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Notizie Radicali - 22 ottobre 1983
PACIFISMO SENZA FRONTIERE
L'antimilitarismo radicale

SOMMARIO: Demarcazione tra pacifismo e antimilitarismo. Critica della posizione eurocentrica, anti-americana, incapace di rispondere al problema della sicurezza. Il contributo dell'Istituto di ricerca sul disarmo e la pace (IRDISP). Necessità di sconfiggere il pacifismo perdente, invertire la tentazione al riflusso militarista. Velleitario preparare modelli astratti di nuovo ordine mondiale. Trovare leve per intervenire su fatti concreti. I terreni di lotta del Partito radicale. Le contraddizioni interne al regime partitocratico, il modello di difesa, l'opposizione al riarmismo. La sinistra storica e l'apparato militare industriale. Traffico d'armi e corruzione. Opposizione non militare all'autoritarismo sovietico. Obiezione fiscale alle spese militari. Non solo federalismo utopistico, ma concreta identificazione e applicazione di principi di diritto internazionale, precise limitazioni di sovranità nazionale, prefigurazione di modelli di difesa non militare.

(NOTIZIE RADICALI n. 41, 22 ottobre 1983)

Il partito radicale ha fatto crescere, soprattutto in questi ultimi anni, un preciso fronte di demarcazione teorica e pratica fra il suo antimilitarismo e il "pacifismo" generico. Basta qui far riferimento alla critica serrata dell'impostazione eurocentrica, esclusivamente antinuclearista e antiamericana, fondata unicamente sul sentimento di paura della gente e incapace di dare risposta ai problemi della sicurezza, del "pacifismo" europeo. A questo critiche si è aggiunta in Italia la contestazione del ruolo egemonizzante del Pci sul "movimento" e, quindi, del carattere "evasivo" dei suoi obiettivi di lotta fortemente condizionati dalla necessità di coprire il doppio volto dei comunisti, pacifisti nelle piazze e militaristi nel palazzo.

Su Comiso e le parate antimilitariste si è distinta, seppur con enormi difficoltà di comprensione, la posizione radicale. Ma la demarcazione è divenuta ancor più netta sulla pratica antimilitarista che ha visto il partito radicale mobilitarsi da una parte contro le due maggiori minacce alla sicurezza, l'affamamento e lo sterminio del sud del mondo e i regimi autoritari, primo fra tutti l'Unione Sovietica, e dall'altra contro le scelte di riarmo del nostro Paese.

Ha nutrito in modo rilevante questa strategia politica il contributo di ricerca dell'Irdisp che ha fornito elementi di analisi, informazioni di cui fino ad oggi il partito aveva dovuto fare a meno.

Ma andando oltre il bilancio positivo dell'ultimo anno di pratica antimilitarista si pongono immediatamente alcuni problemi su cui si deciderà la possibilità di affermazione dell'antagonismo e protagonismo radicale nel campo antimilitarista europeo.

In poche parole la possibilità di sconfiggere il pacifismo perdente che oggi prevale in Europa e di recuperare tutto quell'enorme potenziale di lotta e tutte quelle forze autenticamente desiderose di fermare la guerra che avanza e si annuncia con segnali sempre più inconfondibili, è strettamente connessa alla nostra capacità contestuale di vincere il muro di silenzio che ci si oppone e di misurarci con proposte sempre più convincenti con il pensiero militare e la sua proposta di soluzione dei problemi della "sicurezza".

E' tanto più urgente questa azione perché sempre più forte è la tentazione al riflusso militarista che necessariamente scaturisce dall'inconcludenza e contraddittorietà del pacifismo prevalente.

Anche in questo caso sarebbe velleitario pensare di poterci confrontare su tutto l'arco delle problematiche della difesa e della sicurezza approntando magari modelli astratti di nuovo ordine mondiale.

Si tratta di trovare una o più leve con cui tentare di forzare la porta che in un modo sempre più irrimediabile si chiude su ogni speranza di fermare la corsa al suicidio collettivo a cui sembrano tutti rasseganti. Si tratta di trovare la maniglia con la quale aprire un varco di verità e quindi di consapevolezza da cui raggiungere l'opinione pubblica. Di certo queste leve e maniglie devono essere trovate nell'arco dei prossimi mesi, prima che la saldatura fra il nullismo pacifista e il militarismo prevalente si attui a Ginevra o altrove con l'ulteriore sacrificio della libertà in nome di una precaria coesistenza pacifica.

I terreni di lotta da sviluppare nella direzione indicata sono molti e su tutti l'elaborazione del Partito radicale ha fatto significativi passi avanti: l'opposizione al processo di riarmo italiano e l'individuazione delle contraddizioni esistenti fra il modello di difesa approvato dalla partitocrazia e la sua incapacità di attuarlo; la denuncia non più generica ma dettagliata delle complicità strutturali fra il sindacato e la sinistra storica con l'apparato militare-industriale; l'individuazione dei meccanismi di corruzione e d'inquinamento della vita politica connessi all'esportazione delle armi; la prefigurazione di una opposizione non militare al militarismo e all'autoritarismo sovietico; l'obiezione fiscale alle spese militari.

Ma prorogabilmente con maggiore forza e convinzione dobbiamo alimentare l'azione politica sui singoli aspetti dell'opposizione antimilitarista con l'affermazione che pace, sicurezza, disarmo saranno sempre chimere irraggiungibili se collocate rigidamente all'interno dei vincoli delle politiche nazionali. Non si tratta solo di recuperare le "utopie" del federalismo e dell'internazionalismo che nell'esistenza delle frontiere individuano l'ostacolo maggiore ad ogni speranza di giustizia e di pace, ma soprattutto d'indicare con maggiore approssimazione scientifica i principi di diritto internazionale, le precise limitazioni alla sovranità nazionale essenziali per la prefigurazione di un modello di difesa non militare.

All'internazionalismo militarista che non a caso si afferma sul "diritto", non formale, d'ingerenza armata negli affari interni delle nazioni quando si ritiene che vengano minacciati gli interessi "vitali" di uno o dell'altro blocco, deve potersi opporre un internazionalismo pacifista non imbelle capace di indicare nuovi principi di diritto internazionale su cui fondare la possibilità d'ingerenza politica negli affari di quegli Stati che con la loro azione minacciano la pace.

 
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