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Rutelli Francesco - 29 aprile 1988
Il partito radicale nonviolento: in Italia per la vita del Diritto, ovunque per il diritto alla vita.
Francesco Rutelli

SOMMARIO: La nonviolenza radicale è nonviolenza politica; è forza della verità e quindi dialogo e capacità di convincere. Per questo la base dell'azione nonviolenta radicale è sempre stata l'informazione; e il problema di oggi è proprio quello di trovare un tramite con i cittadini, che sono sempre più sfiduciati, disattenti e indisponibili verso la politica. Partendo dallo slogan del Pr "per la vita del Diritto e il diritto alla vita", l'autore propone un partito radicale transpartitico che, in Italia, si batta contro la violenza indiretta nel campo dell'informazione, per la vita del Diritto, e un partito radicale transnazionale che si batta nel mondo contro le violenze dirette, per il diritto alla vita.

(Atti del convegno "I radicali e la nonviolenza: un metodo, una speranza", Roma 29-30 aprile 1988)

Io mi scuso preliminarmente per il fatto che me ne andrò subito dopo aver parlato, perché sono in partenza per Napoli per una manifestazione sulla giustizia, e per il fatto che riverserò soltanto alcune osservazioni sparse.

Quando si è discusso sulla vicenda staliniana mi ha impressionato una cosa: che nel resoconto dell'improvviso arresto di Beria, che era il braccio del terrore staliniano, c'è questo elemento biografico. Beria viene arrestato, sorpreso durante una riunione di vertice da alcuni ufficiali coraggiosi, fidatissimi, e viene portato in una caserma: e lì lui, che è l'uomo per eccellenza espressione del cinismo, della violenza organizzata del regime sovietico, inizia uno sciopero della fame, e lo prosegue per dodici giorni pretendendo di essere informato sulla sua condizione e la sua sorte.

Credo che questo sia un esempio abbastanza significativo e illuminante. E' vero che Gandhi dice che c'è la nonviolenza del debole e la nonviolenza del forte, intendendo dire che la nonviolenza non deve essere un'arma volta alla sconfitta o a testimoniare una condizione di sconfitta, ma che deve nascere da una condizione di grande consapevolezza e forza morale e deve essere volta alla risoluzione dei conflitti in termini positivi. Però è anche vero che quando un uomo che è forse la massima espressione di una potenza autoritaria si trova nudo, disarmato, ha solo quella possibilità di espressione e di iniziativa: e, nei confronti del nuovo potere che in fondo non sa neanche tanto bene leggere, probabilmente, e identificare, ha questo riflesso e prende questa iniziativa.

Allora io credo che in tutti questi anni noi abbiamo imparato che per noi radicali la nonviolenza è per un verso un armamentario complicato, vasto e anche - se vogliamo usare questa espressione - sofisticato, nel senso che va usato con intelligenza, va usato con appropriatezza e in fondo è tutt'altra cosa da quello che pensano alcuni, che vedono la nonviolenza come fatto di moralità interiore che ci si tiene dentro, addirittura come la proiezione di una concezione mistica o di teorie astratte.

La storia del Partito radicale ci ha insegnato che la nonviolenza radicale è nonviolenza politica, cioè non solo un armamentario ma un modo di intendere la vita, un modo di intendere la democrazia, un modo di intendere le libertà fondamentali: e soprattutto per noi nonviolenza politica è il concetto di fondo per cui il cittadino sa che può cambiare le cose, può risolvere, può "contare".

E, quindi, nonviolenza e democrazia camminano insieme. In fondo il vero veicolo - se vogliamo parlare in termini di strumenti - con cui noi ci siamo sempre misurati e che ha rappresentato il presupposto, la base della politica radicale e dell'azione nonviolenta radicale, è il nodo dell'informazione: perché rimane una proiezione interiore, appunto, la convinzione che per spezzare la violenza occorre agire senza violenza e occorre dialogare, che la nonviolenza è prima di tutto dialogo nell'espressione, che è poi il titolo di questa Associazione Satyagraha.

Satyagraha è appunto la forza della verità, e quindi la nonviolenza è innanzitutto dialogo, capacità di convincere: dunque, la nonviolenza esige la necessità di comunicare.

E non a caso tutte le battaglie radicali hanno poi sbattuto su questo: sul fatto che si potesse raggiungere i cittadini e spiegar loro che si poteva arrivare a cambiare le cose che non andavano, attraverso la disobbedienza civile, cioè usando delle leggi che sono superate nella coscienza dei cittadini al fine di superarle anche nella legislazione; oppure rifiutandosi di obbedire a leggi ingiuste e assumendosi il carico di questa disobbedienza.

I vari strumenti, i vari momenti, le varie azioni hanno sempre fatto i conti col problema dell'informazione, cioè con la necessità di trovare un tramite con i cittadini. Ecco, io credo che il nostro grande problema oggi sia esattamente questo.

Noi viviamo in questo contesto italiano e ci dobbiamo misurare con una Società che attraversa, indiscutibilmente, da una parte una crisi di valori e dall'altra una dinamica di corruzione generalizzata: questo è, inutile tacerlo, il nostro grande problema, che in fondo c'è sfiducia verso la politica e quindi poca credibilità di azioni apparentemente bizzarre come potrebbero essere molte delle manifestazioni tipicamente nonviolente; perché, in fondo, "la politica è un'altra cosa"... E tanto più risalta questa diversità radicale in particolare nell'azione, nell'espressione nonviolenta, in quanto noi oggi facciamo i conti con una società in misura crescente consumista, in misura crescente distratta, in misura crescente sfiduciata, disattenta e indisponibile verso la politica perché si misura con una politica che è occupazione del potere.

Io ricordo un'intervista che Pannella concesse a questo giornale che abbiamo fatto a fine anni settanta, in cui diceva che in fondo la sfida dei radicali... peccato non averlo portato qui, mi sarebbe piaciuto citarlo testualmente... la sfida è quella di poter dire che noi vogliamo fare nella politica le stesse cose che ci sembrano giuste e belle nella nostra vita, nelle nostre convinzioni, mentre ci hanno sempre spiegato e ci spiegano che la politica è un'altra cosa, cioè che la politica sono gli affari, che la politica è compromissione, ed è qualcosa che non ha nulla a che vedere con le idee, con le convinzioni, con le speranze di cambiamento, di onestà, di pulizia.

Credo che in questo si riassuma in fondo, oggi, il vero problema; e qui azzardo quella che può sembrare una forzatura e probabilmente lo è davvero, giusto una riflessione, forse l'unica che porto oggi. In fondo il Partito radicale ha adottato questo slogan, unico ma diviso in due corni, "per la vita del Diritto e per il diritto alla vita"; il nostro scontro e la nostra battaglia diciamo così "interna", in questa Italia in cui viviamo, secondo me è essenzialmente la battaglia per la vita del Diritto, cioè la battaglia perché ci siano regole certe, e quindi credibilità della democrazia, possibilità di lotta politica, informazione dei cittadini e conseguente possibilità di cambiamento vero: democrazia, confronto di idee, scontro, e poi non una sintesi finale, ma la scelta finale. Questo è democrazia per noi, in questo ha un suo ruolo la nonviolenza politica; e quindi secondo me la priorità in Italia, per un partito come il nostro, è di avere una Società pulita, una Società idealmente incorrotta o quanto meno in

cui sia possibile fare queste cose, e allora i cittadini possono ascoltare una voce che fa politica come dichiara di farla, e che vive come afferma di vivere la lotta politica.

Quindi, secondo me, battaglia per la vita del Diritto, cioè per la certezza della legge, è la difficoltà dell'azione politica nonviolenta di essere ascoltati, di essere creduti, di mobilitare: difficoltà enorme, che abbiamo, e che è testimoniata proprio da questo, dalla non-credibilità della politica, dal vedere i radicali come strani animali che stanno in un Bazar... qualcuno pensa che recitano, qualcuno che fanno sul serio, in generale ci riconoscono una certa diversità ed onestà (questo, credo, è un dato generalizzato) ma in alcuni si trasforma nel giudizio negativo sulla stramberia, sull'eccesso eccetera. Ma se dobbiamo guardare al Partito radicale come partito della democrazia per eccellenza, nel nostro Paese, allora è partito necessariamente trans-partitico, per eccellenza partito che sceglie di praticare la nonviolenza politica nelle sue diverse manifestazioni, è il partito della pulizia, dell'onestà della verità.

Il partito del diritto alla vita viceversa, ma contestualmente, è forse il partito che si proietta di più sulla scena mondiale, ed è il partito che fa la scelta trans-nazionale. Perché dico questo? Perché secondo me noi abbiamo avuto un momento di identificazione quasi totale del Partito radicale nonviolento, del preambolo allo statuto, nella battaglia contro lo sterminio per fame: quello era il momento massimo, in cui la priorità era il diritto alla vita, l'affermazione degli strumenti politici, legislativi, di informazione, di consapevolezza, che lo consentissero.

Il Partito radicale dei democratici e dei nonviolenti, dei libertari e della vita del Diritto, è quel partito che si batte (per stare alla distinzione classica che si legge sui testi della nonviolenza) contro la violenza indiretta. Questa è una definizione di Galtung, se non sbaglio: la violenza diretta è quella che produce violenza fisica, visibile... l'uccisione, la tortura, l'incarcerazione, la privazione materiale della libertà, la strage, lo sterminio, l'eccidio, la guerra; la violenza indiretta, o strutturale, è invece la violenza che viene dalla mancanza di democrazia, la violenza della sopraffazione, la violenza economica, la violenza giuridica, la mancanza di certezza del Diritto. Il partito radicale nonviolento e democratico, transpartitico, italiano, è il partito che si deve battere prima di tutto contro la violenza indiretta, nel campo dell'informazione, della mancanza delle regole.

Io non credo che esista un partito "radical-democratico" ed un partito "radical-nonviolento": esiste un Partito radicale inscindibilmente con queste caratteristiche comuni, congiunte, interne.

Il Partito radicale ha senso solo se è il partito dei democratici (come in fondo si chiamava quell'alleanza elettorale che si fece, se non sbaglio, nel 1958) ed è il partito dei nonviolenti, cioè dei cittadini che credono che non è il fine che giustifica i mezzi, ma sono i mezzi che prefigurano il fine: come diceva Gandhi che nel seme c'è l'albero, e c'è il fiore, che nasceranno, e da un seme violento può non nascere il fiore della nonviolenza.

Il Partito radicale nonviolento e democratico transnazionale è quello che si batte per il diritto alla vita, che si batte contro le spaventose violenze dirette che esistono nel mondo: la tortura, le incarcerazioni, i massacri, le uccisioni; questa è la grande priorità, e penso all'azione per i diritti umani in particolare.

Sono stato giorni fa in Centro-America e sono rimasto impressionato a sentire il custode dell'Ambasciata italiana a Città del Guatemala che raccontava delle feste di Pasqua. "Siamo stati tutti insieme, si è incontrata tutta la famiglia - diceva - è stato meraviglioso, abbiamo mangiato e bevuto fino a notte fonda". Dopo un bel po' di descrizioni, disse: "Purtroppo quell'imbecille del mio nipotino è annegato nel fiume". Capite? Gli aveva rovinato la festa. Questo è per dire che il problema del valore della vita è un problema molto grosso, nel mondo. E questo partito che lancia (non come Amnesty International, e già quella è una cosa molto importante, con le lettere, la vigilanza, l'iniziativa giuridica, per il controllo sui diritti umani) ma che lancia l'azione diretta transnazionale per la difesa della vita, del valore della vita, e per l'affermazione di una vita che conta, che vale allo stesso modo che a Piazza Montecitorio... lì, quando noi durante le manifestazioni pretendiamo di non essere sballottati da

Stella il questurino che di solito ci porta via nei suoi blindati, e ci lamentiamo se ci storce un braccio... e invece del ragazzino che annega in Guatemala, ma è uno dei dieci figli, o del bambino che muore nel cuore dell'Africa, nessuno saprà mai nulla, perché è uno dei quarantamila bambini che muoiono ogni girono: una Hiroshima ogni due giorni, come abbiamo detto.

Il partito del diritto alla vita va inteso come partito della azione diretta: anche qui, forse, la mia è una forzatura, ma è una forzatura, se vogliamo, "di indirizzo di priorità", perché alla fine dobbiamo stabilire delle priorità. Mi ricordo sempre lo slogan della marcia Perugia-Assisi, di ispirazione capitiniana, e poi di Pinna e degli altri nostri compagni: "a ognuno di fare qualcosa".

Era uno slogan molto bello e molto giusto, perché di nonviolenza a parole e a chiacchiere ce n'è tanta in giro, di nonviolenza delle belle teorie ce n'è tanta, ma la forza del Partito radicale è sempre stata in questo imperativo: ad ognuno di fare qualcosa. Perché se poi un tizio è tanto nonviolento, ma quando va a fare il servizio militare accetta pure di mettersi su un Tornado, se è tanto nonviolento però poi magari lavora in una fabbrica di armi, se è tanto nonviolento però poi collabora attivamente in non so quale attività violenta, arbitraria, antidialogica, allora credo che questo sia un problema concreto.

La storia del PArtito radicale è tutta fatta di scelte: e allora ecco la riflessione.

Nella grande difficoltà del contesto sociale del nostro Paese e della sua evoluzione rispetto alla crisi di credibilità della politica e la difficoltà della disponibilità militante con la quale ci confrontiamo tutti: qui il Partito radicale in Italia, partito transpartitico, partito della vita del Diritto, partito che si batte contro le manifestazioni della violenza del potere, che abbiamo imparato bene a identificare, denunciare e combattere.

Partito radicale che si proietta all'estero (all'estero fra virgolette, cioè come espressione non nazionale ma transnazionale), partito che è la Amnesty International del diritto alla vita, dell'azione diretta per l'habeas corpus, per la salvaguardia del valore della vita umana: per spiegare alla gente, se possibile a livello internazionale, quali sono i valori per i quali ci si batte.

Questi possono essere due cammini possibili, due terreni concreti di identificazione della politica nonviolenta del Partito radicale.

E poi la mia speranza che dal nostro incontro nasca anche la possibilità di un affinamento, di una riflessione anche sulle tecniche di azione nonviolenta: una riflessione su come sono andate le cose in tutti questi anni, su come dovrebbero andare prossimamente.

Questo sarebbe un contributo molto utile in un'iniziativa che mi pare già molto meritorias, e di cui tanti compagni radicali spero leggeranno gli Atti con la dovuta attenzione. L'iniziativa è giusta e importante: e allora nelle prossime settimane magari vediamo di svilupparla a tema, focalizzando l'una o l'altra delle questioni che possono uscire da una discussione come questa.

Scusate la frammentarietà, e grazie.

 
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