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Fejto Francois - 25 marzo 1989
Ungheria: la promessa dello Stato di diritto
Intervista a Francois Fejto di Giancarlo Loquenzi

SOMMARIO: La decisione di autorizzare il Congresso radicale a Budapest dimostra la consistenza dei cambiamenti in corso all'interno dell'Ungheria e la volontà di apertura verso l'Europa occidentale. Ma finche non si consentirà un vero pluralismo politico non sarà possibile realizzare le riforme economiche e chiedere sacrifici ai cittadini ungheresi.

(Notizie Radicali n· 66 del 25 marzo 1989)

Signor Fejto, il Governo ungherese ha dato il suo assenso a che il Partito radicale possa tenere il suo XXXV Congresso a Budapest. Lei che è un attento osservatore di tutte le novità che provengono dal suo paese, come interpreta questa decisione?

La interpreto in maniera molto positiva. Si inserisce nella politica di apertura messa in pratica dal Governo in questi ultimi mesi. E' un'apertura che d'altronde non si indirizza solo nei confronti del Partito radicale - cosa di cui mi rallegro moltissimo - ma anche nei confronti di altre organizzazioni occidentali. Mi hanno appena informato che per esempio l'associazione degli amici di Robert Schumann, il grande europeista, terrà anch'essa il suo congresso a Budapest, in settembre. Anche questo fatto illustra la volontà del Governo ungherese di aprirsi all'Europa; è dunque un'evoluzione positiva anche se questo non deve portarci ad addolcire, ad ammorbidire le nostre posizioni nei confronti del Governo ungherese, che lavora a quest'apertura assieme al Partito comunista che continua a controllare il potere economico e politico del paese.

Abbiamo appena saputo che al congresso radicale parteciperanno anche esponenti di primo piano di Solidarnosc, quale Michnik e Geremek. Potrebbe essere anche un'occasione di incontro tra cittadini di diversi paesi dell'est che discutono dei loro problemi comuni.

Mi rallegro doppiamente di questa notizia, perché fino a oggi il principale ostacolo di uno sviluppo democratico dei paesi dell'est è stato che tutti i tentativi di democratizzazione sono stati fatti in maniera isolata. Quando l'Ungheria nel 1956 ha fatto un primo tentativo si è dovuta scontrare, se non proprio con le opinioni pubbliche, certamente con i governi di tutti gli altri paesi comunisti. Lo stesso vale per la Cecoslovacchia: i russi ebbero il sostegno degli altri quattro paesi del Patto di Varsavia per intervenire contro le riforme in quel paese. E' la prima volta quindi che, per lo meno tra polacchi e ungheresi e in certa misura anche con i gorbaciovisti russi, ci sono dei contatti, c'è della collaborazione e mutuo incoraggiamento. Questo è un fatto nuovo che occorre salutare positivamente.

Una domanda di carattere più generale, o per meglio dire teorico: secondo lei, posto che l'Ungheria stia sinceramente tentando di costruire un vero e proprio stato di diritto, lo sviluppo di un sistema multipartitico è una condizione essenziale o invece possono essere pensate altre soluzioni, come per esempio un modello a due partiti contrapposti, un po' all'inglese per intenderci?

Io credo che non si possa immaginare il pluralismo politico senza l'organizzazione sotto il nome di un partito, di un movimento, ma comunque di forze politiche di opposizione. E' su questo che metterei l'accento. D'altro canto è ormai chiaro che le opinioni pubbliche nei paesi dell'est sono di opposizione, è un fatto assodato, sono contrarie al partito unico. Il Presidente del consiglio ungherese, Grosz, quando è andato in Cecoslovacchia - l'ho letto sui giornali ungheresi -, vi era andato per studiare il sistema multipartitico. Cosa vuol dire questo? In Cecoslovacchia come in Polonia come nella Germania dell'est, i partiti non sono stati - almeno teoricamente - aboliti, come invece è successo in Ungheria nel 1949. Sono rimaste in vita in questi paesi delle piccole organizzazioni satelliti che hanno tuttora la loro rappresentanza parlamentare di quattro o cinque parlamentari, peraltro designati dal Partito comunista. Allora se il multipartitismo è questo, l'opinione pubblica non ne vuole sapere. Quello che s

i vuole è l'organizzazione di forze politiche indipendenti, che si tratti di partiti o di movimenti, ma che siano rappresentativi dell'opinione pubblica: questo è l'essenziale. Ora, se invece si vogliono creare dei partiti che restino sotto il controllo del Partito comunista, come sembra augurarsi il Governo ungherese attualmente, sarà solo un pluralismo di facciata. Quello che è più grave è che in questo momento, nei nostri paesi, c'è un gran bisogno di riforme economiche che impongano anche grossi sacrifici. Ma per far questo i governi hanno bisogno della piena fiducia della gente, cosa che invece hanno perduto e che possono riconquistare solo lasciando vivere organizzazioni dove le opinioni possano essere espresse liberamente. Questa è la questione di fondo.

La avremo con noi a Budapest per il nostro congresso?

Vede, io ho preso un impegno con me stesso - e da vari anni ho ricevuto numerosi inviti ufficiali dall'Ungheria - di non rientrare nel mio paese natale fino al giorno in cui lo stato di diritto non sarà costituzionalmente stabilito, Fino ad oggi ho resistito al canto delle sirene e agli inviti ufficiali, aspettando quel momento. E poiché il vostro congresso si terrà in un momento in cui lo stato di diritto è ancora solo una promessa e non una realtà, non credo che potrò esserci se non, pienamente, con il mio spirito. A meno che, da qui ad allora, come io spero, lo stato di diritto non abbia a sorgere.

Intervista di Giancarlo Loquenzi

 
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