della repressione di quel delitto ma anche quello del miglioramento dei sistemi di prevenzione, rivelatisi così inefficienti, se davvero erano tali, oppure così inquinati. Affrontare questo possibile profilo di difesa dei politici, significava anche infine dover affrontare il diverso e contraddittorio comportamento (e quindi la differente e contraddittoria risposta al problema posto dal giudice Fenizia) di Tanassi e Rumor da una parte e dall'altra di Andreotti dopo la sua assunzione del dicastero della difesa.

Sta di fatto che la Commissione si è fermata a un esame in fatto e in diritto, della partecipazione dei politici; cioè proprio del profilo sul quale le valutazioni della stessa relazione Fenizia, pur così distaccata nel soppesare i pro e i contro, sono schiaccianti a favore della partecipazione.

La valutazione della questione sotto il profilo esaminato dal giudice ha diretta influenza nella definizione del problema della esistenza o inesistenza del dolo, sollevato dalla Commissione. In realtà la rilevanza data al cosiddetto elemento psicologico del reato, per decisioni che attengono a gravi questioni di Stato, costituisce un falso problema. Ma si comprende perché la maggioranza della Commissione abbia dovuto dare tanto rilievo a questo falso problema. Perché, infatti, se per quanto riguarda i rapporti Miceli Tanassi e Miceli Governo tutta una serie convergente di indizi portano a concludere per la partecipazione di Tanassi e più in generale dei politici alla prima decisione sul segreto, per quanto riguarda i rapporti Zagari Rumor ci sono molto di più che indizi, sia pure numerosi e concordanti: c'è la prova, c'è il riscontro obiettivo. E la conferma di questo è nello stesso proscioglimento di Zagari. Prosciogliendo Zagari, la maggioranza della Commissione deve riconoscere che comunque Rumor ha saput

o, Rumor è stato ufficialmente investito della decisione del segreto. E per prosciogliere anche Rumor deve inseguirlo nella sua tesi difensiva che, pur avendo saputo, ha dimenticato, non ricorda, non è in grado di ricordare.

Di qui l'importanza data all'elemento psicologico del reato, al dolo, alla mancanza della »duplice consapevolezza che Giannettini era coinvolto nella strage di Piazza Fontana e che, comunque, il segreto politico militare era opposto dal Sid per coprire Giannettini o, più in generale, per ostacolare le indagini sulla predetta strage e per impedire che su di essa si facesse piena luce .

Qui non stiamo parlando né di ladri di polli, né di piccoli funzionari di provincia. Stiamo esaminando la responsabilità dei massimi esponenti, in quel periodo, del potere esecutivo. A un Presidente del Consiglio il Ministro di grazia e giustizia dice che un agenti del Sid - tal Giannettini - è in qualche modo coinvolto nella strage di Piazza Fontana, che, rispondendo a una prima domanda della Magistratura, ci si è avvalsi della opposizione del segreto politico militare; che la Magistratura si rivolge al Governo perché sia tolto il segreto.

Ammettiamo pure che il nome di Giannettini non dica nulla fino a quel momento al Presidente del Consiglio in questione. Non possono non dirgli nulla tuttavia l'insieme dei fatti che gli vengono esposti dal Ministro di grazia e giustizia.

Per escluderlo sono sufficienti le seguenti considerazioni:

1) l'importanza e la gravità della strage di Piazza Fontana nella vita politica nella storia recente del nostro paese;

2) i numerosi attentati che precedettero e le gravissime stragi che seguirono Piazza Fontana;

3) le polemiche di stampa, le campagne di opinione pubblica e le inchieste giudiziarie sulle cosiddette »piste nere e sulle responsabilità dei servizi di sicurezza (affari riservati e servizi segreti) nel coprire e finanziare eversori e probabilmente terroristi di estrema destra;

4) le responsabilità pubbliche che lo stesso uomo politico aveva avuto in tutto quel periodo (Presidente del Consiglio dal dicembre 1968 al luglio 1970; Ministro dell'interno dal febbraio del 1972 al giugno del 1973);

5) il fatto che Rumor sfuggi egli stesso quasi miracolosamente a uno di questi attentati (quello effettuato in occasione dell'erezione di un busto in onore del commissario Calabresi), e anche in quella occasione, sia le cronache giornalistiche sia le stesse inchieste giudiziarie ipotizzarono la partecipazione di servizi italiani o stranieri, indagando sulla misteriosa personalità e sul misterioso passato dell'autore della strage.

Se dovessimo accettare l'idea che un Presidente del Consiglio il quale, avendo vissuto come governante questi avvenimenti, non coglie l'importanza di ciò che il Ministro di grazia e giustizia gli dice, lo tratta come un affare di ordinaria amministrazione e poi se ne disinteressa, dovremmo concludere che non di un Presidente disattento o smemorato si tratta, ma di un perfetto imbecille o di un pericoloso irresponsabile.

La maggioranza della Commissione non può contestare che Zagari si sia recato da Rumor. Quindi Rumor ha saputo. Ma se Rumor è stato investito della questione da Zagari, dalle informazioni di Zagari egli non può non aver tratto questi precisi elementi di consapevolezza:

1) la consapevolezza che la Magistratura milanese stava indagando sulle responsabilità e il ruolo svolto da un agente del Sid in ordine alla strage di piazza Fontana;

2) la consapevolezza della opposizione del segreto da parte del Sid e del Governo alla richiesta della Magistratura e, quindi, della sottrazione alla Magistratura di elementi di informazione e di valutazione, certamente per »coprire Giannettini, cioè un agente del Sid e/o - almeno in via di ipotesi - per »coprire altre eventuali responsabilità di cui il Presidente del Consiglio non avrebbe potuto non preoccuparsi.

Di quale altra consapevolezza c'è bisogno per configurare il dolo? Non certo della consapevolezza di cui parla la maggioranza della Commissione »che Giannettini era coinvolto nella strage di piazza Fontana . Perché Rumor non era un giudice: era un Presidente del Consiglio che aveva la responsabilità di fornire una risposta al potere giudiziario, e la responsabilità di occuparsi di ciò che accadeva nei servizi segreti.

A tutto questo bisogna aggiungere che, in questa seconda fase, la situazione si era fatta assai più calda: non solo si era avuta una seconda richiesta della magistratura, ma poco tempo dopo il colloquio Zagari Rumor, viene spiccato mandato di cattura nei confronti di Giannettini.

Il comportamento di Andreotti

Nel marzo del 1974 il »cerino acceso del caso Giannettini passa nelle mani di Andreotti, tornato in quel mese al ministero della difesa. Secondo Miceli, Andreotti venne subito informato della opposizione del segreto sul »caso Giannettini già nei primi colloqui di »inquadramento del nuovo Ministro da parte del responsabile del Servizio. Secondo il Ministro, invece, della questione si interessa solo nel giugno del 1974, in seguito ad alcune polemiche di stampa, anche se afferma di non ricordare se se ne interessò per iniziativa del generale Miceli o per sua iniziativa. E certo comunque che se ne interessò. Ne parlò con Miceli. Ne ottenne le notizie sulla opposizione del segreto. Non ne parlò con il Ministro di grazia e giustizia (al quale si rivolse invece per chiedere notizie sulle procedure seguite per la estradizione di Giannettini). Non ne parlò con il Presidente del Consiglio. Scelse invece una strada extragovernativa, e assai più clamorosa. Ne parlò con il giornalista Massimo Caprara, rilasciando una

intervista al settimanale 11 Mondo.

Il fulcro dell'intervista è che l'opposizione del segreto sul »caso Giannettini , decisa in sede politica superiore, era stato uno sbaglio grave dei suoi predecessori; che in conseguenza di ciò il segreto non sarà più opposto e sarà assicurata la massima collaborazione all'autorità giudiziaria.

Andreotti spiega questa decisione con la gravità della strage di piazza Fontana e con il dovere di fare piena luce sulle responsabilità della strage.

L'intervista ha grande clamore. Non solo per la decisione del nuovo Ministro, ma perché tutti, tutti vi leggono una chiara polemica non solo con la scelta del Servizio, ma anche con la scelta del predecessore e tutti vi leggono anche un attacco al Presidente del Consiglio Rumor.

Lasciamo per un attimo da parte la questione della famosa riunione di Palazzo Chigi, di cui Caprara asserisce che Andreotti gli avrebbe parlato, per decidere l'opposizione del segreto. Lasciamo da parte la questione della »sede politica superiore , formulazione sulla quale invece Andreotti si è successivamente e definitivamente attestato nelle deposizioni davanti ai giudici.

La questione centrale è un'altra. Andreotti si è posto la stessa domanda di Fenizia, la domanda cioè su quale dei diversi presunti beni da tutelare dovesse avere la prevalenza. E non ha dubbi.

»... rilevai la sproporzione - dichiarerà testualmente ai giudici di Catanzaro - tra l'atteggiamento tenuto nei confronti della Magistratura come norma generale (e cioè la copertura della segretezza dei nomi e delle attività degli agenti) »e l'importanza dei fatti reati di questo processo .

E vero che nel frattempo nei confronti di Giannettini è stato spiccato un mandato di cattura. E vero che il »caso è ormai arrivato a conoscenza dell'opinione pubblica. E vero che Andreotti sente avvicinarsi il momento in cui la Magistratura di Milano lo chiamerà a deporre sul caso Giannettini.

Ma sta di fatto che a questa stessa domanda si era risposto in modo opposto fino a quel momento: la copertura dell'agente Giannettini aveva avuto la prevalenza sulla necessita e sul dovere di far luce su tutti gli aspetti della strage di Piazza Fontana.

E se il caso Giannettini non aveva ancora avuto la risonanza determinata dal mandato di cattura, comunque era stato già oggetto di polemiche giornalistiche. E chi aveva preso quella opposta decisione non poteva non considerare che essa avrebbe avuto influenza su una indagine giudiziaria ancora in corso e quindi avrebbe potuto pregiudicare l'accertamento delle eventuali responsabilità di Giannettini.

Con Andreotti assistiamo quindi a un ribaltamento di politica. Con questo ribaltamento di politica, il nuovo Ministro mette in discussione non solo la gestione militare del Sid ma anche la gestione politica che del Sid è stata prima di lui fatta. Questo non avviene solo per il caso Giannettini, ma anche per altri casi giudiziari : il processo sul cosiddetto golpe Borghese ha gli stessi protagonisti e davvero singolari analogie.

Venti o trenta cartelle della sentenza della corte d'assise di Roma che giudicò di quel processo sono dedicate ai rapporti fra Miceli e i Ministri (Restivo, Ministro dell'interno; Tanassi, Ministro della difesa) per dimostrare l'impossibilità che questi ultimi non fossero stati puntualmente e correttamente informati dal capo del Sid. E anche in questa vicenda Andreotti, divenuto Ministro della difesa, gioca la parte di chi fa saltare i coperchi e toglie il segreto.

Questo ribaltamento di politica, questa scelta di Andreotti è del resto di lunga durata. Il suo giudizio negativo sull'opposizione del segreto riguarda militari e politici, fin dal primo momento. E si spinge più in là. Qualche mese dopo blocca la promozione di Miceli a comandante di corpo di armata quando si accorge che i servizi gli avevano fornito false notizie da riferire al Parlamento sulla interruzione dei rapporti del Sid con Giannettini durante la sua latitanza. Della interpretazione che non si poteva non dare della sua dichiarazione - come rivolta almeno a criticare Rumor e Tanassi - già si è detto.

A lungo Andreotti, nella Dc, come Mancini, nel Psi, vengono indicati come i due uomini politici del centro sinistra impegnati a far luce sulle responsabilità dei servizi segreti e sull'uso politico che dei servizi era stato fatto. A lungo si parlò di un'intesa fra i due uomini politici, a questo riguardo. Fino al punto che l'estradizione di Andreotti dal Ministero della difesa da parte di Moro viene attribuita a queste scelte e a questi comportamenti: così fu intesa da tutti - e in primo luogo da Andreotti - come una rivincita nei suoi confronti.

Ancora nel 1977, Andreotti, alla vigilia della sua deposizione a Catanzaro, sottolinea, in una intervista al GR 1, la necessità e il dovere della massima collaborazione per far luce sulle responsabilità di »imputati e imputandi .

Andreotti ha anche lui strumentalizzato i servizi, si è servito di queste rivelazioni e delle collaborazioni con la giustizia per colpire i suoi concorrenti? E più che probabile. Molti degli squarci di verità che siamo riusciti ad ottenere sugli scandali del regime si devono a faide democristiane. Ma certo Andreotti ha trovato occasione e opportunità proprio nel comportamento dei servizi, e negli errori e nelle gravi responsabilità dei suoi concorrenti e predecessori. E questi si sono comportati come statisti e uomini politici che avessero qualcosa da nascondere.

Andreotti ha del resto riconosciuto di aver scelto la strada dell'intervista proprio per dare la massima risonanza alla sua decisione. Questa è la vera ragione. Non le altre che poi ha aggiunto non per smentire queste affermazioni, ma per giustificare altre cose. Poco credibile è in effetti la dichiarazione che, se avesse saputo di una riunione a Palazzo Chigi, non avrebbe potuto non investire della questione Rumor, se non altro per ragioni di galateo. Tutto fa ritenere piuttosto il contrario. Che Andreotti non si sia rivolto a Rumor perché la sua decisione era rivolta contro Rumor (e perché aveva ben ragione di ritenere che Rumor proprio per questo potesse bloccarlo).

Ancora meno credibile l'altra dichiarazione: che, secondo le norme vigenti, il Ministro sarebbe stato tenuto a rivolgersi al suo Presidente del Consiglio per l'opposizione del segreto e non quando toglieva il segreto. Come se non ricorrere al segreto fosse la norma e opporre il segreto l'eccezione, quando tutto dimostra il contrario. Per di più, con la sua decisione Andreotti modificava una decisione precedente, che secondo quanto lui ha dichiarato, sapeva essere stata presa »in sede politica superiore .

Tutto il comportamento tenuto da Andreotti dissolve la linea difensiva di Tanassi e di Rumor: colora in un certo modo l'opposto comportamento di Tanassi e di Rumor. La sua rapidità e i suoi metodi rendono addirittura patetiche le precauzioni di Zagari, le sue norme successive rivolte a far modificare a Rumor e al Governo, senza riuscirci, la decisione sul segreto.

E, nonostante questo, è estremamente reticente nelle deposizioni davanti ai magistrati e davanti all'Inquirente quando pretende di far credere di non aver mai saputo non solo della riunione a Palazzo Chigi ma neppure della sede politica superiore nella quale fu decisa l'opposizione del segreto. Non è credibile che Miceli gli abbia detto: è stato deciso in sede politica superiore. Perché non avrebbe dovuto dirgli, come ha sempre sostenuto, e come risulta (almeno per Henke e Tanassi da riscontri obiettivi) che era stata autorizzata dal capo di stato maggiore della difesa e dal Ministro della difesa, dopo un colloquio di quest'ultimo con Rumor?

Quanto alle affermazioni fatte a Caprara, si è già rilevato che allora la smentita fu solo generica e che, per quanto categorico è ora nell'escludere di aver saputo, allora non dimostrò alcuna fretta di fornire interpretazioni e versioni diverse anche in sede parlamentare a breve distanza dalla pubblicazione dell'intervista.

E anche in questo caso, è significativo e sospetto che la Commissione non abbia voluto ascoltare i giornalisti Caprara e Jannuzzi (a quest'ultimo qualche tempo dopo pervenne la prima vera smentita).

Conclusioni

Per portare la vicenda davanti alle Camere era sufficiente alla Commissione poter dimostrare che l'ipotesi dei reati non era manifestamente infondata. Non spetta alla Commissione, né al Parlamento portare le prove di questi reati.

Ma il Parlamento ha una serie convergente di indizi e, in più di un caso, elementi certi di prova, che inducono a inviare all'Alta Corte di Giustizia il Ministro della difesa Tanassi e il Presidente del Consiglio Rumor per i reati di falsa testimonianza (articolo 372 del codice penale) e favoreggiamento personale (articolo 378 del codice penale) e il Ministro della difesa Andreotti per il reato di falsa testimonianza.

 
Argomenti correlati:
piazza fontana
relazione
parlamento
rumor mariano
catanzaro
sid
favoreggiamento
miceli vito
zagari mario
casardi mario
stampa questo documento invia questa pagina per mail