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Negri Giovanni - 14 novembre 1989
Il sonno della democrazia
Giovanni Negri

SOMMARIO: L'autore ritiene che, anche di fronte alla "rivoluzione dell'Est" i cittadini del mondo occidentale siano "più sudditi di democrazie reali che protagonisti di democrazie vive". Proprio per questo, quindi, è calzante l'intuizione transnazionale del Pr, perché definisce la cornice indispensabile della democrazia nuova. E proprio in questa cornice si situano i primi passi dell'iniziativa nonviolenta del digiuno e delle manifestazioni radicali del 20 ottobre, anche se non è detto che un'iniziativa nonviolenta articolata e collettiva sia matura.

(Notizie Radicali n.248 del 14 novembre 1989)

In un recente articolo Gianni Vattimo analizza, in un modo felicemente inedito, l'immaginario collettivo suscitato dalla rivoluzione dell'Est in noi "occidentali".

La fine della guerra fredda, la caduta di muri e catene, il riconoscimento della superiorità del modello democratico ci danno serenità e sicurezza. Ma la curiosità e l'aspettativa sono altrove, nello sgomento per la rapidità e il volume del cambiamento di quelle società rispetto alle degenerazioni e agli statu quo delle nostre società "democratiche"; e ragionevolmente Vattimo conclude che »in realtà vorremo anche noi, qui ad Ovest, essere capaci di cambiare radicalmente, di non lasciare che la democrazia si spenga in modo indolore ma non per questo meno inesorabile, nel trionfo del cinismo, della sfiducia, della corruzione accettati come il minor male... .

Se dunque pensiamo con tanta ansia e curiosità a ciò che può sorgere dalle macerie del socialismo reale é anche perché, in modo più o meno consapevole, ci sentiamo più sudditi di "democrazie reali" che protagonisti di democrazie vive.

Ci piace pensare che in Ungheria o in Urss, con ben maggiore freschezza e innocenza, si cerchi insomma non qualcosa che già abbiamo ma qualcosa che anche a noi manca, nonostante un tasso di benessere e felicità maggiore dei popoli dell'Est.

Ma è proprio sulla base di queste analisi che è calzante l'intuizione trasnazionale dei radicali. Assai raramente e con grande difficoltà riesce a divenire direttamente politica (nel senso dell'irrompere nell'agone politico con la forza di provocare confronto) ma definisce la cornice indispensabile della democrazia nuova, la dimensione al di fuori della quale non vi è possibile soluzione democratica a problemi che non conoscono confini nazionali.

Nello stesso ambito si situano i difficili tentativi, i primi passi di un'iniziativa nonviolenta che insieme a Marco Pannella e a diversi compagni dell'Est abbiamo avviato nei giorni scorsi, invitando a una più matura riflessione sulla questione cruciale del "potere dell'informazione" e del suo esercizio.

Non è per nulla paradossale che a Mosca e a Praga si sia manifestato dinnanzi ad ambasciate occidentali rivendicando diritto e libertà all'informazione, o almeno non è più paradossale di quanto non lo sia il manifestare a Roma o a Bruxelles per le libertà e i diritti civili ad Est. Né si è trattato di un contingente sostegno a difficili prove elettorali condotte in occidente in condizioni a-democratiche, nelle quali è dubbia non solo la gestione dell'informazione ma il computo di schede e voti. Con quelle manifestazioni, con il digiuno non si intendeva tanto "protestare" contro censure e discriminazioni pure gravissime, quanto arrivare a porre - finalmente in termini politici e non meramente accademici o astratti - un problema che sul piano transnazionale, e perciò anche nei Paesi nei quali viviamo, va affrontato.

Viviamo in democrazie monche e degradate dall'assenza teorica e pratica del nuovo Stato di Diritto e del nuovo equilibrio dei poteri che effettivamente operano nelle società contemporanee. Lo schema classico di tripartizione dei poteri (esecutivo, legislativo, giudiziario) ha subito l'irruzione di un potere mediatico cresciuto prepotentemente in questo secolo, sino al punto di esercitare contemporaneamente una funzione di condizionamento pesante degli altri poteri e di possente veicolo di controllo del consenso.

Non è certo l'unica corposa anomalia delle democrazie tradizionali, ma l'armonia della dialettica democratica - prevista come frutto di un complesso sistema di controllo tra poteri - è oggi schiacciantemente compromessa da un potere di fatto non codificato e regolamentato.

Ciò vale a Est e a Ovest, sempre più varrà nella società della comunicazione e della sovrapposizione di realtà e immagine, sempre più è oggetto di ricerca ma sempre meno è affrontato in termini politici e legislativi. Eppure squilibri ed errori sono sotto i nostri occhi ogni giorno. L'assenza di garanzie di tutela dell'identità di soggetti collettivi o del singolo conducono all'abolizione di intere minoranze politiche e sociali, spesso alla demolizione dell'immagine senza possibilità di riscatto. Pene, sanzioni, correttivi, contrappesi, strumenti di controllo sono inesistenti o impraticabili. Prevale la logica di potere brutale e si fa strada un'etica autoritaria, proibizionista in senso lato, mentre dal suffragio universale al Parlamento gli istituti di democrazia perdono valore e ruolo.

Si tratta di una realtà di fronte alla quale ci si sente impotenti.

Né è scontato che il Partito radicale possa essere la sede della riflessione e dell'azione su questo bandolo della matassa "democrazia reale", che sul piano transnazionale si riesca effettivamente a operare con efficacia, che sia matura un'iniziativa nonviolenta articolata, collettiva, diversa da quelle che siamo abituati a conoscere e volta al rispetto della legalità democratica che pure le nostre Costituzioni solennemente sanciscono. Tuttavia rifletterci, ciascuno e insieme, non guasta proprio. Come in tante altre occasioni il pungolo radicale potrebbe forse scuotere i troppi democratici "in sonno", abbandonatisi alla rimozione e all'inerzia.

 
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