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Spadaccia Gianfranco - 24 marzo 1989
A Budapest con tutte le nostre bandiere
di Gianfranco Spadaccia

SOMMARIO: Si analizzano i cambiamenti in corso in gran parte dei paesi dell'Est europeo (con maggior attenzione per l'Ungheria) e vengono indicate le principali questioni che dovranno essere affrontate dal Congresso radicale che si svolgerà a Budapest (22-26 aprile 1989). Le conseguenze politiche della decisione del Consiglio federale di Strasburgo (16-19 febbraio 1989) di accantonare la proposta di scioglimento del Pr e di costruzione contestuale del "partito nuovo": "Il Partito radicale è condannato ancora una volta ad andare avanti, a tentare di farcela o sparire".

(Notizie Radicali n· 65 del 24 marzo 1989)

Il Congresso di Budapest sarà un Congresso delicato e difficile, un Congresso tutto politico che si svolgerà all'insegna di una duplice speranza: la speranza che da Budapest una nuova primavera di democrazia possa diffondersi e affermarsi in Ungheria e nell'intera Europa; e la speranza che possa consolidarsi e metter radici, superando ogni crisi e difficoltà, il nuovo Partito radicale transpartitico e transnazionale che a Bologna avevamo deciso di costituire.

Spes contra spem. Come ogni vera speranza anche queste due speranze della primavera ungherese vanno conquistate contro i facili ottimismi e le illusioni.

Il Congresso radicale di Budapest nasce dall'incontrarsi di due volontà, dal convergere di due fatti che nella diversità delle loro proporzioni sono tuttavia ugualmente singolari e straordinari.

Sull'onda dei cambiamenti politici impressi da Gorbaciov, quella stessa Ungheria il cui desiderio e bisogno di democrazia era stato stroncato nel 1956 dai carri armati sovietici, ha deciso di rischiare una nuova stagione di riforma democratica. Non ha deciso di democratizzare le strutture esistenti del socialismo reale, come sta avvenendo in Urss (e gli episodi di Eltsin e di Sacharov, la lotta politica che anche lì si è aperta, dimostrano che neppure quello è uno scherzo), ma di aprire un stagione costituente che ha già avuto, con la legge sulla libertà di associazione, il suo primo atto e che ha visto di già svilupparsi un grande dibattito. Come già nel 1956 anche oggi a promuovere e a guidare questo rivolgimento democratico è l'ala democratica e riformatrice del comunismo ungherese.

Non è certo un caso che la prima forza politica che i riformatori ungheresi abbiano trovato all'appuntamento della loro rivoluzione democratica sia stato il Partito radicale della nonviolenza e dei diritti umani, degli Stati Uniti d'Europa, del diritto alla vita e della vita del diritto; nè è un caso che a cogliere questa occasione e questa opportunità sia un partito che dopo trent'anni di esperienza politica, storia e identità prevalentemente o quasi esclusivamente italiane, ha avvertito per primo l'indilazionabile necessità di costituirsi in forza politica europea, transnazionale e sovranazionale.

E' grazie al convergere di questi due fatti, così singolari e straordinari, che potrà svolgersi dal 22 al 26 aprile a Budapest il primo Congresso di un partito non nazionale e non comunista in uno dei paesi a cui la seconda guerra mondiale ha dato in sorte il socialismo reale. Ciò che non ci è stato possibile in Jugoslavia lo sarà dunque in Ungheria. Può apparire presuntuoso, può apparire velleitario, ma noi avvertiamo che proprio lì dove il disgelo sovietico è insidiato dai rischi delle frammentazioni nazionali ed etniche e dai rischi di un pluripartitismo costituito dal ritorno in scena dei vecchi partiti del pre-fascismo e del pre-comunismo, proprio lì il partito del bipartitismo, della riforma "anglosassone" del sistema politico, e il partito dell'organizzazione transnazionale della lotta politica e del federalismo ha forse un contributo da dare e un ruolo da svolgere. Ed avvertiamo che la forza creativa di un impetuoso processo costituente di una nuova democrazia può dare impulso di rinnovamento e di nu

ova vitalità alle stanche e conservatrici democrazie reali dell'occidente europeo.

Ma c'è anche, in noi, la consapevolezza drammatica che entrambi questi fatti, nella diversità della loro proporzione, ugualmente singolari e straordinari, insieme ad una grande potenzialità siano insidiati da una grande fragilità.

Sappiamo degli esiti tragici delle precedenti primavere del mondo comunista, quali pericoli insidino la nuova primavera di Budapest.

E per quanto ci riguarda sappiamo quali pericoli insidino la vita del nuovo Partito radicale. Nei mesi scorsi, di fronte alla difficoltà di risolvere i problemi apparentemente insolubili di dare basi materiali e organizzative e di trovare adesioni e forza politica sufficiente al partito transnazionale, si è anche discusso di chiusura del Partito: chiudere un'esperienza per ricercare - al di fuori dei limiti di questo Partito radicale - le basi di una nuova forza politica transnazionale. Al Consiglio federale di Strasburgo questo discorso è stato accantonato. Non esistono i tempi e le risorse, nè esistono visibili candidature di interlocutori esterni per ricercare al di fuori del Pr la costituzione del "partito nuovo". Il Partito radicale è condannato ancora una volta ad andare avanti, a tentare di farcela o sparire. Le difficoltà non sono scomparse. La chiusura non era l'invenzione di dirigenti in vena di autodistruzione. Abbiamo davanti pochissimo tempo e pochissime risorse. Dovremo farcela in pochi mesi ad

ottenere i risultati, le iscrizioni, i consensi, gli insediamenti organizzati in più paesi, che non siamo riusciti a realizzare in oltre un anno.

Ha detto Marco Pannella in una recente intervista all'Espresso: »A Strasburgo abbiamo deciso esattamente l'opposto del previsto. Non ci sciogliamo, anzi: ripartiamo all'attacco... Abbiamo deciso di uscire in mare aperto, alzando sugli alberi e i pennoni tutte le nostre bandiere ed emblemi, tutti sulla tolda ai propri posti di navigazione e di combattimento, in alta uniforme. Il nostro Congresso di Budapest, nell'ultima decade di aprile, sarà questo. Saremo lì per ricordare che quella nave è valsa ben più di tante sterminate flotte, ed ha scoperto orizzonti e approdi senza pari. Ci prepariamo ad andare lì perché attorno a questa nave le altre, isolate, che ritengono di battere bandiere straniere e nemiche, trovino una ragione per unirsi. Useremo questa volta fino all'ultimo centesimo del finanziamento pubblico, delle elemosine che ci giungeranno, delle nostre energie e risorse... .

A Budapest dovremo esserci tutti, con tutte le nostre bandiere. Per avere la forza di innalzare le vele. Per trovare il vento che ci consenta di spingerci verso nuovi mari. Per dare ad altri compagni - ungheresi, jugoslavi, cecoslovacchi, russi, polacchi e romeni, ma anche saheliani e israeliani, francesi e spagnoli, inglesi e belgi - la forza della speranza per salire in tanti su questa stessa nave.

Ma intanto, nonostante Budapest, nonostante questo straordinario appuntamento con la speranza, il partito ha poco più di mille iscrizioni nel 1989.

 
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