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Tescari Bruno - 24 aprile 1984
DIBATTITO PRECONGRESSUALE: BRUNO TESCARI

SOMMARIO: Intervenendo nel dibattito precongressuale (XXX Congresso del Pr - Roma - 31 ottobre/4 novembre 1984) Bruno Tescari afferma che non dovremo far l'errore di voltare le spalle alla nostra storia, specie di quella degli ultimi cinque anni. La lotta allo sterminio per fame, con tutti i suoi significati, va rilanciata, anche rivedendo e ripercorrendo più incisivamente le strade percorse. Sono necessari atti di chiarezza e di coraggio, sfidando Piccoli a mettere sul piatto della bilancia l'eventualità delle dimissioni da presidente della Dc se la legge non viene discussa rapidamente, a partire dall'atto del ritiro delle firme di tutti i deputati radicali da una legge-alibi per i Piccoli, gli Scotti, i Battistuzzi, ecc.

(NOTIZIE RADICALI N. 70, 24 aprile 1984)

All'arrivo del bilancio politico di quest'anno, dobbiamo inserire i grossi capitoli del minimo pensionistico, della giustizia, dello sterminio per fame, capitoli saldamente agganciati all'agenda politica del governo, con il risultato di vedere aggregarsi attorno a tali questioni, nel senso da noi proposto, forti rappresentanze della stessa maggioranza. E va pure inserito il risultato positivo delle elezioni europee derivanti non già dall'"effetto Tortora" bensì dall'"effetto radicale", cioè dalla credibilità da noi acquisita da anni di lotta coerente e chiara.

Ma al passivo vanno inserite almeno tre grosse questioni: il mancato obiettivo dei "3 milioni di vivi nell'84", il mancato obiettivo dei 3 miliardi, la situazione di sconquasso in cui è precipitato il partito; tre questioni che peraltro si intrecciano, influenzandosi in qualche modo a vicenda.

In questi anni abbiamo ritenuto che la lotta per i 3 milioni di vivi "subito" potesse essere dirompente all'interno della partitocrazia; e lo abbiamo ritenuto per una serie di motivi: perché l'inserimento nel bilancio dello Stato di un capitolo "per la vita", sul cui valore si sarebbero aggregate le altre forze politiche e sociali, avrebbe marcato l'umanità della politica e, quindi, ridato la speranza della qualità della vita a quelle enormi fasce sociali che costituiscono gli "espulsi"; perché reperire i fondi dell'apparato militare avrebbe segnato una nuova politica di spesa; perché la linea della sopravvivenza avrebbe scompaginato interessi e poteri cristallizzati; perché la lotta su spinta popolare, dai 3.000 sindaci alle centinaia di migliaia di cittadini, avrebbe posto grosse contraddizioni all'interno degli altri partiti. Ecco, è il non aver raggiunto questo, che costituisce l'essenza della nostra sconfitta. Indubbiamente, il "no" alla nostra proposta è venuto anzitutto dal Pci a tutela del quadro pol

itico e degli interessi precostituiti. Tuttavia, anche noi abbiamo fatto errori. La segreteria ha ritenuto più utile avere un rapporto diretto e solitario con i vertici degli altri partiti, staccando il progetto dalla spinta popolare; ma, e la cosa è più grave, senza incalzare i firmatari - Piccoli in testa - soprattutto durante la campagna per le europee sino a questi giorni. Questo vuoto di iniziative, e non poteva essere altrimenti vista la strategia adottata, ha permesso agli altri di condurre una campagna elettorale tranquilla, tutta spostata sulla sola questione "giustizia", peraltro affidata quasi esclusivamente a Tortora e a Pannella senza una reale mobilitazione del partito. E questo vuoto ha paralizzato anche i militanti - come l'Associazione contro lo sterminio per fame - le cui iniziative li avrebbero trasformati in "grilli parlanti".

L'obiettivo dei 3 miliardi è stato giustamente posto in relazione alla necessità di resistenza e di rilancio della lotta radicale e sono convinto che di ciò tutti noi iscritti siamo consapevoli. Ma forse lo siamo - molti di noi - in modo un po' distaccato, freddo, scientifico. E' strano che la discesa dei contributi e delle iscrizioni sia avvenuta sin da quando le lotte politiche contro lo sterminio e per la giustizia erano al loro più alto livello. Cosa è mancato, allora? Non c'è stata, e non poteva esserci, la mobilitazione del corpo del partito, tagliato fuori dai momenti di slancio e di creatività da una conduzione strategica tutta impostata su altro binario.

Mai come in quest'anno i militanti hanno passato tanti mesi di stasi e di disgregazione, trasformandosi in semplici "iscritti", senza trovare momenti di collegamento, di conforto, di sostegno, rispetto ad una dirigenza convinta che la strada da percorrere fosse altra, tutta passante da Radio radicale e lontana dal contatto diretto con la gente ed i suoi bisogni. E la situazione è talmente franata che è opinione diffusa che questo partito non sarebbe nemmeno in grado di raccogliere le firme necessarie per i referendum. Al congresso, non dovremo far l'errore di voltare le spalle alla nostra storia, specie di quella degli ultimi cinque anni. La lotta allo sterminio per fame, con tutti i suoi significati, va rilanciata, anche rivedendo e ripercorrendo più incisivamente le strade percorse. 180 deputati fra i più prestigiosi non impongono il dibattito parlamentare sulla "legge Piccoli". Interessi di bottega li spingono a non agire, pur seguitando ad apparire come firmatari propositori di una legge di vita. E' nece

ssario non avallare più questa posizione di rendita; è necessario non mischiarsi con loro e consegnare a costoro tutta intera la responsabilità di affossatori del dibattito parlamentare. Sono necessari atti di chiarezza e di coraggio, sfidando Piccoli a mettere sul piatto della bilancia l'eventualità delle dimissioni da presidente della Dc se la legge non viene discussa rapidamente, a partire dall'atto del ritiro delle firme di tutti i deputati radicali da una legge-alibi per i Piccoli, gli Scotti, i Battistuzzi, ecc. E' ormai chiaro che la partitocrazia non può essere battuta con una sola lotta, si chiami essa fame, giustizia, o altro. E allora dovremo aggredirla nei suoi nodi vitali: fame, giustizia, informazione, antimilitarismo: quattro filoni cui potranno essere agganciati progetti specifici come i referendum. Non le alleanze a tavolino con le forze politiche e sociali, dovremo cercare, bensì incontri con quel 25% che ad ogni elezione non si riconosce nella partitocrazia, per dare ad esso sostegno e pos

sibilità di sbocco politico. Il partito strumento di servizio, proprio per rifuggire dal rischio di trasformarlo in Democrazia proletaria n· 2 cristallizzandoci intorno al 3-5%. In questo modo sarà possibile superare il dilemma: partito della annualità o dei progetti? Riconfermando il metodo dei progetti annuali si potrà marciare sui quattro filoni antipartitocratici.

Dobbiamo investire energie per diffondere sul piano teorico e pratico la cultura della nonviolenza, ormai spesso utilizzata come mera testimonianza. E' un processo dagli effetti lunghi ma con obiettivi perseguibili anche in un anno; non solo il digiuno è nonviolento ma anche la disobbedienza civile a leggi inique o come attacco a leggi liberticide.

A mio avviso va anche ridelineata la nostra presenza nelle istituzioni. Nel Parlamento, il "codice di comportamento" va rafforzato con iniziative ad esso collegate allorché si tratti di leggi di natura partitocratica; ma va lasciata aperta la possibilità di iniziative radicali e comunque antiregime. Così, non è pensabile la diffusa presenza del partito alle elezioni regionali prossime ma in taluni scelti casi potrà essere opportuna la possibilità di entrare in qualche consiglio, se non altro per dare possibilità di sbocco a leggi di iniziativa popolare regionale. Diversa è la questione delle elezioni comunali, in cui va ribadita la scelta "fuori i partiti, dentro le liste civiche": purché si dia sostegno organizzativo e politico a liste che conducono lotte di civiltà per una migliore amministrazione del territorio e della qualità della vita.

 
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