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Pannella Marco, Sorgi Marcello - 6 giugno 1990
Pannella: E io vi dico viva i referendum.
Intervista di Marcello Sorgi a Marco Pannella

SOMMARIO: Nei giorni successivi all'annullamento dei referendum su caccia e pesticidi e della morte annunciata di questo strumento, Marcello Sorgi intervista "l'uomo-simbolo" del referendum, ripercorrendo da Moro a Fanfani, da Berlinguer ad Almirante la storia della battaglia referendaria sul divorzio.

(La Stampa, 6 giugno 1990)

Marco Pannella, lei è l'uomo-simbolo di tutti i referendum e il leader più silenzioso nei giorni dei de profundis per quelli sulla caccia e sui pesticidi. Cos'è, non vuole aggiungere il suo necrologio ai già numerosi che s'allineano dopo la vittoria del non-voto?

"Ma neanche per sogno! Anzi, se mi consente, tutto questo piagnisteo sui referendum uccisi dall'indifferenza della gente mi sembra ridicolo. I referendum non sono affatto morti. E se sono feriti, chi ha sferrato i suoi colpi cercando di abbatterli sono soprattutto i partiti. Si poteva pensare che in una partitocrazia che ha fatto marcire le istituzioni, le libertà, i diritti, si salvassero, come per miracolo, giusto i referendum?

Ma qui la gente non va più nemmeno a firmare, come dimostra la storia sofferente del tentato referendum elettorale. C'è chi dice che è proprio cambiato il clima: lei che ha vissuto tutte le campagne, dal divorzio a oggi, cosa ne pensa?

Se mi chiede se i referendum hanno mai avuto vita facile in Italia, le rispondo di no: proprio pensando al divorzio, a quel voto che nessuno voleva e che noi quattro gatti radicali riuscimmo a imporre e a vincere...

Ormai, è storia di sedici anni fa: si può trarne una lezione, ripercorrendola?

Cominciamo da prima. Dal '64, quando io, Mauro Mellini e il gruppo di rifondatori del partito radicale costituiamo la Lid, Lega Italiana per il Divorzio. Per fare, con l'aiuto di Loris Fortuna e pochi altri, la battaglia per la legge. Oggi molti non se lo ricordano: ma a proporre il referendum furono altri.

Già, in prima linea si mosse Gabrio Lombardi e l'ala più intransigente del mondo cattolico, poi s'intuivano pressioni vaticane; da ultima, e solo dopo interminabili e fallite mediazioni, scese in campo la dc.

E la sinistra, i laici? Lei vuol dimenticare che i comunisti, il psi, i laici a parole anticoncordatari, perfino gli extraparlamentari, o frenarono o fecero di tutto per evitare il referendum? Le confesso che anch'io, all'inizio, avevo i miei timori. Poi Mellini mi convinse e m'innamorai di questa partita.

Via, Pannella, possibile che nessuno vi abbia dato una mano?

Solo nella prima fase, fra il '69 e il '70, quando ci si batte per fare la legge. A parte Fortuna, che è la nostra testa di ponte alla Camera, e senza il quale il divorzio non si sarebbe mai fatto, Pertini ci viene incontro; ci aiutano, anche contro la linea ufficiale del partito, grandi nomi del pci, da Umberto Terracini a Fausto Gullo a Vittorio Vidali. Almirante ci fa una mezza promessa, mai mantenuta, credo anche allora per via di Donna Assunta. Una sorpresa, per noi, è Fanfani. Ma l'elenco di chi cerca in ogni modo di fermarci è più lungo, comprende tutti i segretari dei partiti di governo, ostili oppure, come De Martino e Malagodi, indifferenti, il Berlinguer che s'accinge a salire sul trono del pci, i cavalli di razza dc Moro, Andreotti e Rumor, la tv di Stato bernabeiana, allora come oggi, chiusa nel suo silenzio.

Pertini e Fanfani, due uomini così diversi: in cosa consistette il loro aiuto?

Pertini era presidente della Camera quando noi, con l'aiuto di Fortuna e del presidente della Commissione Affari costituzionali Renato Ballardini cercavamo di accelerare l'approvazione della legge. Io non ero parlamentare, entravo alla Camera come visitatore, e lui mi riceveva nel suo studio. Mi trattava con tono un po' paternalista, era preoccupato che l'immagine della Camera fosse intaccata dalla nostra campagna sui ritardi. Mi salutava sempre: "Lascia fare a me". Ma una volta che io gli dissi che non avremmo più aspettato s'infuriò, chiamò i commessi e minacciò di farmi cacciare fuori. Qualche tempo dopo ero a Milano, c'era Pertini in visita, ma non sapevo se era ancora adirato con me. Mandai avanti Enzo Tortora, anche allora mio amico, con una lettera. Pertini è fra la gente, apre la busta, comincia a leggere, e: "Questo è quel delinquente di Marco".

E Fanfani?

Lui, come presidente del Senato, ci aiutò nella seconda fase: quando, varata la legge, si trattava di rendere possibile il referendum. I discorsi che mi fece erano tutti di tono garantista: sotto sotto - si capiva - era sicuro di vincere, portando la dc a un suo secondo '48. Purtroppo per lui, si sbagliava.

Perché mai un grande laico come Ugo La Malfa era contrario al referendum?

La Malfa suggeriva di limitare il divorzio ai matrimoni civili (solo 1,4%) salvando quelli confessionali. Poi si preoccupava degli effetti "dirompenti" del referendum. "E' una follia, Pannella farà saltare il centrosinistra, ci porterà tutti alla rovina", diceva continuamente al telefono a Ballardini, parlando di me. Ma se parliamo di "coscienze laiche", una delusione me la diede anche Mario Pannunzio, uno dei padri del nostro partito radicale.

Anche Pannunzio non fu dei vostri?

No, e fu una brutta sorpresa. Ero andato a trovarlo per parlargli del rilancio del partito radicale sull'onda della campagna referendaria. Mi gelò con una battuta: "Pannella, lei porterà questo Paese nelle mani dei comunisti". Obiettai: "Ma se sono i nostri diretti nemici...".

Invece, a giudicare dai risultati elettorali del '75, si direbbe che Pannunzio aveva visto giusto.

Non mi pare. Il pci vinse nel '75 e nel '76, ma corse a consegnare quel successo nelle mani di Andreotti. Se i referendum dovevano essere la via d'uscita da un sistema fondato sulla centralità dc, per l'alternativa, nessuno più di Berlinguer osteggiò questo disegno. E fu per questo, per contrastare il compromesso storico strisciante che noi decidemmo di entrare in Parlamento.

Lei nega quindi la versione del pci che senza il loro appoggio il "no" all'abrogazione del divorzio non sarebbe passato?

Ma certamente. E posso testimoniare che fino all'ultimo, in Parlamento i comunisti, d'intesa con la dc, cercarono di aggirare il referendum. A quaranta giorni dal voto un corsivo dell'Unità mi accusava di essere pagato dalla dc. Terracini e Vidali mi chiamarono per testimoniarmi la loro solidarietà. Fausto Gullo volle essere inserito nel comitato di presidenza della Lid. Pasolini e altri illustri intellettuali non lontani dal pci, come Galante Garrone, furono con noi. Ma un mio amico comunista mi rivelò che Berlinguer era pronto a scommettere sulla sconfitta del "no".

Che rapporti aveva lei con Berlinguer?

Personalmente, buoni. Ci conoscevamo dal '52-'53. Berlinguer, di ritorno da uno dei suoi incarichi nel movimento socialista internazionale, era venuto a vivere a Roma vicino a Piazza Bologna, dove abitavo anch'io. La sera scendeva a portare a spasso il suo cane, un pastore tedesco. Se lo incontravo, passeggiavamo insieme parlando di politica. Ma sul fronte del divorzio, la storia dei vecchi leader del partito che stavano con me non gli piacque. I nostri rapporti si raffreddarono. Me ne accorsi quando, rivedendolo, anziché chiamarmi "Marco", mi rivolse un gelido "Pannella".

E i democristiani? Com'è questa storia che fra i suoi avversari c'era anche chi la aiutava sottobanco?

Ma no: piuttosto, al solito, come succede sempre con i democristiani, la vicenda referendaria s'intrecciava con le loro lotte interne. Di Fanfani le ho detto. Di Rumor, s'è sempre detto che mise in crisi un suo governo all'annuncio di uno sciopero generale. Non è vero: lo fece, nel '70, proprio per evitare di dover controfirmare - lui, veneto, cattolico, uomo di chiesa - la legge, ormai approvata, sul divorzio. Di Leone, si può dire che alternava rigore e disponibilità cercando consensi per il Quirinale. Ma appena eletto lo avvertii: "Lei non finirà il suo mandato". Di Andreotti posso dire che fu l'unico a intuire fin dall'inizio il pericolo, per la dc, anche del referendum. Alla vigilia di un primo voto decisivo, sulla costituzionalità della legge, intuì la sconfitta. Lo incontrai - ma per caso - all'uscita della Camera di via della Missione. Io scendevo al mio solito dalla tribuna, lui se ne andava con la sua cartellina sotto braccio. Mi vide e si fermò: "Pannella, smetta di digiunare. Ormai ce l'ave

te fatta".

E' vero che ebbe anche un memorabile scontro con Moro?

E' vero. Moro aveva quella sua insuperabile tecnica di rinviare. Fece così anche nel '75, mentre noi cercavamo di raccogliere le firme per la nuova tornata di referendum (aborto, codice Rocco, Tribunali militari, codici penali militari). La sua arma era una circolare, diramata dal ministro Gui, che rendeva di fatto impraticabile la raccolta delle firme per via di un ostruzionismo burocratico di tutti i funzionari statali che dovevano collaborare. Noi avevamo già sperimentato i rinvii sul divorzio, fino alle elezioni anticipate del '72. Così, visto che Moro rifiutava di ascoltarci, una mattina mi presentai all'università di Roma.

E Moro come reagì?

Fu sorpreso. Lui era appena entrato che io urlavo: "Professore, ai ragazzi parli dei diritti negati". Moro prima fece finta di niente: "Non so nulla". "Glielo ricorderò", gli risposi. La scorta era paralizzata, lui mi chiamò da parte, e dopo un breve colloquio mi promise un intervento "in 48 ore". Due giorni dopo, un tempo incredibile per i secolari ritmi morotei, fece cambiare la circolare.

Dopo la vittoria sul divorzio, gli altri referendum sono stati più facili?

Non mi pare. Passata la tempesta, tutti i partiti pensavano che si fosse trattato di un'eccezione. Così, ci ritrovammo sui soliti fronti: loro in Parlamento, a mortificare diritto e istituzioni, noi dentro e fuori la Camera, a lottare per la legalità e per far tenere i referendum. Per quello sull'aborto fu necessario che mezzo vertice del partito radicale, Faccio e Spadaccia in testa, finisse in galera. Per quelli sulla legge Reale, sull'Inquirente, sul finanziamento pubblico dei partiti e sulla legge manicomiale, dovemmo ricorrere all'ostruzionismo alla Camera. Per quelli su giustizia e nucleare ci aiutarono laici e psi, ma sulla caccia noi volevamo votare già otto anni fa, quando gli ecologisti di oggi lo ritenevano prematuro, ma ci fu impedito.

Per concludere, Pannella: dopo la batosta di lunedì, che ne sarà dei referendum?

Di momenti difficili ne ho visti anche peggiori. E a chi dice che il referendum stavolta è morto, io rispondo "viva il referendum". Ce n'è uno nuovo, sulla legge elettorale del Senato, per il quale bisogna arrivare ad ogni costo a raccogliere le firme. Per parte mia io riparto da oggi. E basterebbe già raggiungere quest'obiettivo per cercare di salvare, insieme, la democrazia dai partiti e i referendum dalla morte annunciata.

 
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