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Pannella Marco - 31 dicembre 1987
Appunti per il Congresso
di Marco Pannella

SOMMARIO: Una serie di spunti per il dibattito del Congresso di Bologna (gennaio 1988): far nascere la nuova politica, la nuova democrazia; La politica è cultura o non è; dalla parte di Croce, e non di Gentile; Pasolini lo aveva previsto, e Scalfari ne è la conferma; la lotta allo sterminio per fame: una battaglia persa; responsabilità dei giudici: un referendum tradito; vittorie apparenti, leggi senza certezza; lo specifico nazionale, ragione ormai insufficiente; fra cultura continentale e cultura anglosassone; la nascita degli Stati Uniti d'Europa, culturalmente matura; un soggetto politico transnazionale; nessuna fuga in avanti; aprire in Europa per non chiudere in Italia; rischiare l'esistenza del Pr per non rischiare la fine; il Pr - in quanto tale - non si presenterà...; l'emblema: liberarlo da un limite renderlo più forte e rappresentativo; in Italia la rosa nel pugno resterà simbolo radicale; tornare alle radici della storia e dello statuto del Pr; porci un limite e un obiettivo.

(Notizie Radicali n· 302 del 31 dicembre 1987)

Così come nessun partito aveva »pensato il divorzio, o l'aborto, o i diritti civili, o l'uso del referendum o della nonviolenza politica, o dei regolamenti e delle leggi, la vita del diritto e il diritto alla vita come inscindibili; così come nessun partito, dopo il Pnf, e forse non solamente in Italia, aveva pensato e realizzato una nuova »forma-partito , un'»azienda e un'»impresa politica organizzata che hanno fatto »produrre durante vent'anni, e continuano oggi, con l'impegno di due/trecento e poi di due/tremila militanti, (a fronte di centinaia di migliaia e di milioni d'altri, e dell'intero ceto intellettuale) leggi, idee, moralità e costumi, financo un lessico; così come ieri eravamo alla testa di un esercito, che ci inseguiva come nemico o disprezzava come banditi, e che in tal modo conquistava nuovi orizzonti e nuovi spazi per sé e per tutti, così oggi -al termine di una nuova fatica che dura da anni ed anni- noi siamo forse sul punto di mettere alla luce, »al mondo o di fallire, la »nuova pol

itica e la »nuova democrazia , la Riforma cui tutti sacrificano parolone e spenti concetti, nell'illusione che questo basti per sopravviversi.

Far nascere la nuova politica, la nuova democrazia...

Senza iattanza, senza fierezza ostentata, con umiltà democratica e civile, ma anche senza quella modestia che è la falsa e lugubre virtù degli spacciatori del niente, vorrei che il 34· Congresso del Partito radicale, con tutti i suoi partecipanti, di questo fosse consapevole e responsabile. E' strano, a prima vista, come nessun »intellettuale di professione, nessun »osservatore politico di grido, con le solite eccezioni che, in vent'anni, si contano sulle dita di una sola mano, abbia mostrato di porsi il problema del »perché e del »come della »produttività radicale, del Partito radicale. Nessun sociologo italiano, ad eccezione forse di un paio, all'incirca quarantenni, ha mostrato di chiederselo, non solo di rispondere.

La politica è cultura o non è

Gli è che per noi -dal 1956 per alcuni di noi- o »politica è, ripeto: è, »cultura o non è; così come »cultura è -ripeto è- politica o non è. Pasolini e Sciascia da una parte, il Partito radicale dall'altra, ne sono testimonianze. Invece tutto il sistema ideologico, »culturale , politico post-fascista e partitocratico, tutto il sistema »intellettuale italiano si sono confrontati con il problema del rapporto fra »politica e cultura , fra »partiti e »intellettuali , non a caso gli uni e gli altri arrestandosi sempre di fronte al problema delle »forme delle »regole . Per privilegiare l'astrazione di »contenuti significanti e presignificati, ignari o nemici del diritto, della legge, della giuridicità, dei diritti (e dei doveri); tutti eredi e succedanei attraverso le »ideologie delle »teologie precedenti, tributari ed eredi del »fascismo e dei suoi monumenti e non dell'antifascismo antifascista, liberale, azionista, liberal-socialista, socialdemocratico, cristiano-democratico.

Dalla parte di Croce, e non di Gentile

E se tutti, o quasi tutti, devono a Giovanni Gentile, nel mondo comunista o in quello dei missini pensanti, il loro attualismo e la loro triste attualità, sarà forse il caso di tributare, en passant, al Benedetto Croce dei »distinti e dell'affermazione della nobiltà di ognuno di essi -se fedeli ai propri limiti e alla propria »economia , senza pagare pedaggi e supporti ad etiche e culture, reificandole, ossificandole, senza tentare in alcun modo di soggiogarle e di farsene orpello, illusione distruttrice e costosa- un riconoscimento riparatore.

Pasolini lo aveva previsto, e Scalfari ne è la conferma

Così sono fallite tutte le »politiche culturali (e D'Orazio e Bruno Zevi, non solamente Sciascia, tra i nostri amici e compagni, hanno avuto ragione di denunciarlo) e tutte le »culture politiche , anche le migliori, le più a noi care, come quelle -ad esempio- incarnate dai Bobbio o dagli Alessandro Galante Garrone, o quelle -ben diverse- dei Valiani o dei Barile.

Così sono falliti tutti gli apporti intellettuali e degli intellettuali in quanto tali, in qualsiasi area, se non quelli degli »intellettuali isolati , che hanno rivendicato il diritto alla contraddizione, o che sono stati ridotti al silenzio o emarginati. Il Partito radicale è -oltre che essere stato- cultura tanto quanto politica; ne ha prodotto, creato, fino al dover oggi subire quanto Pasolini aveva esplicitamente previsto: che la cultura radicale dei diritti civili, della Riforma, del diritto e della difesa delle minoranze senza potere che costituiscono la quasi generalità delle persone che »le grandi maggioranze pretendono di rappresentare, divenuta »civiltà e usata dagli »intellettuali del sistema si sarebbe trasformata in forza terroristica, violenta, oppressiva, discriminatrice. »Repubblica -questo massimo partito, irresponsabile e autocratico, totalizzante e trasformista- ne è la dimostrazione clamorosa, in tutte le sue pagine e i suoi puntuali fallimenti nelle operazioni di potere che promuove

e asseconda: la dimostrazione che il nuovo fascismo possibile in Italia trae linfa non dal »fascismo dell'Msi, ma dall'»antifascismo di questi post-fascisti, nazionalisti, trasformisti, chiusi ad ogni area e storia di »senza potere , ma forse incapace di trovare in Scalfari la statura del suo predecessore in giornalismo e in sfascismo, in trasformismo ed in cinismo, sottocultura dura a morire, come si vede, nella penisola a capitale irpina.

La lotta allo sterminio per fame: una battaglia persa

Dopo questa lunga digressione, della quale mi scuso con il lettore, occorre tornare, dunque, alla »politica ed al »Partito radicale , nella puntualità dei problemi che li investono e attraversano, e che occorre al solito imbrigliare come energia e non negare come al di sopra delle nostre forze e quindi limitarsi ad esorcizzare.

Già con la battaglia nonviolenta contro lo sterminio per fame nel mondo il Partito radicale aveva cessato di trovare nello specifico dello Stato italiano ragione sufficiente per giustificare la propria esistenza. Questa battaglia (ma in realtà e per fortuna si tratta di una »grande guerra ) è oggi persa. Persa perché non poteva avere come destinazione uno stato nazionale, se non strumentalmente, per accendere l'incendio di vita e di pace -subito- ad altri stati ed aree... Non resta, da questo punto di vista, che il merito grande di Food and Desarmement, con Emma Bonino, che tiene accesa sul piano concreto la fiamma, e sta cercando di rilanciarla in Francia, in condizioni però straordinariamente difficili vista l'inesistenza della politica del Partito radicale, di nuclei di Pr in questo paese. Sia detto di sfuggita, quel che sta facendo lo stato italiano sul fronte della »cooperazione e dello sviluppo , mangiatoia di tutti, è semplicemente ignobile, disumano, criminale, stolto.

Responsabilità dei giudici: un referendum tradito

Dopo i veri risultati dei »referendum , in particolare del referendum sui giudici e la loro responsabilità democratica e civile, i veri risultati politici, che sono quelli di una legge in corso di approvazione che è perfino illegittima, oltre che di violenta negazione dei risultati dei risultati ufficiali e popolari delle votazioni referendarie, dovrebbe apparire chiaro a tutti i radicali (e, direi, in primo luogo ai »radical-democratici da tanti anni parlamentari della Repubblica oltre che ottimi militanti del Pr) il meccanismo perverso, obbligato, suicida della »democrazia italiana , del sistema politico nel quale operiamo.

Vittorie apparenti, leggi senza certezza

Da anni non riusciamo, sul piano parlamentare, ad avere altri successi che strumentali, altrimenti inesistenti, a grandi battaglie extra-istituzionali, nonviolente, di partito e di parte. Da anni non riusciamo a tradurre in realtà viva quel che sono le nostre vittorie politiche o i mezzi successi parlamentari: le leggi e gli atti parlamentari non hanno più dalla loro nessuna certezza, non sono »conquiste se non di un mattino. E ogni volta che ci rendiamo disponibili a »governare l'attuazione di conquiste di tal tipo, pur essendo questo un impegno virtuale di carattere temerario, subito il rifiuto è totale e netto, come la vicenda fame nel mondo e quelle di quest'anno ampiamente dimostrano.

D'altra parte viviamo in Italia, con maggiore gravità, situazioni che oramai incalzano tutti, o quasi tutti, gli Stati nazionali, in particolare quelli europei, per non parlare di quelli del terzo mondo, e dell'impero sovietico.

Lo specifico nazionale, ragione ormai insufficiente

I problemi dell'ambiente, della degradazione della biosfera, e di ogni altro »luogo della terra e della vita, non possono che essere pensati politicamente che a livello di grandi aree del mondo: e per »grande area geopolitica, non basta nemmeno riferirsi, se non strumentalmente all'Europa »occidentale ma occorre riferirsi in realtà e d'urgenza alla realtà euroafricana: la desertificazione attorno al Sahel e la morte delle foreste in Europa dovrebbero ricordarci quel che la cultura eurocentrica e nazional-romantica ci ha fatto dimenticare: il Mediterraneo non è che una sorta di grande lago salato all'interno della stessa terra, e nell'area di stesse culture.

La »cultura continentale , tedesca, francese, e delle loro appendici va riferita ai fenomeni secolari, o di questo secolo, il cui provincialismo rischia di esser letale: la »cultura anglosassone -questa, non l'altra- è quella che ha prodotto più civiltà, più democrazia, anche se oggi la sua »Chiesa -lo Stato americano, gli Usa- rischiano di affossare i valori che rappresenta e lo hanno reso grande. E, non a caso, a lungo, si opponevano alle »utopie radicali, che tali per fortuna non erano, testarde convinzioni: esse sarebbero stati vitali nel mondo anglosassone, non da noi. Si tratta, invece, di idee, ma soprattutto di »forme e di »regole , di diritto e di diritti »procedurali , (dobbiamo chiamarli di »teoria della prassi istituzionale per farci infine capire dagli »intellettuali di casa?) che hanno trasformato anche il mondo »anglosassone come un lascito della storia e della preistoria, non di programmazioni genetiche di organismi sociali »diversi dal nostro.

Fra cultura continentale e cultura anglosassone

Così, oggi, la crisi del diritto, dell'amministrazione della giustizia, del mondo penitenziario, dello stato di diritto e dei diritti della persona, s'accentua ovunque, con l'alibi o per terrore del modello e del leviatano sovietici.

Il problema (certo, di etnòs) della difesa del territorio e della (qualità della) vita dell'etòs, l'abbiamo posto ormai da vent'anni, da nonviolenti più che da pacifisti storici. Ed è problema urgente, incombente, storico, »epocale direbbero Ingrao e Rauti, Formigoni e magari anche Bobbio. Non siamo riusciti a viverlo e a farlo vivere che come testimonianza, petizione di principio, ragionamento, e non a caso, passata la stagione della difesa politica e sociale dei pensionati al minimo e della »legge Piccoli , non si comprende se l'Irdisp e la sua esistenza e attività, servano almeno, politicamente, a Roberto Cicciomessere o a Francesco Rutelli. Eppure la negletta iniziativa del digiuno per l'affermazione di coscienza, ancora in corso o appena terminata, di carattere effettivamente transnazionale, mostra a chi l'abbia seguita da vicino e voglia scorgere al di là del proprio e altrui naso, la maturità piena di una campagna politica nonviolenta sul piano dell'organizzazione della difesa del territorio e dei va

lori storici in contrapposizione...

La nascita degli Stati Uniti d'Europa, culturalmente matura

Per gli Stati Uniti d'Europa (in Italia, ormai, sembrano esserne convinti solamente Confindustria e Agnelli: ma vista la loro totale impotenza ogni volta che si tratta di far altro che affari e affarismi, e di individuare ed allargare ogni breccia parassitaria nel mondo dell'economia e della produzione, di assecondare il passaggio -o la permanenza- dal »mercato alla giungla, non c'è da esserne rassicurati) è evidente che la loro nascita è »culturalmente matura: come lo era, in Italia, forse da mezzo secolo, la riforma divorzista, o lo sarebbe quella »anglosassone sul piano del sistema politico ed elettorale. Non solamente i dati oggettivi, tecnologici, finanziari, produttivi, di mercato, storico-politici, culturali, ma anche quelli soggettivi, di cultura e anche di sottocultura popolare, sono oggi indirizzati alla formazione urgente, pressoché prioritaria, degli Stati Uniti d'Europa. I meccanismi istituzionali, giuridici, politici attraverso cui raggiungere questo obiettivo, questo punto di partenza vers

o il duemila, o verso una società più giusta, più libera, più ricca e più responsabile, sono praticamente infiniti, e Altiero Spinelli ha dimostrato come sia possibile farli prescegliere anche da un Parlamento, come quello europeo, dove rare sono le personalità e quasi tutti dipendono dalle burocrazie nazionali e nazionaliste per essere eletti. Noi stessi, in questi giorni, ne stiamo individuando e proponendo di pienamente validi e fattibili.

Un soggetto politico transnazionale

Ma, in questo ed in ogni altro caso che potrei evocare, e sono tanti, noi non possiamo più fare l'economia della logica, risparmiarci un minimo di coerenza e di rigore, di vigore politico e intellettuale: o per animare, concepire, attuare, questa battaglia (e quella per il diritto alla vita e la sopravvivenza nel mondo, e le altre che ci sono a cuore e in mente) esisterà un soggetto politico transnazionale, una organizzazione già esperimentata e matura sul piano dell'organizzazione, della tecnologia della lotta democratica, popolare e legislatrice, che con atto di volontà, al limite del volontarismo, subito possa crescere e riuscire o fallire, o anche sul piano puramente »italiano il Partito radicale dovrà finire per scomparire, magari accettando e sollecitando un »ruolo nuovo cioè il più vecchio ed ipocrita: quello di divenire la caricatura di se stesso, di assicurare al sistema, ed agli altri, in cambio di una »partecipazione , la fine dei propri valori, della propria forza, delle »idee e della cultura

che cesserebbe di essere per cominciare a »rappresentare sulla scena della vecchia recita della conservazione...

I compagni radicali, ricordando o ripercorrendo la storia del Partito, i testi delle mozioni approvate, dei discorsi fatti dal e nel e al paese, di quella lunga, paziente lotta che portò alla »risoluzione del Congresso di Firenze, sulla »chiusura -obbligata, decretata nella sostanza dal sistema e dal regime, tanto quanto per questi pericolosa se realizzata anche sul piano formale- del Partito radicale, ricordando che il partito rinunciò ad applicare nel 1986 fino in fondo quella risoluzione per doverosa umiltà e, in certo senso, per volontà e decisione degli oltre diecimila cittadini iscrittisi per »impedire la chiusura del partito , non perché ritenesse superate le ragioni o le costrizioni che la determinavano, i compagni radicali -dunque- comprenderanno meglio quanto siano gratuite, superficiali, e anche acritiche nei confronti di loro stessi, coloro che dal vertice del »gruppo dirigente del Partito, parlano con apparente sicurezza di »fughe in avanti .

Nessuna fuga in avanti

Il Partito, in questi anni, grazie in primo luogo a chi ha avuto il compito di assicurare chi ha avuto le responsabilità di conduzione, è tutt'altro che »fuggito , in avanti o indietro che sia. Ha anzi realizzato, il Partito, nel Paese, e anche fuori di esso, per la prima volta in modo consistente, anche se marginale, un »pieno di iniziativa politica. Lo ha fatto, alla fine, con il minimo di contraddizioni possibili. Dobbiamo sottolineare la non secondarietà del fatto che per realizzare il movimento referendario sull'ambiente e sulla giustizia, coerentemente con le analisi del Congresso di Firenze, confermate dai successivi, ha ottenuto che quelle iniziative non fossero »del Partito radicale (nella convinzione che sarebbero state in quanto tali destinate all'insuccesso o alla marginalità) ma di due »aree e di altre organizzazioni, oltre che la nostra.

Ciò malgrado, e come previsto, e anche se non possiamo rinunciare alla determinazione di lottare durissimamente in Senato e nel paese contro gli esiti legislativi che si stanno compiendo, tutti possono constatare che il »sistema , secondo le analisi che hanno portato alle decisioni del Congresso di Firenze, sta imponendo dopo i referendum darsi vinti, leggi peggiori di quelle che abbiamo abrogato. Si tratta di un esempio.

Aprire in Europa per non chiudere in Italia

L'alternativa non è, dunque, fra un partito »italiano (o -certo!- mica per sempre! Ancora per un annetto, o due, o almeno senza tagliarsi ponti dietro le spalle, senza imperativi categorici, senza... »salti nel buio !) e un Partito transnazionale: l'alternativa e tra la chiusura sostanziale, d'imperio, grazie anche alla non chiusura formale, del Partito radicale, e l'apertura formale, quanto più sostanziale possibile in termini di logica, del Partito radicale in Europa (per ora) e dovunque possibile. Personalmente ritengo che dobbiamo (come facemmo -se non dispiace a loro compagni- a Firenze e in tutti i Congressi e Convegni successivi fino al Congresso di febbraio scorso) fissarci obiettivi e calendari »quantitativi , »numerici per il primo semestre ed il secondo.

Il compito »istituzionale , »annuale del partito, dovrebbe quindi a mio sommesso avviso essere proprio quello, netto e secco, della costituzione effettiva di un soggetto politico transnazionale e transpartitico come premessa per compiere successivamente altre scelte organizzative e anche politiche, se del caso; e perché questa condizione minima si realizzi mi sembra occorra fissare in migliaia per giugno, e altre migliaia, per la fine del 1988, gli obiettivi senza la cui realizzazione l'organizzazione del Pr passi alla fase della sua attività di effettiva liquidazione.

Rischiare l'esistenza del Pr per non rischiare la fine

Occorre saper rischiare consapevolmente e fino in fondo l'esistenza del partito, se non vogliamo fargli rischiare, e ottenere, la sua fine. Occorre che vi sia, oggi, ma oggi, il Partito radicale anche fuori di Italia, e »come in Italia (non »quanto ), se vogliamo che ciò sia al livello della sua storia e delle sue ragioni anche in Italia.

Quel che mi pare difficile da eludere è una risposta a coloro che paventano »questa fine del partito in Italia, e non quella che per anni, prima del Congresso di Firenze, sul piano delle analisi e poi da allora sul piano delle delibere, il partito ha cercato di scongiurare, finora in parte riuscendovi, grazie anche a »miracoli (i »quindicimila , ad esempio) irripetibili, o quantomeno cui non possiamo ritenerci abbonati. Sembra davvero strana la loro disattenzione. Non abbiamo mai cessato, mi pare, di ripetere ossessivamente, puntigliosamente che dobbiamo deliberare, in modo netto e per ora conclusivo, la non presenza e la non partecipazione del Partito radicale, in quanto tale, in quanto tale, in quanto tale, ad elezioni politiche, e alla gestione delle istituzioni non solamente locali ma nazionali e internazionali.

Il Pr -in quanto tale- non si presenterà...

Questo significa, semplicemente, che il carattere »laico , operativo, »aperto , »non esclusivo , del Partito radicale, il suo carattere »non rappresentativo di chicchessia ma di strumento, utensile per chiunque, di servizio pubblico per tutti nella diversità di ciascuno, di struttura aperta, della sua deliberata, testarda, non discriminazione per età, sesso, religione, »politica e nazionalità (e nondiscriminazione deve alla fine pur significare tolleranza attiva, promozione, assicurazione, inveramento) fa un salto di qualità, si libera da contraddizioni coraggiosamente assunte, nel 1976, per »legittima difesa , per »stato di necessità che si è rappresentato sul fronte italiano, l'unico esistente dopo la legge sul finanziamento pubblico dei partiti, e dopo il sequestro da parte di questi di ogni spazio di comunicazione e di lotta civile e democratica. Chi ricordi la sorpresa con cui un Consiglio federale del partito accolse la mia proposta, improvvisa, in extremis, di così mutare gravemente gli aspetti fin

o ad allora tradizionali della politica radicale, e il fatto che nel 1983 (dopo soli sette anni, e dopo vent'anni di gestione del Pr) invitammo gli elettori a non votarci ed a non votare, e che ancora dieci mesi fa stavamo lavorando nella speranza di arrivare alle elezioni politiche del 1988 con liste »laiche almeno al Senato, dovrebbe meglio dimostrare di comprendere -quindi- quanto distorta sia divenuta anche la memoria storica di troppi anche tra di noi della vicenda, della realtà, della »natura del Partito radicale.

L'emblema: liberarlo da un limite renderlo più forte e rappresentativo

Quando il primo segretario del partito e il Tesoriere, il 29 dicembre, ritengono opportuno presentare alla stampa, prima ancora che al Congresso, e fanno molto bene, le proposte di »nuovo emblema del Partito radicale, non fanno che cercare di così ricordare, far comprendere, che l'emblema »italiano del Pr, quello che abbiamo avuto dal 1976 ad oggi in Italia (perché nella maggioranza dei paesi europei, per esempio, era inagibile essendo l'emblema dei partiti socialisti) non può essere imposto e cesserà di essere imposto in luoghi ed a compagni che non potrebbero, anche volendolo, usarlo; ma anche che quell'»emblema italiano in qualche misura si libera da un gravame, da un limite, da una indisponibilità -quale emblema di un partito per statuto, dal 1967, non nazionale- e può renderlo più forte, diversamente rappresentativo, di storie e speranze più numerose e amplie di quelle di oggi.

In Italia la rosa nel pugno resterà simbolo radicale

Certo, il Partito radicale dovrà garantirsi pienamente, sul piano giuridico e su quello politico, dall'appropriazione indebita, impropria, di questo che è stato il suo simbolo per oltre dieci anni, ed in battaglie memorabili ed impareggiabili. Ma chi potrebbe vietare nel partito, nel Partito radicale (federale, transnazionale), l'uso della »rosa nel pugno listata a lutto ad associazioni o liste »radicali per associazione o nella sostanza, che portino la dizione »giustizia e libertà , e »per il diritto alla vita e la vita del diritto , e via dicendo, in occasione di straordinaria importanza per l'evento o per l'importanza delle adesioni?

E chi mai potrà non solamente attendersi, ma intellettualmente consentire, che i cittadini italiani iscritti al Partito radicale, così come quelli di ogni altro paese, esauriscano nel »servizio radicale , nel Partito radicale, l'esercizio dei loro diritti e dei loro doveri civili, la cultura dei propri interessi e delle proprie capacità? Il postulato della »pluralità di tessere, ma anche soprattutto della pluralità degli impegni e degli obblighi, da parte di un partito che ha sempre tentato di essere quello di »una sola battaglia (per volta!), di un solo obiettivo annuale, dovrebbe finalmente, in tal modo, trovare la (quasi) necessità di realizzarsi.

Tornare alle radici della storia e dello statuto del Pr

Chi mai, tra i radicali che hanno saputo rischiare ogni giorno, senza riserve e senza reti, la vita del partito perché non ne morisse l'anima, di dolore, coloro che »erano (e non »avevano ) il Partito radicale, può aver avuto anche per un solo istante la volontà di pagare il prezzo della scomparsa in Italia del Partito radicale, e di lotte del Partito radicale, e di lotte a pieno titolo radicali? Non è questo che è oggi proposto come alternativa all'obbedienza al decreto quotidiano di chiusura sostanziale del Partito radicale, alla quotidiana deturpazione della sua identità attraverso l'imposizione di una immagine non sua propria; quel che il Primo segretario del partito ci propone, coerentemente con i mandati che sono i suoi (ed i nostri, di noi tutti) è al contrario il ritorno in forza alle radici e alla linfa della storia del Partito radicale, alla lettera del suo statuto, alla diversità, che ci ha consentito di essere anche il più efficace e capace degli »uguali dei partiti nazionali esistenti, per i

l tempo possibile, ed anche quasi impossibile, e necessario, del compromesso vitale, che non può divenire di compromissione definitiva come alcuni inavvertitamente erano o sono pronti a vivere.

Porci un limite e un obiettivo

Occorre, naturalmente, aggiungere alla proposta politica adeguate armi per rispettarla o attuarla. Prima fra tutte, lo ripeto, quello del termine del tentativo, e della soglia minima di persone che deve essere raggiunta perché si possa davvero sperare che il Partito radicale torni in Italia, e inizi finalmente un po' ovunque a operare e lottare perché il nostro tempo e la nostra società (non alcuni consigli di amministrazione delle istituzioni pubbliche, o private) mutino nel senso della vita e della libertà, della giustizia e dell'amore, non nei loro contrari.

In questo quadro e contesto vedo il Congresso di Bologna.

Un congresso in cui qualsiasi esasperazione di problemi e di punti di vista, di esigenze e di richieste pur ragionevoli, che siano »particolari -anche »particolarmente importanti - troverà insidie e cadute insuperabili.

Ed è questo il »dopo Pannella che mi importa: quello che per mio conto sono riuscito fin qui a vivere sempre nella mia esistenza di compagno e di persona e che sarebbe bene diventi capacità di tutti, anche di coloro che son vittime (magari inconsapevoli) del grande leader e che sul »carisma rischiano sempre di edificare il proprio »modesto destino -che altrimenti non esisterebbe- e di trovare nei momenti di rabbia, una falsa ragione di rivolta e di rivalsa.

 
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