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Spadaccia Gianfranco - 14 aprile 1984
DIBATTITO CONGRESSUALE: GIANFRANCO SPADACCIA

SOMMARIO: Intervenendo nel dibattito precongressuale (XXX Congresso del Pr - Roma - 31 ottobre/4 novembre 1984) Gianfranco Spadaccia afferma che la politica dello sterminio ha vinto, la politica della vita è stata sconfitta e che noi non possiamo prescindere dalla presa d'atto che la nostra politica di dialogo con tutte le forze politiche non ha avuto successo, che anche gli appelli del Papa e di Pertini sono caduti nel vuoto, che il Pci ha avuto ed ha una responsabilità determinante, nell'insuccesso di questa politica, di questa proposta, di questa iniziativa di vita e di salvezza, oltre che di solidarietà internazionale e di pace. Affronta poi una serie di temi al centro del dibattito congressuale: "Alternativa di sinistra"; "Partitocrazia"; "La scadenza delle elezioni amministrative e regionali"; "Fuori i partiti dai Comuni".

(NOTIZIE RADICALI N. 69, 14 aprile 1984)

Se qualcuno teme che ci possono essere particolari forme di chiusura o di esclusione, fino ad invocare contro questo pericolo l'unità e la responsabilità comune di quello che in senso lato può chiamarsi il gruppo dirigente del partito, come ha fatto Massimo Teodori nell'ultima riunione del consiglio federale, almeno per quanto mi riguarda questo timore è infondato. Al di fuori della condivisione piena delle responsabilità passate e di cui si deve (e quindi devo) render conto al congresso, non ho - nel dibattito che stiamo affrontando - rapporti e legami privilegiati con nessuno e preclusioni e pre-giudizi nei confronti di qualsiasi compagno. Voglio un dibattito aperto. Spero che le convergenze o le divergenze, le unità o le divisioni avvengano solo sul piano delle scelte politiche. Solo queste mi hanno interessato e mi interessano.

Mi si consenta un'altra premessa: io ho fiducia in questo partito, nella sua vitalità, nella sua capacità, nel suo futuro. Non condivido il tono cupo, a volte disperato che mi avvolge, e qualche volta ha finito per coinvolgermi, dettato dalle difficoltà della politica radicale e della gestione e direzione di questo strano calabrone che è il Pr. Così come non condivido i messaggeri della "crisi radicali", che nei loro discorsi diventa crisi di tutta una politica e che ci vorrebbero far credere che si esce dalla "crisi" solo cancellando le difficoltà, edulcorandole, aggirandole, rimuovendole e solo cambiando radicalmente politica. Questi due atteggiamenti sembrerebbero corrispondere a due posizioni alternative: sono invece i due volti di uno stesso atteggiamento colorato di pessimismo o di ottimismo, di disperazione paralizzante o di falsa e illusoria speranza.

Credo invece che, come sempre nel nostro partito, le difficoltà sono grandi, il dibattito che dobbiamo affrontare difficile, le scelte da compiere delicate e gravi, ma che - come è avvenuto altre volte - possiamo trovare il filo giusto per venirne a capo. A patto che non si dimentichi che, se il Partito radicale è ben vivo, come tutte le cose vive può anche morire, per le nostre incapacità e i nostri errori.

Mi limiterò ad esprimere il mio parere su alcune preliminari questioni politiche, su alcune che ho definito le nostre difficoltà.

"Sterminio per fame" - "La nostra Costituzione è morta, viva la Costituzione" è da sempre il grido dei democratici dopo ogni rottura costituzionale e dopo ogni colpo di Stato autoritario. Lo stesso discorso possiamo applicarlo al nostro obiettivo, politico e legislativo, nazionale e internazionale, dei "tre milioni di vivi". La politica dello sterminio ha vinto, la politica della vita è stata sconfitta, "viva la politica della vita". E come per quei democratici la politica, perché viva la Costituzione, non poteva prescindere dal colpo di Stato autoritario e dalla morte della Costituzione, così noi non possiamo prescindere dalla presa d'atto che la nostra politica di dialogo con tutte le forze politiche non ha avuto successo, che anche gli appelli del Papa e di Pertini sono caduti nel vuoto, che il Pci ha avuto ed ha una responsabilità determinante, nell'insuccesso di questa politica, di questa proposta, di questa iniziativa di vita e di salvezza, oltre che di solidarietà internazionale e di pace. A una falsa

politica di sviluppo che produce solo sterminio e strangolamento economico e finanziario del terzo mondo, dobbiamo continuare a contrapporre i nostri obiettivi, il nostro metodo, la nostra battaglia: non ci sarà mai sviluppo né cooperazione internazionale se non a partire da programmi immediati di salvezza della vita e di intervento per condizioni minime nella qualità della vita delle popolazioni del terzo mondo. Ma sarebbe sbagliata sia riproporre meccanicamente l'obiettivo legislativo e politico dei tre milioni di vivi, come se niente fosse successo. Così come sarebbe sbagliato voler aggirare l'ostacolo rinviando a tempi indeterminati il raggiungimento dell'obiettivo o mettendoci ad inseguire anche noi la strada di impossibili compromessi. Rimane un problema centrale della convivenza internazionale, fondamentale per l'avvenire del mondo; rimane il rafforzamento, con le recenti decisioni internazionali, di una politica sempre più cieca e sempre più grave; rimane la contraddizione e l'impotenza della classe

politica italiana a rompere perfino in questo campo la politica consociativa della lottizzazione partitocratica; rimane la coscienza e la consapevolezza da parte nostra di aver individuato non solo un metodo e una strategia ma anche i modi e l'obiettivo di un intervento alternativo. Se non vogliamo accontentarci di far scadere tutto questo a generica posizione culturale, dovremmo ripensare la nostra politica a partire dalla situazione che si è creata, e riuscire ad alzare il tiro contro la politica e le responsabilità dello sterminio, in modo coerente con le affermazioni contenute nel preambolo del nostro statuto. Dirlo è facile, farlo molto meno, anche per la non superata crisi di iniziativa nonviolenta, che non dipende certo solo da fattori soggettivi. Ma intanto mi pare importate, se non altro sul piano teorico, cominciare a chiarire da quali constatazioni deve partire un nuovo, progetto politico che voglia mantenere priorità alla lotta per la vita e per la pace.

"Alternativa di sinistra" - E' stata a lungo la cornice ideale in cui si inserivano tutte le nostre scelte, anche le più importanti: lo sbocco ricercato, da costruire giorno per giorno, di tutta la nostra politica. Dieci anni di storia del Pci non si possono ignorare. Quei dieci anni sono sedimentazione di ideologie, strategie, valori, scelte politiche, egemonie culturali, assetti di potere con cui ci troviamo in radicale opposizione. Per noi non c'è alternativa possibile di sinistra se non battendo quanto è sedimentato in questi dieci anni di storia, ideologia, sociologia e politica del Pci. Non si può combattere la partitocrazia che la marmellata democristiana e del sistema dei partiti, in tutti i momenti decisivi, ha trovato il proprio coagulo, il proprio solido ancoraggio proprio nel Pci. Non si può combattere lo sterminio per fame ignorando che perfino in questo campo, smentendo e contraddicendo la lotta di oltre mille sindaci comunisti per tre milioni di vivi, il Pci ha finito per scegliere la politica

della consociazione partitocratica e della lottizzazione, e cioè la politica della spartizione del potere, delle influenze e degli affari; e che senza il Pci questa politica sarebbe stata vinta e sgretolata. E potrei continuare, a cominciare da quella che abbiamo definito, non solo provocatoriamente, l'alleanza fra Pci, P-Scalfari e P-2. Ci sono possibilità di cambiamenti all'interno del Pci? Sono stato il primo a sottolineare e a valorizzare alcuni cambiamenti della politica di Natta; ho sottolineato positivamente la rinuncia all'obiettivo berlingueriano del "governo degli onesti e dei capaci", sponda di tutte le possibilità avventure scalfariane. Ma non è una giusta scelta tattica a segnare una svolta di dieci anni di politica. E questa non è possibile senza continuare con tutta la chiarezza di cui siamo capaci la nostra lotta su questo fronte.

"Partitocrazia" - Ci sono due scelte che dobbiamo compiere, con chiarezza. La prima riguarda il codice di comportamento, adottato in Parlamento come conseguenza dell'appello allo "sciopero del voto" rivolto agli elettori nel 1983. La seconda riguarda la prossima scadenza delle elezioni regionali e amministrative. Il codice di comportamento, il non-voto in Parlamento costituiscono un prezioso patrimonio collettivo di alternativa. Come tutte le cose realmente nuove, solo la sua durata ce ne dimostrerà il valore davvero essenziale. Il non voto non può non diventare un'assenza di iniziativa e di presenza politica radicale: deve essere un modo alternativo di stare nelle istituzioni. Occorre individuare i tre temi, le tre o quattro occasioni durante l'anno di presenza chiaramente diversa e di lotta politica radicale in Parlamento. A titolo di esempio ho proposto qualche settimana fa ai miei compagni eletti di scegliere un giorno in cui essere tutti presenti in aula, non per intervenire, ma per consegnare ai parlam

entari degli altri partiti una lettera e possibilmente un documento dossier su ciò che è avvenuto in Parlamento in termini di ulteriori degradazioni partitocratiche, mettendolo a confronto con il falso dibattito sulle riforme istituzionali e regolamentari. E' solo un esempio. Se ne può discutere, e ben vengono non una ma dieci altre proposte. Purché si discuta di come applicare e rafforzare questo codice di comportamento, non di come liquidarlo o metterlo nel cassetto.

"La scadenza delle elezioni amministrative e regionali" - Ogni riforma istituzionale non sarà una riforma democratica, ma semplice legalizzazione dell'occupazione partitocratica dello Stato, se non parte dalle Regioni e dagli Enti locali. Il corporativismo di regime trova qui la sua base di consenso e di potere, assicurandosi quella elasticità fornita da false alternative che in Parlamento non sono possibili. Le Regioni non sono quelle disegnate dalla Costituzione. Non sono organi di autonomia legislativa e di programmazione territoriale, ma sono divenute organi di decentramento del potere centrale. Nei Comuni, nelle Usl, giunte rosse o bianche sono false alternative di potere, coloriture diverse in cui domina il meccanismo corporativo e consociativo del coinvolgimento di maggioranze e di opposizioni delle decisioni amministrative, nelle assunzioni e negli appalti. Le commissioni regionali di controllo sono la quadratura del cerchio dell'occupazione partitocratica: un meccanismo perfetto di controllori contr

ollati.

"Fuori i partiti dai Comuni" deve significare elezione diretta dei sindaci, sistemi elettorali maggioritari che obblighino ad aggregazioni diverse, non solo partitiche, nella formazione delle liste, rottura dei meccanismi lottizzatori a partire dalle Usl, riconsegna alla Corte dei conti, attraverso le strutture decentrate, dei controlli amministrativi di cui i partiti si sono appropriati attraverso le Regioni.

Propongo che sia questo, a partire dal congresso, il nostro primo progetto di riforma istituzionale. Se è così, la presentazione di liste radicali va chiaramente e nettamente esclusa. Noi possiamo essere sostenitori, se e dove si verificheranno, di liste possibilmente forti e non settarie "verdi e azzurre", purché abbiano un chiaro segno di alternativa su due fronti: quello della qualità della vita e quello della lotta ai meccanismi della consociazione e della lottizzazione partitocratica. Siamo interessati a che queste liste si realizzino. Ed è questo un campo di iniziativa per i radicali. Se non ci saranno, dovremo marcare la nostra estraneità al sistema ed alzare il tiro della campagna per lo "sciopero del voto".

Ho già occupato quasi tutto lo spazio che mi era riservato. Questo articolo si integra con l'altro che ho scritto nell'inserto su Radio radicale che riguarda l'informazione e, sia pure indirettamente, il mancato obiettivo del nostro autofinanziamento. Non ho soluzioni miracolistiche, come potete vedere, ma credo e spero che dalla chiarezza delle posizioni e dalla identificazione dei problemi e delle possibili scelte, possa aprirsi un dibattito utile a farcele trovare.

 
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