Radicali.it - sito ufficiale di Radicali Italiani
Notizie Radicali, il giornale telematico di Radicali Italiani
cerca [dal 1999]


i testi dal 1955 al 1998

  RSS
gio 18 apr. 2024
[ cerca in archivio ] ARCHIVIO STORICO RADICALE
Archivio Partito radicale
Brown Lester - 1 ottobre 1988
RIDEFINIRE LA SICUREZZA NAZIONALE
di Lester Brown

SOMMARIO: Una analisi dell'economia mondiale degli ultimi quarant'anni, che viene qui condotta dall'Autore seguendo alcune tendenze macroeconomiche ben precise, mette in rilievo un processo di militarizzazione dell'economia mondiale che, finora, non ha conosciuto soste. Occorre però, a questo punto e di fronte all'emergere di altre priorità ed urgenze (l'emergenza ambientale e il problema del debito del Terzo Mondo, in particolare), sapere riorientare le risorse fin qui adoperate in nome di un concetto di sicurezza esclusivamente di ordine militare.

(Irdisp - Quale disarmo - Franco Angeli editore - Milano - ottobre 1988)

1. Introduzione

Per quasi tutto questo dopoguerra, un'economia in espansione ha creato le condizioni per produrre, come si suol dire, più burro e più cannoni. Per molti paesi, tuttavia, questa fase è ormai terminata. Considerando che stanno montando le pressioni sugli ecosistemi e sulle risorse naturali, che si sta oltrepassando il limite nella capacità di sostegno dei sistemi biologici locali, che vanno esaurendosi le riserve di petrolio, i governi non possono più allo stesso tempo aumentare le spese militari e tenere efficacemente sotto controllo le forze che minacciano le loro economie.

Si tratta quindi di scegliere tra la continua militarizzazione dell'economia e la ricostituzione degli ecosistemi che la sostengono; tra la militarizzazione continua ed i tentativi per arrestare la crescita del debito degli Stati Uniti; tra la militarizzazione e le nuove iniziative per far fronte al debito del Terzo Mondo, che come una nube minacciosa grava sul futuro economico del globo. Il mondo non ha né le risorse finanziarie, né il tempo e l'attenzione dei suoi leader per poter nel contempo proseguire nella corsa al riarmo e affrontare queste nuove minacce alla sicurezza.

L'espressione 'sicurezza nazionale' è diventata un luogo comune, un concetto al quale si ricorre molto spesso. Ci si ricorre per giustificare la permanenza degli eserciti, lo sviluppo di nuovi sistemi d'arma e la produzione di armamenti. Un quarto di tutte le tasse federali negli Stati Uniti, e almeno un ammontare equivalente nell'Unione Sovietica, viene riscosso in suo nome.

Dalla seconda guerra mondiale in poi, il concetto di sicurezza nazionale ha acquisito un carattere prevalentemente militare, basato sul presupposto che la minaccia più grossa alla sicurezza proviene da altre nazioni. Di solito avvolte nel segreto, le minacce militari hanno acquistato tanta preponderanza che le nuove minacce alla sicurezza delle nazioni, minacce che non possono essere fronteggiate dalle forze militari, vengono ignorate.

Le nuove fonti di pericolo vanno cercate nell'esaurimento del petrolio, nell'erosione del suolo, nel degrado della terra coltivabile, nella riduzione delle foreste, nel deterioramento delle praterie e nell'alterazione climatica. Questi sviluppi che influiscono sulle risorse ed i sistemi naturali da cui dipende l'economia, non minacciano soltanto la sicurezza nazionale economica e politica, ma anche la stabilità dell'economia internazionale stessa.

2. Militarizzazione dell'economia mondiale

L'idea che tutti i paesi dovrebbero essere pronti a difendersi in ogni momento da ogni possibile minaccia esterna è relativamente recente. Prima della seconda guerra mondiale, i vari paesi mobilitavano le truppe in tempo di guerra, invece di fare affidamento su grossi insediamenti militari permanenti. Da allora l'onere militare sull'economia è cresciuto enormemente. Le spese militari globali nel 1985, corrispondenti a 940 miliardi di dollari, hanno superato il reddito della metà più povera dell'umanità. In altre parole esse eccedevano il prodotto nazionale lordo combinato della Cina, dell'India, e degli Stati Africani a sud del Sahara

(1).

La militarizzazione può essere misurata a livello nazionale come la quota del prodotto nazionale lordo (PNL) impiegata nella produzione di beni e servizi militari, o come la quota militare del bilancio statale. Globalmente può essere intesa come la quota militare del prodotto globale e come l'incidenza delle armi nel commercio internazionale. Per i confronti internazionali, la quota del PNL utilizzata per scopi militari è il criterio migliore, poiché può essere applicato a paesi con sistemi economici assai diversi tra loro. La militarizzazione può anche essere misurata in termini di occupazione: il numero di persone in servizio nelle forze armate, e impegnato nella ricerca militare e nella produzione di armamenti.

Comunque lo si misuri, negli ultimi venti anni il settore militare ha aumentato la sua presenza nell'economia mondiale. Espresse in dollari del 1984, le spese militari mondiali si aggiravano attorno ai 400 miliardi nel 1960, cioè il 4,7% della ricchezza prodotta (cfr. Figura 7.1). Dal 1960 in poi, il tasso di crescita della spesa militare è stato più sostenuto di quello dell'economia mondiale, così che nel 1985 la quota militare ha superato il 6% della ricchezza prodotta. Durante quest'ultimo quarto di secolo le spese militari globali sono aumentate ogni anno, senza tener conto di crisi economiche o di trattati sul controllo degli armamenti da parte delle due superpotenze (2).

Il motivo principale dell'incalzante militarizzazione globale è il conflitto ideologico tra l'Unione Sovietica con i suoi alleati socialisti da una parte, e gli Stati Uniti alleati con i paesi democratici industrializzati dall'altra. Inoltre l'allineamento degli Stati del Terzo Mondo con le due superpotenze ha reso la militarizzazione un fenomeno comune a tutti, indipendente dal livello di sviluppo economico. La ricerca continua della supremazia ha comportato una crescita enorme delle spese militari da ambo le parti. Nel 1985, mentre gli Stati Uniti devolvevano alla Difesa circa il 7% del PNL, l'Unione Sovietica, cercando di mantenersi competitiva con una base economica molto più piccola, spendeva il 14% (3).

'Fig. 7.1 - Spese militari mondiali 1960-85 (dollari del 1984)'

-figura-

Fonti: ACDA; World Priorities.

Nonostante lo sforzo militare degli Stati Uniti e dell'Unione Sovietica sia rivolto soprattutto a fronteggiarsi l'un l'altra, i due paesi sono riusciti ad evitare uno conflitto diretto. Senza rischiare un coinvolgimento delle loro capacità militari, reciprocamente distruttive, le due superpotenze si sono avvalse di paesi terzi come Corea, Vietnam, Afghanistan; e gli Stati dell'Africa dell'est e dell'America centrale per continuare il loro conflitto ideologico. Ciò ha alimentato la militarizzazione nel Terzo Mondo, distorcendo l'ordine di priorità e ritardando lo sviluppo. Il presidente dell'organismo pakistano per la programmazione, Mahbud ul Haq, ha affermato: "I paesi in via di sviluppo non possono pagare l'onere che deriva da una situazione geopolitica così tesa" (4).

Un'altra fonte di militarizzazione va cercata nei proventi derivati dal petrolio nella situazione politica così instabile del medio oriente. Le tradizionali tensioni tra arabi e israeliani hanno causato grosse spese militari da parte di Israele, Egitto e Siria. Più recentemente i conflitti tra le varie sette musulmane sono stati motivo di profonda tensione. In realtà le divisioni nel mondo musulmano sono una delle cause principali del costoso conflitto tra Iraq e Iran, che ha già causato centinaia di migliaia di morti. Purtroppo gran parte delle sostanziose entrate petrolifere viene investita nel settore militare e nella distruzione delle infrastrutture petrolifere della regione, piuttosto che nell'inversione del degrado ambientale o nella modernizzazione economica.

Conflitti ideologici a livello mondiale, differenze di religione nel medio oriente, e un'aggressiva esportazione di armi hanno fatto sì che il tasso di crescita delle spese militari nel Terzo Mondo superi di gran lunga quello dei paesi industrializzati. Tra il 1960 e il 1981, queste spese sono aumentate di circa il 7% l'anno, rispetto al 3,7% dei paesi industrializzati. Nel 1960 le attività militari del Terzo Mondo erano meno di un decimo del totale globale; nel 1981 erano più di un quinto di un totale assai maggiore in cifre assolute (5).

La quota del prodotto nazionale investita nel settore militare varia ampiamente a secondo dei paesi. Nel mondo industrializzato in testa troviamo l'Unione Sovietica e gli Stati Uniti; i loro alleati, rispettivamente del Patto di Varsavia e della NATO seguono da presso (cfr. Tabella 7.2). Il Giappone, che si avvale della presenza militare degli Stati Uniti nella regione e di un limite costituzionale alle proprie attività militari, spende leggermente meno dell'1% del suo PNL per scopi militari.

'Tab. 7.2 - Le spese militari di alcuni paesi come quota del PNL - 1984'

-tabella-

Fonti: U.S Arms Control and Disarmament Agency, 'World Military and Arms Transfers 1985', Washington DC, 1985; Stockholm International Peace Research Institute Yearbook, 'World Armaments and Disarmament', Taylor Francis, London, 1985.

Nell'ambito del Terzo Mondo, il settore militare è più sviluppato nell'instabile medio oriente. Siria, Giordania, Arabia Saudita e Israele spendono tra il 13 e il 29 per cento delle loro risorse economiche per mantenere vasti insediamenti militari. La cosa più sconcertante è che la militarizzazione si sta espandendo rapidamente in Africa, la regione che meno di tutti può permetterselo. Il continente nel suo assieme spende oggi 16 miliardi di dollari all'anno in questo settore. In America Latina, le spese militari dei due paesi più popolosi, il Brasile e il Messico, sono sorprendentemente basse - in media meno dell'1% del PNL. L'America centrale rappresenta tuttavia un'eccezione, con El Salvador e Nicaragua che spendono per scopi militari rispettivamente il 4 e più del 10 per cento del PNL (6).

Nell'ultimo quarto di secolo, il commercio internazionale di armi si è intensificato notevolmente a causa della militarizzazione delle economie del Terzo Mondo, cui manca la capacità di produrre in proprio armi. Le spese in importazioni di armi hanno eclissato quelle per altri beni, grano incluso. Per esempio, anche se il commercio mondiale di grano è cresciuto con un tasso annuo di quasi il 12% dal 1970 al 1984, negli anni '80 è stato superato dalle transazioni di armamenti, che sono aumentate nello stesso periodo a un tasso annuo superiore al 13%. Nel 1984 le importazioni mondiali di armi ammontavano a 35 miliardi di dollari all'anno, contro i 33 miliardi di dollari per importazioni di grano; i cannoni precedono il pane, quindi, nel commercio mondiale (7) (cfr. Figura 7.3).

Stati Uniti e Unione Sovietica dominano il mercato delle esportazioni di armi, contando assieme negli ultimi anni per il 53% del totale mondiale. Nel 1984 gli Stati Uniti hanno esportato armi per un totale di 7,7 miliardi di dollari, quasi il 4% del totale delle loro esportazioni. Le esportazioni di armi sovietiche, pari a 9,4 miliardi di dollari, hanno rappresentato circa il 12% delle esportazioni dell'Urss e hanno fatto entrare abbastanza valuta straniera da pagare i 6 miliardi di dollari di grano importato. Gli altri principali esportatori mondiali sono alleati degli Stati Uniti, cioè Francia, Regno Unito, Germania Occidentale e Italia, che coprono dal terzo al sesto posto della classifica mondiale dei fornitori di armamenti (8).

Le importazioni di armi sono distribuite molto più ampiamente tra i vari paesi, anche se il medio oriente copre più della metà del totale. Agli inizi degli anni '80, 7 su 10 dei principali importatori di armi del Terzo Mondo erano in questa regione: l'Egitto, la Siria, l'Iraq, la Libia, la Giordania, l'Arabia Saudita e Israele. L'India, al quarto posto, era l'unico paese al di fuori della regione tra i primi 5 (9).

'Fig. 7.3 - Importazioni di grano e importazioni di armamenti nel mondo, 1960-84 (dollari correnti)'

-figura-

Fonti: U.S. Department of Ariculture; ACDA.

La militarizzazione svolge un ruolo importante non solo a livello economico ma anche politico. All'aumentare dell'importanza del settore militare nei paesi del Terzo Mondo spesso si accompagna la presa del potere con la forza. In alcuni casi, i colpi di Stato militari sono giustificati dall'esigenza di salvare un paese dalla corruzione o da crisi economiche create da governi incapaci. Più spesso essi riflettono l'ambizione di leader militari, male preparati a governare, ma che dispongono di armi e di truppe che consentono loro di salire al potere con la forza.

Quando un governo è in mano ai militari, questi spesso danno la priorità a un'ulteriore militarizzazione dell'economia. Nel decennio successivo al colpo di Stato militare che ha deposto Haile Selassie, ad esempio, l'Etiopia ha messo insieme l'esercito più grande dell'Africa sub-sahariana, ed ora spende il 42% del suo bilancio pubblico per scopi militari (10).

In molti paesi del Terzo Mondo ci si preoccupa di più delle forze di sicurezza interna che dello stato di crisi in cui versa l'economia. Paradossalmente, i militari spesso usano le loro armi per diventare un gruppo di potere autolegittimantesi, terrorizzando quella popolazione che dovrebbero proteggere. Le forze militari in Africa, impiegate solo di rado per difendersi da aggressioni esterne, vengono schierate soprattutto a fini di controllo interno. Il reporter del New York Times, Clifford May, descrive questa situazione in termini di una nuova casta di soldati trasformatasi in classe dominante. I soldati, generosamente sostenuti dal governo, "dispongono di fucili e proiettili, mentre ai contadini mancano le sementi e le zappe". May inoltre sottolinea l'incongruenza tecnologica dei caccia-bombardieri MIG che sorvolano campi arati dai buoi (11).

In nessun campo gli effetti perversi della militarizzazione sono più evidenti che nella sua capacità di reclutare il personale scientifico mondiale. Ogni anno si spende al mondo in ricerche per aumentare la capacità distruttiva delle armi, molte volte di più di quanto non vada al tentativo di aumentare la produttività agricola. In realtà le spese per la ricerca militare, nella quale lavora oggi mezzo milione di scienziati, superano di gran lunga quelle, sommate, per: lo sviluppo di nuove tecnologie energetiche, la salute, l'aumento della produttività agricola ed il controllo dell'inquinamento (12).

Il dominio militare sulla ricerca scientifica mondiale continuerà sicuramente a crescere se il governo degli Stati Uniti svilupperà la sua 'Strategic Defense Initiative' (Iniziativa di Difesa Strategica), in sigla SDI. Il più grande progetto di ricerca mai avviato, le cosiddette Guerre Stellari, sottrarrà ulteriormente risorse dai bisogni più impellenti dell'umanità. Colin Normann scriveva in un suo Worldwatch Paper del 1979: "Gli Stati Uniti hanno la capacità di tenere sotto osservazione praticamente ogni metro quadrato del territorio sovietico; purtuttavia gli scienziati hanno appena cominciato a fare lo stesso con i complessi ecosistemi delle foreste tropicali in via di rapida estinzione o con la sciagura dell'estendersi delle zone desertiche nel mondo" (13).

3. I costi per le due superpotenze

I costi della corsa agli armamenti delle due superpotenze superano ogni semplice calcolo fiscale. Essi stanno esaurendo le loro riserve, indebolendo le loro economie e facendo loro perdere competitività nell'economia internazionale. Questo lungo ed interminabile conflitto contribuisce a un riallineamento dei maggiori paesi industrializzati, con il Giappone che sta assumendo una posizione dominante nell'economia mondiale. Una delle ragioni chiave dell'emergere del Giappone come superpotenza economica è il suo trascurabile livello di spese militari - meno dell'1% del PNL.

Il raddoppio del debito nazionale degli Stati Uniti, da 914 miliardi dollari nel 1980 a 1841 miliardi di dollari nel 1985, è dovuto soprattutto all'aumentare delle spese militari. Tra il 1980 e il 1985, le spese militari statunitensi sono passate da 134 a 244 miliardi di dollari (in moneta corrente). Questo aumento di circa 110 miliardi di dollari giganteggia a confronto della crescita negli altri settori economici principali, incluse l'assistenza sanitaria e l'agricoltura, con aumenti rispettivamente di 11 e 15 miliardi di dollari. Mentre il debito più che raddoppiava tra il 1980 e 1985, il pagamento degli interessi sul totale dovuto, essendo il tasto d'interesse reale più alto, saliva ancor di più, toccando una cifra stimata in 143 miliardi di dollari nel 1986 (14) (cfr. Figura 7.4).

'Fig. 7.4 - Interessi netti pagati sul debito federale Usa, 1960-84 (dollari correnti)'

-figura-

Fonte: U.S. Office of Management and Budget.

Il debito federale crescente sta ipotecando il futuro dell'economia americana e di conseguenza la sua posizione nell'economia mondiale. Tra l'altro, ciò causa tassi d'interesse reale (il tasso d'interesse dedotta l'inflazione) di livello record e un dollaro sopravvalutato che rende le esportazioni americane più care, indebolendo così la competitività del paese.

L'industria negli Stati Uniti, è stata doppiamente danneggiata dall'aumentare delle spese militari. Con una media di oltre 200 miliardi di dollari l'anno dal 1981, le spese militari americane durante la prima metà degli anni '80 hanno totalizzato 1000 miliardi di dollari, sottraendo così capitali per investimenti in impianti ed attrezzature industriali e lasciando quindi il paese con strutture antiquate ed inefficienti. Anche se vi sono società americane che hanno capitali da investire, esse sono restie a farlo nel loro paese, a causa della loro incapacità nel competere sui mercati stranieri e su quello interno. Un risultato di tutto ciò è la diminuzione di produzione nelle industrie di base, come quella siderurgica, quella automobilistica e quella dei macchinari industriali. Tra il 1981 e il 1984, un periodo di moderata espansione economica sia negli Stati Uniti che nel resto del mondo, 2 milioni di americani hanno perso il proprio posto di lavoro in queste industrie di base (15).

La sopravvalutazione del dollaro e la mancanza di investimenti in nuova capacità industriale hanno profondamente cambiato il ruolo degli Stati Uniti nel commercio mondiale. Ancora nel 1975 gli Stati Uniti avevano un leggero surplus negli scambi commerciali. Nel 1980, invece, si ebbe un deficit di 36 miliardi di dollari (cfr. Tabella 7.5). Malgrado fosse rilevante in termini assoluti, questo deficit poneva pochi problemi all'epoca, considerando il reddito risultante dai cospicui investimenti e prestiti americani all'estero, che compensavano l'uscita commerciale netta.

'Tab. 7.5 - Bilancia commerciale Usa, 1950-84 (in miliardi di dollari correnti)'

-tabella-

Fonti: International Monetary Fund, 'International Financial Statistics Yearbook - 1984' e Monthly Supplement, Washington DC, 1984 e luglio 1985; Worldwatch Institute.

L'equilibrio si ruppe, comunque, quando il deficit commerciale salì, nel 1983, a 70 miliardi di dollari e alla stupefacente cifra di 150 miliardi nel 1985. L'esplosione del deficit commerciale degli Stati Uniti e il relativo indebitamento estero per finanziare il deficit federale hanno significato per il paese la perdita della sua posizione di principale investitore internazionale. Gli Stati Uniti sono diventati tutto d'un tratto una nazione debitrice. Questo è un cambiamento inquietante per il paese, se si considera che la sua leadership internazionale nel dopoguerra è derivata in gran parte dalla sua forza e dal suo prestigio in campo economico. Le spese militari che stanno indebolendo il paese economicamente, diminuiscono contemporaneamente la sua statura nella comunità internazionale e la capacità di leadership.

Anche l'Unione Sovietica sta pagando un prezzo molto alto per il proprio ruolo nella corsa agli armamenti, mantenendo l'economia in uno stato d'arretratezza, nonostante la ricchezza delle sue risorse naturali. Le spese militari utilizzano improduttivamente circa un settimo delle risorse del paese. Inoltre esse distolgono l'attenzione dalle riforme economiche necessarie a che l'economia sovietica rimanga una potenza economica mondiale.

Dagli inizi degli anni '50 fino alla fine degli anni '70, l'economia sovietica è cresciuta del 5% circa l'anno, un tasso di espansione che ha propulso molti settori. Il risparmio forzato ed una vasta riserva di forza lavoro rurale sottoutilizzata cui attingere per l'industrializzazione ha favorito tale crescita. Oggi il risparmio forzato continua, ma è rimasta poca forza lavoro da trasferire dal travagliato settore primario all'industria (16).

La crescita dell'industria sovietica ha rallentato molto il suo ritmo. In agricoltura la produzione di grano si è ridotta rispetto alla fine degli anni '70. La produzione di bestiame è in aumento, ma solo grazie alle importazioni record di foraggio. L'estrazione di petrolio ha toccato il picco nel 1983, ma è diminuita in ognuno degli anni successivi. Con la produzione di grano e petrolio - i due principali beni primari sovietici - stagnante o in declino, le prospettive economiche non sono certo rosee. La caduta nella produzione di petrolio, fonte di più della metà della valuta pregiata del paese, limiterà le importazioni di prodotti essenziali (17).

Il degrado del territorio contribuisce inoltre all'indebolimento dell'economia. La diffusa erosione del suolo, una delle cause del declino della produttività agricola, è stata a lungo fonte di problemi per Mikhail Gorbaciov, prima ancora della sua ascesa al potere. Malgrado le preoccupazioni di Gorbaciov, degli altri membri del Politburo, e dei geologi sovietici, è stato fatto ben poco per arrestare gli effetti di ciò sulla produttività agricola (18).

La crescente scarsezza di acqua nelle regioni centro-meridionali e sud-occidentali del paese rappresenta un altro vincolo emergente per l'economia sovietica, particolarmente per l'agricoltura. L'acqua è uno dei fattori che limitano il raccolto in queste regioni; tuttavia i sovietici hanno investito molto poco nella realizzazione di un sistema idrico efficiente (19).

L'efficienza nell'uso dell'energia e di altre risorse è in Unione Sovietica tra le più basse del mondo. A differenza delle società industrializzate occidentali e della Cina, che hanno ridotto l'utilizzo del petrolio nelle economie di circa un quinto dalla crisi petrolifera del 1973, i sovietici hanno fatto poco o niente in questa direzione (20).

Una delle cause dell'inefficienza sovietica nell'uso delle risorse è la mancanza di innovazioni tecnologiche su vasta scala. In settori industriali chiave, come l'estrazione del petrolio e la produzione di autoveicoli e computer, l'Unione Sovietica dipende largamente dall'importazione di tecnologia occidentale. Eventuali miglioramenti dell'efficienza economica dipendono dall'uso dei computer, ma in questo settore di punta i sovietici sono rimasti assai indietro, persino rispetto a paesi del Terzo Mondo come il Brasile e la Corea del sud. Oltre ai problemi produttivi, la qualità scadente dei beni di consumo e dei macchinari agricoli sovietici impedisce all'Urss di competere sul mercato mondiale.

Paradossalmente l'unico settore in cui l'economia sovietica è competitiva sui mercati mondiali è la produzione di armi. Concentrandosi sull'industria bellica a scapito di altri settori, l'Unione Sovietica è in grado di rispettare i tempi di produzione e gli standard di qualità, ma solo al prezzo di eludere le regole classiche di controllo manageriale. Per assicurarsi che la produzione di armi proceda regolarmente, questo settore si giova di uno status privilegiato che gli consente di riordinare le priorità a suo favore e di avere a disposizione impianti industriali e mezzi di trasporto. Per rispettare gli standard qualitativi, ad esempio, il settore bellico può requisire l'acciaio più pregiato. Purtoppo però l'esercizio di questo status privilegiato può rovinare il resto dell'economia (21).

Un'economia pianificata centralmente e controllata dallo Stato come quella dell'Unione Sovietica può funzionare abbastanza bene nelle prime fasi dello sviluppo industriale, quando si tratta di produrre carbone, acciaio ed energia idroelettrica, e quando l'agricoltura è un settore di stampo tradizionale largamente isolato dagli altri settori. Ma più un'economia del genere cerca di muoversi verso una società industriale, moderna, diversificata, basata sui consumi, e meno funziona. Alcuni economisti ritengono che in mancanza di riforme di base, specificamente un cambiamento verso un sistema più orientato al mercato, l'economia sovietica possa espandersi al massimo a un ritmo del 2% annuo negli anni a venire (22).

Economisti e pianificatori sovietici ammettono regolarmente la necessità di cambiare; tuttavia i leader politici non sono riusciti a tradurre tutto ciò in riforme, perché o troppo deboli o semplicemente incapaci di dedicare tempo e volontà ad una riforma economica profonda. L'Unione Sovietica rimarrà ancor più indietro, a meno che non decentralizzi la sua inefficiente economia controllata dallo Stato (23).

Mentre gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica sono impegnati nella corsa agli armamenti, il Giappone diventa la potenza economica emergente. Secondo alcuni indicatori economici, esso sopravanza oggi entrambe le superpotenze militari. In un mondo dove gli enormi investimenti in arsenali nucleari non risultano in alcun uso pratico, la leadership e il prestigio sono sempre più appannaggio del Giappone.

L'Unione Sovietica ha goduto per molti anni dello status di seconda potenza economica mondiale, il presupposto con cui ha messo in discussione la posizione degli Stati Uniti di leader mondiale. Il reddito pro capite del Giappone, che ha superato quello sovietico negli anni '60, è oggi quasi il doppio (cfr. Figura 7.6). Proseguendo nell'attuale trend, il prodotto giapponese supererà quello sovietico in valori assoluti prima della fine del secolo, relegando così l'Urss al terzo posto. La combinazione di trascurabili spese militari ed elevato risparmio interno, ha permesso al Giappone di investire fortemente nella modernizzazione degli impianti e delle attrezzature. Questo a sua volta rafforza la competitività del paese, facendogli registrare un grosso surplus nel commercio estero, malgrado importi tutto il petrolio e la maggior parte delle materie prime (24).

'Fig. 7.6 - PNL pro capite, Giappone e Urss, 1960-84'

-figura-

Fonti: Population Reference Bureau; ACDA; Nazioni Unite.

Mentre riduce il proprio divario con l'Unione Sovietica, il Giappone minaccia il dominio degli Stati Uniti nel commercio mondiale. Nel 1950 il rapporto tra le esportazioni statunitensi e quelle giapponesi era di 10 a 1 (cfr. Tabella 7.7). Nel corso degli anni questo divario si è lentamente ridotto, e nel 1970 il rapporto era di poco superiore a 2 a 1. Tale rapporto è rimasto pressoché immutato sino agli inizi degli anni '80, quando il vantaggio statunitense ha cominciato a scomparire: nel 1985 le esportazioni americane superavano soltanto del 20% quelle giapponesi.

'Tab. 7.7 - Esportazioni annuali, Usa e Giappone, 1950-85, con proiezione al 1990 (in miliardi di dollari correnti)'

-tabella-

Fonti: Serie storica da International Monetary Fund, 'International Financial Statistics Yearbook - 1984', Washington DC, 1984; proiezioni del Worldwatch Institute.

Negli anni '80, gli Stati Uniti hanno esportato circa 217 miliardi di dollari di manufatti all'anno. Se le condizioni attuali permangono, le esportazioni Usa si manterranno su questo livello. Nel frattempo, se le esportazioni del Giappone continueranno ad espandersi del 6% annuo, come hanno fatto dal 1980 al 1985, nel 1988 supereranno quelle americane, privando gli Stati Uniti della posizione di leader a lungo avuta.

Insieme all'esplosione del deficit commerciale negli anni '80, le attività sull'estero nette americane sono diminuite nettamente, scomparendo in 3 anni (cfr. Figura 7.8). Alla fine del 1985 gli Stati Uniti erano diventati un paese debitore. Dal canto suo il Giappone, con un'economia altamente competitiva e un mercato interno fortemente protetto, acquista sempre più prominenza, dando luogo a sempre maggiori avanzi commerciali (25).

'Fig. 7.8 - Attività sull'estero nette, Usa e Giappone, 1960-85 (dollari correnti)'

-figura-

Fonti: governi statunitense e giapponese.

Tali avanzi, il forte risparmio interno e il livello quasi trascurabile di spese militari, hanno generato un'enorme disponibilità di valuta. Anch'essa si sta dirigendo all'estero, laddove ci sono i maggiori tassi d'interesse - tra cui, non da ultimi, i buoni del tesoro americani. In realtà i giapponesi stanno aiutando a finanziare il deficit pubblico americano, ricavandone sostanziosi interessi.

L'economia americana è ancora il doppio di quella giapponese e il paese può contare su una base di risorse naturali (terra coltivabile, combustibili fossili, minerali e legname) largamente superiore. Ciononostante gli Stati Uniti sono sul punto di abdicare al loro ruolo di leader mondiale. Un paese che è un debitore netto, prendendo fortemente a prestito dal resto del mondo, non può efficacemente esercitare un ruolo economico o politico dominante.

4. Le nuove minacce alla sicurezza

Il progressivo deterioramento dei sistemi di sostegno naturali ed il peggioramento delle condizioni economiche in gran parte del Terzo Mondo pongono minacce alla sicurezza nazionale ed internazionale che sono in competizione con quelle militari tradizionali. Scompensi ecologici e scarsezza di risorse si traducono alla fine in problemi economici con dimensioni sociali e politiche: caduta della produttività agricola e del reddito pro capite o aumento del debito estero, per citarne solo alcuni (26).

La prima scarsità di risorse che ha influenzato drammaticamente l'economia mondiale è stata quella del petrolio. L'aumento del prezzo del 1973 cominciò a seminare panico in tutto il mondo e le sue ripercussioni si avvertono tuttora, nonostante sia trascorso più di un decennio. Queste ed altre conseguenze dell'esaurirsi delle riserve petrolifere hanno tenuto il campo negli ultimi 12 anni, ma l'impoverimento boschivo, delle praterie, del terreno e l'alterazione del ciclo idrografico hanno effetti più preoccupanti nel lungo periodo.

Sfortunatamente per i pianificatori economici e i politici, mancano dati sistematici sulle condizioni di queste risorse di base e sui sistemi di sostegno. Il deterioramento ecologico è un indicatore dei problemi delle economie nazionali, in particolare di quelle del Terzo Mondo. Il drammatico aumento del debito con l'estero è forse la conseguenza più tangibile di questo deterioramento ecologico ed economico, e la minaccia più preoccupante alla sicurezza.

'Tab. 7.9.A - Alcuni paesi che non servono il proprio debito con l'estero (1985)'

-tabella-

Fonti: il debito con l'estero di tutti i paesi menzionati, tranne il Sudan, da Morgan Guaranty Trust Company, 'World financial Markets', New York, settembre-ottobre 1985, da comunicazioni private e dal Dipartimento del Tesoro, Washington DC, comunicazioni private; il debito estero del Sudan e tutte le citazioni attribuite all'USDA da U.S. Department of Agriculture, Economic Research Service, 'World, Food, Needs and Availabilities', Washington DC, US Government Printing Office, 1985.

I governi che devono fronteggiare l'aumento del debito con l'estero sembra attraversino certe fasi, in quella che sta diventando una sindrome riconoscibile. La risposta iniziale dei paesi in difficoltà nei pagamenti è quella di trasformare i debiti a breve scadenza in debiti a lunga scadenza. Questo sistema funziona per alcuni paesi, almeno per un po', ma alla fine molti trovano che non possono più né rifondere il debito né pagare gli interessi. Il Messico, ad esempio, è in una situazione del genere. Alcuni governi capitalizzano persino l'interesse, convertendolo in capitale addizionale e aumentando così il loro debito (27).

C'è un notevole parallelo tra i paesi che stanno superando la soglia della capacità di sostegno dei propri sistemi biologici e quelli che stanno superando la soglia della sostenibilità del debito. Nel momento in cui la domanda verso un sistema biologico supera la sua capacità di sostegno, ogni ulteriore aumento della domanda viene soddisfatto attingendo allo stock di risorse di base. In tale situazione il deterioramento comincia ad autoalimentarsi.

Così è con il debito estero: se cresce più velocemente dell'economia si arriva a un punto in cui il servizio del debito, anche se limitato al pagamento degli interessi, diventa un tale fardello sull'economia che il prodotto si contrae in termini reali, come è accaduto ad esempio al Brasile e al Messico. Quando i governi non sono più in grado di pagare tutti gli interessi allora il debito comincia ad espandersi e tale crescita si autoalimenta. Una volta oltrepassata la soglia della crescita sostenibile del servizio del debito l'inversione del processo è molto difficile.

In molti paesi del Terzo Mondo, gli ultimi 3 anni sono stati un periodo di austerità e sacrifici forzati. Le importazioni di beni di consumo, compresi quelli alimentari, sono state ridotte, i sussidi alimentari eliminati, mentre la disoccupazione è aumentata. Tale austerità ha permesso ai paesi del Terzo Mondo di continuare ad usufruire del credito internazionale e alle banche di mantenersi solvibili. Ma, poiché ha ulteriormente fatto crescere il debito, tutto ciò ha allontanato la prospettiva di riavviare un miglioramento sostenuto delle condizioni di vita in quei paesi.

Verso la fine del 1985, molti paesi del Terzo Mondo non onoravano il servizio del debito (cfr. Tabella 7.9). La Bolivia, per esempio, definita in un rapporto del governo americano in preda al "caos economico e politico", non ha effettuato alcun pagamento nel 1985. Il debito con l'estero del Marocco sta toccando il livello del suo PIL, rendendo molto difficile, se non impossibile, la sua estinzione.

Il Sudan, che era sull'orlo della carestia nel 1985, è un esempio dei complessi rapporti tra deterioramento ecologico, declino della produzione alimentare pro-capite, ed esplosione del debito con l'estero. Essendo uno dei 14 paesi dove la produttività dei terreni coltivabili è diminuita rispetto a una generazione fa, ed essendo un paese prevalentemente agricolo, il Sudan avrà ovviamente delle difficoltà a onorare i propri impegni finanziari, per quante buone intenzioni il suo governo possa avere (28).

Il Perù, anch'esso alle prese col deterioramento delle proprie risorse principali - è il caso del crollo, 10 anni fa, della pesca di acciughe e della continua, forte erosione del suolo - ha imposto un tetto sul servizio del debito, limitando i pagamenti al 10% del valore delle proprie esportazioni. In effetti questo è un modo di indurre le banche private creditrici a cominciare a cancellare il debito, forzandole così a prender parte al processo di aggiustamento. Ciò vuol dire che il Perù probabilmente non pagherà più della metà dell'interesse dovuto, diventando così il più grande debitore che rifiuta di pagare tutti gli interessi sul debito (29).

Ancor più importante, comunque, è il fatto che i maggiori paesi debitori, come il Messico ed il Brasile, stanno cominciando a rendersi conto che l'austerità e il conseguente declino economico che essi hanno accettato in cambio della rinegoziazione dei prestiti, aggravano le condizioni economiche e sociali. In realtà essi sono preoccupati dal fatto che le misure di austerità diano luogo a disordini politici, ostacolando così quel processo di espansione economica necessario per pagare gli interessi ed estinguere il debito. Sempre di più i paesi debitori sostengono che aggiustamenti sono necessari sia da parte dei debitori che da parte dei creditori.

Avendo in mente proprio questo, gli Sati Uniti hanno proposto nell'incontro annuale tra banche e FMI svoltosi nell'ottobre del 1985 a Seoul, nella Corea del sud, un modesto aumento dei prestiti della Banca Mondiale. Pur essendo rivolto a rispondere alle preoccupazioni del Terzo Mondo, questo gesto non ha una portata tale da essere significativo. E' riuscito, comunque, ad aprire un dialogo su ciò che i paesi che concedono i prestiti possono fare per aiutare a risolvere la crisi del debito (30).

La minaccia rappresentata dal debito del Terzo Mondo non è una questione banale. Non si rischiano soltanto centinaia di miliardi di dollari: è la stabilità politica dei governi - in effetti il futuro della democrazia in alcuni paesi - ad essere in discussione. L'attuale presidente del Perù, Alan Garcia Pérez, riconoscendo vere queste più vaste implicazioni del debito del Terzo Mondo, ha dichiarato: "Noi siamo di fronte a una scelta drammatica: o il debito o la democrazia". Preoccupazioni simili echeggiano in Brasile e in Argentina, paesi tornati recentemente a un governo democratico dopo anni di dittatura militare (31).

Le valutazioni sulla capacità del Terzo Mondo di ripagare il proprio debito sono pessimistiche, ma lo sarebbero ancora di più se gli esperti finanziari si rendessero conto di cosa sta accadendo agli ecosistemi che sostengono la maggior parte delle economie del Terzo Mondo. Non si tratta di qualche paese qui e là che sta sperimentando la deforestazione, l'erosione del suolo o il degrado della terra coltivabile. La maggioranza dei paesi del Terzo Mondo ha oltrepassato la soglia della capacità di sostegno dei propri sistemi biologici.

Infine, l'esistenza di una banca si basa sulla fiducia di coloro che vi hanno versato denaro. Se questa fiducia si erode, la banca non può sopravvivere. Il crollo del 1984 della Continental Illinois National Bank and Trust, la settima banca degli Stati Uniti, che gestisce istituti di credito nell'Ohio e nel Maryland, è indicativo di cosa può accadere a livello nazionale ed internazionale (32).

Negli Stati Uniti, il vertiginoso aumento del debito federale sta minando la fiducia nel futuro economico del paese. Il debito agricolo fa molto notizia e preoccupa parecchio i politici di Washington. Il Farm Credit System, che è esposto per 74 miliardi di dollari, o un terzo del debito agricolo, ritiene che 11 miliardi di dollari siano inesigibili. Se ci sarà bisogno di un salvataggio federale, come sembra probabile, esso farà sembrare minuscolo quello della Continental Illinois, che ha richiesto 4,5 miliardi di dollari (33).

In queste circostanze l'immobilismo crea seri rischi. Le tensioni nel sistema aumentano; alla fine diventeranno eccessive e daranno luogo a qualche cedimento. La prudenza suggerisce di agire prima che sia troppo tardi. Una volta avviatasi un'erosione della fiducia su larga scala, potrebbe essere difficile contenerla. Fred Bergsten, presidente dell'Institute for International Economics, ha affermato: "Ai pompieri può mancare acqua per spegnere questo incendio, una volta appiccato" (34).

5. Paesi che stanno riducendo la spesa militare

Qualche governo ha cominciato a ridefinire la sicurezza nazionale, mettendo l'accento più sul progresso economico che sull'acquisto di armi. In un periodo in cui le spese militari globali aumentano, alcuni paesi riducono le proprie. Certi le stanno tagliando drasticamente, sia come quota del PNL che in cifre assolute. Tra questi ci sono la Cina, l'Argentina, ed il Perù.

Nel non lontano 1972, la Cina spendeva il 14% del suo PNL per scopi militari, all'epoca una delle percentuali più alte del mondo. Tuttavia la Cina dal 1975 cominciò a ridurre sistematicamente le proprie spese militari e, a parte nel 1979, ha continuato a ridurle in ciascuno degli ultimi 8 anni. Nel 1985, le spese militari erano scese al 7,5% del PNL (cfr. Tabella 7.10).

'Tab. 7.10 - Cina: spese militari come quota del PNL, 1967-85'

-tabella-

Fonti: U.S. Arms Control and Disarmament Agency, 'World Military Expenditures and Arms Transfers, 1985', Washington DC, 1985; Ambasciata Cinese, Washington DC, comunicazione privata.

Alcuni segnali indicano che questa tendenza potrebbe continuare nel resto del decennio. Nel luglio 1985 Pechino ha presentato un piano di investimento pari a 360 milioni di dollari in 2 anni, per riaddestrare un milione di soldati al rientro nella vita civile. Una misura del genere ridurrebbe le forze armate cinesi da 4,2 milioni nel 1985 a 3,2 milioni nel 1987, una riduzione del 24%. Su scala mondiale il numero di uomini e donne alle armi si ridurrebbe del 4% (35).

In Argentina, il governo militare che era al potere alla fine degli anni '70 ed agli inizi degli anni '80 aumentò le spese militari dal tradizionale 1,5% del PNL a quasi il 4%. Una delle prime cose fatte da Raùl Alfonsin, non appena eletto presidente alla fine del 1983, fu di annunciare un piano per ridurre progressivamente tali cifre. Quando entrò in carica c'era un ampio sostegno del pubblico per una riduzione delle spese militari, in parte a causa della malaugurata guerra delle Falkland, che ha minato la credibilità dei militari in tutto il paese. Nel 1984 le spese militari erano state ridotte a metà, rispetto al picco toccato nel 1980, facendo guadagnare ad Alfonsin una ben meritata stima per la sua redistribuzione delle priorità e delle risorse a favore dei programmi sociali (36) (cfr. Figura 7.11).

'Fig. 7.11 - Spese militari in Argentina, 1970-84 (dollari correnti)'

-figura-

Fonte: ACDA.

Più recentemente il Perù si è aggiunto alla lista dei paesi che annunciano piani di riduzione delle spese militari. Uno dei primi atti del presidente Garcia, quando ha assunto il mandato nell'estate del 1985, è stato un appello per arrestare la corsa al riarmo nella regione. Garcia è convinto del bisogno di ridurre la quota del PNL, pari al 5%, destinata al settore militare, una somma che assorbe un quarto del bilancio pubblico. Per sostanziare i propri propositi, il presidente ha annullato metà dell'ordine di 26 caccia francesi 'Mirage' (37).

Il motivo principale per cui questi tre paesi hanno deciso di ridurre le spese militari è di natura economica. In effetti i tre capi di governo stanno definendo la sicurezza in termini molto più economici. Per i cinesi il settore militare era uno dei posti dove andavano cercate le risorse necessarie a realizzare l'agognato miglioramento del tenore di vita. Una volta deciso di perseguire tale miglioramento, la riduzione delle risorse destinate al settore militare era inevitabile.

In Argentina l'incentivo economico era rappresentato dal crescente debito pubblico, dall'inflazione e dal grosso debito con l'estero, che minacciavano di sfuggire a ogni possibilità di controllo. Una delle cause del debito estero era un certo debole per le armi moderne che avevano i predecessori di Alfonsin. In Perù il problema era quello di arrestare il declino del tenore di vita. Quando Garcia entrò in carica, c'erano 475 milioni di dollari in arretrato di pagamenti del debito estero, e il governo era minacciato da una chiusura completa delle fonti di finanziamento. Garcia si rese conto che il declino dell'economia nazionale stava causando deterioramento sociale e violenza politica (38).

Fortunatamente, le riduzioni delle spese militari intraprese da questi tre governi non sono dipese da riduzioni negoziate nei paesi vicini. La Cina ha ridotto le sue spese militari unilateralmente, nonostante i suoi 3000 Km di confine con l'Unione Sovietica, che ha viceversa continuato a rafforzare la sua potenza militare.

Nei prossimi anni, poiché tutti i governi stenteranno a mantenere o migliorare il tenore di vita, altri ancora possono decidere di ridurre le spese militari. In aggiunta alla spinta positiva esercitata in anni recenti dal movimento internazionale per la pace, il peggiorare delle condizioni economiche può diventare la motivazione chiave per invertire il processo di militarizzazione degli ultimi decenni.

6. La sfida

Per molti paesi del Terzo Mondo, le minacce al benessere e alla sopravvivenza non provengono da altri paesi, ma da ogni passo che li porta oltre la soglia della capacità di sostegno dei propri sistemi biologici, e oltre la soglia del servizio del debito sostenibile dalle loro economie. Il milione di morti, che si stima la carestia abbia causato in Africa nel 1984 e 1985, supera il numero di vittime causato da ogni conflitto successivo alla seconda guerra mondiale. Quante altre vite andranno perdute? Nessuno lo sa; tuttavia il numero di persone in pericolo aumenta in proporzione all'intensificarsi del disfacimento dei loro ecosistemi (39).

Per invertire queste tendenze occorre cambiare la strategia di sviluppo, specialmente dove la domanda economica eccede la capacità di resa di foreste, praterie e terreni coltivabili. In queste circostanze continuare a fare riferimento a criteri economici strettamente intesi - come il tasso di ritorno sugli investimenti - per definire le strategie di sviluppo può portare al crollo dei sistemi biologico ed economico. L'unica strategia di sviluppo possibile per molti paesi del Terzo Mondo deve basarsi su criteri ambientali e concentrarsi sul salvataggio dell'ecosistema che sostiene l'economia. Ogni altra strategia è destinata al fallimento.

Per i governi nazionali e le organizzazioni internazionali è venuto quindi il momento di ripensare allo sviluppo. Le stesse politiche che una volta portavano ad una sostenuta crescita economica globale del 5% non riescono più a farlo. L'ondata di piena economica che un tempo ha sollevato il tenore di vita in tutto il mondo sta cominciando a rifluire in molti paesi del Terzo Mondo. Capire il perché richiede previsioni di tendenze sia in campo economico sia in campo ambientale e, ancor più importante, dalla loro complessa e continua interazione. Per esempio, previsioni della produzione alimentare sono significative solo se tengono conto dell'erosione del suolo e della produttività agricola. In questo campo le uniche previsioni che rendono possibile una politica realistica sono quelle che comprendono dati agronomici, ecologici ed idrografici, insieme alle classiche informazioni di tipo economico e demografico.

Una volta fatte, queste proiezioni potrebbero offrire la base per lanciare iniziative di massiccia reforestazione, per intensificare i programmi di pianificazione familiare e per molti degli altri interventi di cui c'è urgente bisogno. Sono anche la chiave per creare consenso nella comunità internazionale. Senza una presa di coscienza delle conseguenze che il proseguire sulla strada odierna comporta, i governi stenteranno a intervenire per invertire il degrado ecologico ed il concomitante declino economico. Purtroppo le nazioni che sono maggiormente afflitte dal deterioramento ambientale sono anche quelle che hanno meno possibilità di effettuare degli studi in merito; il che fa pensare a un importante nuovo ruolo per la Banca Mondiale e le altre organizzazioni per lo sviluppo.

Il principale ostacolo al progresso del Terzo Mondo, causato in parte dal degrado ecologico, è l'aumento del debito con l'estero. Le istituzioni finanziarie internazionali sono state riluttanti a riconoscere che i paesi in via di sviluppo hanno superato la soglia del servizio del debito per loro sostenibile. Le banche private temono di dover cancellare talmente tanti prestiti che ciò ridurrebbe di molto i loro utili e addirittura ne minaccerebbe la solvibilità. Ciononostante, una quota cospicua degli 800 miliardi di dollari di debito con l'estero accumulati dal Terzo Mondo non sarà mai restituita (40).

Oggi istituzioni come la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale non sono in grado di effettuare dei prestiti per ristabilire la crescita necessaria nei paesi debitori del Terzo Mondo. Le banche private non sono disposte ad incrementare i loro prestiti, col risultato che i paesi in via di sviluppo non possono ottenere il capitale necessario per il progresso. L'unica soluzione accettabile è quella di trattenere nei paesi debitori parte del pagamento degli interessi, in modo da rimettere in movimento le relative economie.

Sono state proposte molte strategie per risolvere il problema del debito. Una, avanzata dal professor Robert Wesson della Hoover Institution della Stanford University, sembra soddisfare almeno i criteri minimi per avere successo. Essa comporta la creazione di un fondo di investimenti nei paesi che hanno un debito insolvibile con l'estero. Secondo questo sistema le banche creditrici potrebbero utilizzare una parte, da definire, degli interessi loro dovuti per acquistare quote del fondo. Il fondo, a sua volta, potrebbe prestare alle imprese locali, fornendo al settore privato il capitale di cui ha disperato bisogno. Un simile approccio aiuterebbe a ripristinare la fiducia degli investitori nei paesi del Terzo Mondo e darebbe alle banche private un interesse a lungo termine in queste economie. D'altronde l'unica alternativa per le istituzioni creditrici potrebbe essere quella di cancellare prestiti altrimenti inaffidabili (41).

Continuare nell'approccio tradizionale di fronte al problema del debito del Terzo Mondo, col degrado del tenore di vita che ne risulterà, è un modo per assicurarsi nella migliore delle ipotesi instabilità politica e, nella peggiore, disgregazione sociale. Fortunatamente, un numero sempre maggiore di leader del Terzo Mondo e istituzioni finanziarie stanno arrivando a questa conclusione.

Capire le nuove minacce alla sicurezza nazionale e al progresso economico sarà una sfida per le capacità analitiche dei governi. Purtroppo l'apparato decisionale di molti governi non è organizzato per pesare le minacce tradizionali di natura militare contro quelle d'origine ecologica ed economica. Le minacce non militari sono molto meno chiaramente definite. Sono il risultato di processi cumulativi che portano infine al crollo del sistema biologico. Ci si rende conto di tale processi solo quando si oltrepassa la soglia critica, dopo la quale si verifica il disastro. Perciò è più semplice per i governi dei paesi in via di sviluppo giustificare le spese per l'ultimo modello di caccia-bombardiere piuttosto che per una pianificazione familiare volta a diminuire quella crescita della popolazione che distrugge il substrato ambientale dell'economia.

Le nuove minacce alla sicurezza nazionale sono straordinariamente complesse. Gli ecologi sanno che il peggioramento del rapporto tra noi esseri umani, ossia 5 miliardi, e l'ecosistema dal quale dipendiamo non può continuare. Ma pochi politici hanno compreso il significato di questa insostenibile situazione.

Contro queste nuove minacce le istituzioni di difesa nazionali sono inutili. Né l'espansione dei bilanci militari, né sistemi d'arma altamente sofisticati possono fermare la deforestazione oppure arrestare l'erosione del suolo che oggi affliggono così tanti paesi del Terzo Mondo. Fermare aggressioni dall'esterno è molto più semplice che bloccare il deterioramento degli ecosistemi.

La chiave per smilitarizzare l'economia mondiale e per un migliore utilizzo delle risorse sta nel disinnesco della corsa al riarmo tra gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica. Che ciò sia fattibile nel futuro prossimo rimane da vedere. Ma poiché i costi per continuare la corsa agli armamenti diventano sempre più gravosi, sia per le due superpotenze che per il resto del mondo, la probabilità di diminuire le tensioni può crescere.

In Asia orientale, la Cina e il Giappone, due tradizionali avversari, sembra stiano creando dei forti legami economici tra loro. A differenza degli Stati Uniti, la Cina sembra abbandondare la competizione militare con l'Unione Sovietica. Con il Giappone, che dimostra poco interesse nel diventare una potenza militare, esistono delle condizioni di pace nella regione. Ambedue i paesi hanno ridefinito le proprie concezioni di sicurezza nazionale e rivisto le proprie strategie geopolitiche, accantonando di conseguenza ogni idea di dominio politico, per perseguire obiettivi economici mutualmente vantaggiosi.

In Europa occidentale, Francia e Germania si sono date battaglia per secoli, ma oggi un conflitto armato tra loro sembra improbabile. E' difficile immaginare, in un'Europa integrata economicamente, come uno di questi due paesi possa attaccare l'altro. Nel nord America, gli Stati Uniti, il Canada ed il Messico hanno vissuto in pace per generazioni. Non ci sono forze armate ai confini a fronteggiarsi l'un l'altra. Malgrado conflitti esistano anche qui, essi riguardano questioni specifiche come la pioggia acida, l'immigrazione illegale, misure di protezionismo commerciale, tutti fattori però che non sembra probabile arrivino a mettere in forse le loro amichevoli relazioni.

Se l'ideologia lascia il posto al pragmatismo, come sta accadendo in Cina, allora i conflitti e le sicurezze alimentate da differenze ideologiche tra est ed ovest possono essere mitigati. In realtà questa flessibilità ideologica sembra stia influenzando la politica estera della Cina, migliorando le sue relazioni con gli altri paesi e contribuendo alla riduzione delle sue spese militari.

Se l'Unione Sovietica adotta le riforme necessarie a rimettere in moto la propria economia, ne può risultare un simile ammorbidimento ideologico. Rivolgersi al mercato per distribuire le risorse ed aumentare la produttività potrebbe ristrutturare non solo l'economia sovietica, ma anche riorientare la politica sovietica. Sebbene il pragmatismo sia sempre venuto dopo l'ideologia in Unione Sovietica, i dirigenti politici hanno dimostrato di riuscire ad essere pragmatici quando le circostanze lo richiedono, come quando importano grano dagli Stati Uniti, il loro rivale ideologico.

Su scala mondiale la passata generazione ha assistito ad un inarrestabile processo di militarizzazione. A parte la pesante pressione sulle risorse pubbliche, il conflitto est-ovest contribuisce a creare un clima di sospetto e sfiducia che rende quasi impossibile uno sforzo di cooperazione internazionale volto a far fronte alle nuove minacce alla sicurezza delle nazioni. La Cina e l'Argentina, che hanno già dimezzato la quota del loro PNL per le spese militari; insieme al Perù, che promette di fare altrettanto, possono diventare un modello per il futuro. Se la smilitarizzazione potesse sostituire la militarizzazione, i governi nazionali sarebbero liberi di riorientare le loro priorità e potrebbero riprendere lo sforzo per il progresso economico.

Ironicamente, il mantenimento di una posizione guida per gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica può oggi dipendere dalla riduzione delle spese militari per rafforzare le loro economie in difficoltà. Perciò, agendo nel loro stesso interesse, esse potrebbero porre le premesse per la smilitarizzazione dell'economia mondiale. Una volta cominciata, la smilitarizzazione - come già ha fatto il suo opposto - può crescere su se stessa.

NOTE

1. United States Arms Control and Disarmament Agency (ACDA), 'World Military Expenditures and Arms Transfers 1985', Washington DC, 1985; le cifre sul reddito sono tratte da World Bank, 'World Development Report 1985', Oxford U.P., New York, 1985.

2. Statistiche militari globali tratte da ACDA, 'World Military Expenditures and Arms Transfers', Washington DC, vari anni; dati sul prodotto mondiale nel 1960 da H.R. Block, 'The Planetary Product in 1980', Department of State, Washington DC, 1981.

3. ACDA, 'World Military Expenditures and Arms Transfers 1985'; D. Gallik, economista internazionale, ACDA, comunicazione privata, Washington DC, settembre 1985.

4. Citato in J. Kronholz, "Taking Up Arms: Third World's Buying of Weaponry Surges, Posing Risks, Burdens", 'Wall Street Journal', 29 giugno 1982.

5. ACDA, 'World Military Expenditures and Arms Transfers', vari anni.

6. ACDA, 'World Military Expenditures and Arms Transfers 1985'; sulla militarizzazione in Africa, cfr. S.J. Ungar, 'Africa: The People and Politics of an Emerging Continent', Simon and Schuster, New York, 1985.

7. Importazioni di armi mondiali da ACDA, 'World Military Expenditures and Arms Transfers', vari anni; importazioni di grano da U.S. Department of Agriculture (USDA), Economic Research Service (ERS), 'World Indices of Agricultural and Food Production 1950-1984', documento non pubblicato, Washington DC, 1985 e da International Monetary Fund (IMF), 'International Financial Statistics Yearbook 1985', Washington DC, 1985.

8. ACDA, 'World Military Expenditures and Arms Transfers 1985'; USDA, Foreign Agriculture Service, 'Foreign Agriculture Circular' FG 13-85, Washington DC, ottobre 1985; IMF, 'International Financial Statistics Yearbook 1985'.

9. ACDA, 'World Military Expenditures and Arms Transfers 1985'.

10. S.J. Ungar, "The Military Money Drain", 'Bulletin of the Atomic Scientists', settembre 1985.

11. C.D. May, "Africa's Men in Khaki Are Often a Law Unto Themselves", 'New York Times', 6 ottobre 1985.

12. C. Norman, 'Knowledge and Power: The Global Research and Development Budget', Worldwatch Institute, Washington DC, giugno 1979. Cfr. anche R.L. Sivard, 'World Military and Social Expenditures', World Priorities, Washington DC, 1985.

13. C. Normann, 'Knowledge and Power', cit.

14. United States Census Bureau, 'Statistical Abstract of the United States 1985', Washington DC, U.S. Government Printing Office, 1985; Office of Management and Budget, 'The Budget of the United States Government', Washington DC, U.S. Government Printing Office, annuale; dati sull'interesse netto pagato sul debito federale del governo degli Stati Uniti, 'Economic Report of the President 1985', Washington DC, U.S. Government Printing Office, 1985.

15. Stime della perdita dei posti di lavoro tratte da R.B. Reich, "Reagan's Hidden 'Industrial Policy' ", 'New York Times', 4 agosto 1985, e dalle tabelle preparate per il Congressional Joint Economic Committee dal Bureau of Labor Statistics, Office of Employment and Unemployment Analysis, United States Department of Labor, Washington DC, 7 giugno 1985.

16. S.H. Cohn, "Declining Soviet Capital Productivity and the Soviet Military Industrial Complex", in ACDA, 'World Military Expenditures and Arms Transfers 1984', Washington DC, 1984.

17. E.A. Hewitt, 'Energy, Economics and Foreign Policy in the Soviet Union', Washington DC, Brookings Institution, 1984.

18. V. Rich, "Soil First", 'Nature', 12 febbraio 1982.

19. Dati sulla disponibilità di acqua in Unione Sovietica da G.V. Voropayev 'et al.', "The problem of Water Resources in the Midlands Regions of the Ussr", 'Soviet Geography', dicembre 1983; P.P. Micklin, "The Vast Diversion of Soviet Rivers", 'Environment', marzo 1985; A.S. Kes 'et al.', "The Present State and Future Prospects of Using Local Water Resources in Central Asia and Southern Kazakhstan", 'Soviet Geography', giugno 1982.

20. British Petroleum Company, 'BP Statistical Review of World Energy', London, 1985.

21. S.H. Cohn, "Declining Soviet Capital Productivity", cit.

22. 'Ibidem'.

23. Discussione sulle riforme nell'Unione Sovietica in L.H. Gelb, "Gradual Changes in the Soviet 5-year Plan", 'New York Times', 14 ottobre 1985. Per una discussione sugli effetti delle spese militari sull'economia sovietica, cfr. S.H. Cohn, 'The Productivity of Soviet Investment and the Economic Burden of Defense', National Council for Soviet and East European Research, Washington DC, 1983 e S.H. Cohn, 'Declining Soviet Capital Productivity'. Per una discussione simile sugli effetti della spesa militare sull'economia statunitense, cfr. R.W. DeGrasse Jr., 'Military Expansion, Economic Decline: The Impact of Military Spending on U.S. Economic Performance', Armonk, M.E. Sharpe Inc. per il Council on Economic Priorities, N.Y., 1983.

24. Reddito pro capite tratto dai dati sul reddito dell'Unione Sovietica in ACDA, 'World Military Expenditures and Arms Transfers', (vari anni), e per il Giappone da IMF, 'International Financial Statistics Yearbook 1985'; dati sulla popolazione da Population Reference Bureau, '1985 World Population Data Sheet', Washington DC, 1985, e da United Nations, Department of International Economic and Social Affairs, 'World Population and Its Age-Sex Composition by Country, 1950-2000', New York, 1980.

25. Attività nette sull'estero giapponesi da Japan Satistical Bureau, 'Japan Satistical Yearbook', Tokio, 1965; da Bank of Japan, 'Balance of Payments Monthly', Tokio, aprile 1973; da Bank of Japan, 'External Assets and Liabilities of Japan', Tokio, aprile 1981; e da L. Knoy, Institute for International Economics, comunicazione privata, Washington DC, settembre 1985; attività nette americane sull'estero da U.S. Department of Commerce, 'Historical Statistics of the United States Volume II', Washington DC, annuale. Cfr. anche E.S. Browning, "Gnomes of Tokio: Japanese Set Up Role of Investing Overseas In Bonds, Real Estate", 'Wall Street Journal', 15 agosto 1985; D. Hale, "U.S. AS Debtor: A Threat to World Trade", 'New York Times', 22 settembre 1985; P.T. Kilborn, "A Nation Living on Borrowed Money and, Perhaps, Time", 'New York Times', 22 settembre 1985.

26. Informazioni sul declino della produttività del terreno e della produzione pro capite di grano da USDA, ERS, 'World Indices'.

27. M. Tobin, "Mexico Signs Debt Restructuring Plan", 'Washington Post', 30 agosto 1985; R.J. McCartney, "New Loans to Mexico in Doubt", 'Washington Post', 16 settembre 1985; W. Orme, "Mexico is Expected to Ask for Billions More", 'Washington Post', 24 settembre 1985. Cfr. anche J.L. Rowe Jr., "Debt Noose Tightens Around Latin America", 'Washington Post', 29 settembre 1985.

28. Tendenze della produttività del terreno agricolo da USDA, ERS, 'World Indices'; la posizione di debitore del Sudan è descritta in "The Year After the Drought: How Much Recovery for Ethiopia and Sudan?", ERS, USDA, 'Agricultural Outlook', Washington DC, ottobre 1985.

29. Crollo della pesca peruviana di acciughe discusso in E. Eckholm, 'Losing Ground: Environmental Stress and World Food Prospects', W.W. Norton Co., New York, 1976; A. Riding, "In Peru, a New Personality Attracts a Cult", 'New York Times', 4 agosto 1985; "Will Peru's Tough Talk Spark a Debtor's Revolt?", 'Business Week', 12 agosto 1985; J. Brooke, "Peruvian President, at the U.N., Warns I.M.F. That Debt Repayment Must Be Eased", 'New York Times', 24 settembre 1985.

30. J.M. Goshko, "U.S. Maps New Strategy In Debt Crisis", 'Washington Post', 21 settembre 1985; J.L. Rowe Jr., "Private Banks Urged to Boost Third World Loans", 'Washington Post', 6 ottobre 1985.

31. Garcia citato in J. Sachs, "How To Save The Third World", 'New Republic', 28 ottobre 1985; informazioni sul Brasile e sull'Argentina in J. Burgess, "Few Banks Rush To Aid Latin America", 'Washington Post', 13 ottobre 1985.

32. P.T. Kilborn, "Bank in Rockland Shut by the U.S. as Insolvent", 'New York Times', 14 settembre 1985; N.C. Nash, "Adjusting to 100 Failed Banks", 'New York Times', 6 novembre 1985.

33. C.H. McCoy, "Out of Options: Farm Credit System, Buried in Bad Loans, Seeks Big U.S. Bailout", 'Wall Street Journal', 4 settembre 1985; "Blighted Ledgers: Farm Credit System Relies on Accounting That Hides Bad Loans", 'Wall Street Journal', 7 ottobre 1985. Per una discussione delle cause dei problemi finanziari nell'agricoltura americana, cfr. USDA, ERS, 'The Current Financial Condition of Farmers and Farm Lenders', Washington DC, marzo 1985. Informazioni sulla Continental Illinois da Federal Deposit Insurance Corporation, 'Permanent Assistance Program for Continental Illinois National Bank and Trust Company', Washington DC, 26 luglio 1984.

34. C.F. Bergsten, "The Second Debt Crisis is Coming", 'Challenge', maggio/giugno 1985.

35. "China Maps Big Cuts in Military Strenght", 'Journal of Commerce', 31 luglio 1985; "Deng's Military Build-Down", 'Far Eastern Economic Review', 22 agosto 1985.

36. ACDA, 'World Military Expenditures and Arms Transfers 1985', A.J. Watkins, "Argentine Debt: Playing by the Rules", 'Report on the Americas', luglio-agosto 1985.

37. A. Riding, "In Peru, a New Personality Attracts a Cult", cit.; "The Young are So Impetous", 'The Economist', 3 agosto 1985.

38. A. Riding, "In Peru, a New Personality Attracts a Cult", cit.

39. Stime dei morti causati dalla carestia in Africa da U.N. Economic Commission for Africa, "Second Special Memorandum by the ECA Conference of Ministers: International Action for Relaunching the Initiative for Long-Term Development and Economic Growth in Africa", Addis Abeba, 25-26 aprile 1985.

40. A. Cockburn, "Heed the SOS on Third World Finance", 'Wall Street Journal', 12 settembre 1985.

41. "Statement of Mr. Robert Wesson", in U.S. Senate, Committee on Foreign Relations, Subcommittee on African Affairs, 'African Debt Crisis', Hearing, 24 ottobre 1985.

 
Argomenti correlati:
Pensiero strategico
Difesa
Urss
Storia
traffico d'armi
Ambiente
Terzo Mondo
Argentina
Giappone
stampa questo documento invia questa pagina per mail