SOMMARIO: La creazione della Costituente del Pci, fissando date, partecipanti, poteri e tempi senza consultare nessuno al di fuori delle Federazioni del Partito, sembra escludere le forze esterne relegandole a un ruolo di osservatori. La nascita di un grande Partito della Riforma della politica, delle istituzioni, dei partiti, della società deve invece coinvolgere la politica e le forze politiche. Bisogna affrontare anche i problemi del periodo di transizione e decidere a quali condizioni, con quali garanzie, con quali obiettivi immediati e con quali scelte ultime andare a "questa" Costituente anche con quelle forze politiche, come il Partito radicale, che non si possono più continuare a trattare come compagni di strada, politici per caso, per avventura.
(L'Unità del 13 giugno 1990)
Cosa vogliano i conservatori, nel Pci e fuori di esso, è di una evidenza tale che sembra accecare un po' tutti. L'invocazione delle patenti di nobiltà, di sempiternità, dell'etnos rivendicato come supremo ethos, del popolo di dio che va difeso come destino, contro l'avventurismo, l'astrattezza, le nequizie dei riformatori sradicati e sradicanti, stupidamente, volgarmente plebei, costituisce l'anima e inchioda lo stile delle loro manifestazioni.
La loro moralità finisce per esser quella dei moralisti; e ben presto la loro vita concreta, sociale, istituzionale si trova drammaticamente chiusa nei connotati tragici e farseschi di Tartufo. Ernesto Rossi ci ha insegnato a riconoscere nella "roba" la forza vera, se non la motivazione, dei Grandi Conservatori delle fedi, dell'istituzioni ecclesiastiche, dell'autoconservazioni dei gruppi di "dignitari", di vestali, e del loro potere.
Cosa vogliano i riformatori, invece, è sempre meno chiaro: nel Pci e fuori di esso. Penso a quel che effettivamente vogliono, a giudicarli dai fatti, non dalle loro buone fedi, del tutto equivalenti a quelle dei consevatori. Tutto, sembra dettato dal "fine". Ogni mezzo viene vissuto come buono, mentre fra tante rivoluzioni, culturali e no, dovrebbe ormai esser chiaro che i mezzi pre-figurano e condizionano i fini, molto più di quanto questi non riescano a dar senso a quelli.
Ma, anche qui, il rischio maggiore appare quello dell'autoconservazione di sé come gruppo di potere, di massimo potere. La "Riforma" implica l'autonomia anche di se stessi, e la messa in discussione delle proprie funzioni e identità.
Sta di fatto che una prospettiva che rapidissimamente ha entusiasmato amici ed anche avversari, rischia anche di crollare ed esser sepolta. Veniamo al dunque, alla "Cosa", avendo ben chiaro che la grande maggioranza degli esponenti, dei militanti, dei votanti del Pci non è riducibile alle immagini ed alle attuali divisioni del vertice del partito, spaccato fra leader di un "sì" e leader di un "no". Un giorno la si evoca come "Congresso di rifondazione", un altro come "Costituente", un altro ancora come entrambi, sciolte o in pacchetti.
Non si sa bene chi abbia avuto l'autorità, e da chi il compito, di stabilire che questo evento debba svolgersi a dicembre; a dicembre, non a novembre o a gennaio. Mancano solamente luogo, giorno ed ora, lista dei partecipanti, statuto e norme transitorie e finali, progetto e programma, organigrammi e loro modo di formazione.
Sappiamo di più sul piano della sistemazione internazionale della Cosa. Si è già sovranamente stabilito che essa dovrà far parte dell'Internazionale socialista. Nessuno, nel Pci e dintorni, sembra ricordare che Dahrendorf, per un intero anno evocato come uno dei punti di riferimento teorico e politico del nuovo corso, è vicepresidente dell'Internazionale liberal-democratica, non di quella Internazionale socialdemocratica che egli afferma, anzi, rappresentare ed incarnare una ben altra Cosa, di sartriana memoria.
Ancora: il Comitato dei referendum elettorali contava su una adesione politica agli obiettivi propri, specifici, obbliganti e costituzionali di un referendum come quello sull'elezione del Senato. Si è appreso, invece, che il Pci, sarebbe nettamente contrario alla proposta di sistema elettorale uninominale corretto, ad un turno, di stampo anglosassone, e che si esprime, in convergenza ritrovata con De Mita e buona parte della dirigenza della Dc, per un sistema di rafforzamento del regime partitocratico, che perpetui il sistema bipolare attraverso l'obbligata e istituzionale convergenza (attorno alla Dc ed al "nuovo" Partito comunista della Cosa italiana) delle loro antiche e nuove appendici. Non so se sia più incredibile la scelta di questa Controriforma in luogo della Riforma, o l'abuso sempre più ideologico, partitocratico dell'istituto referendario. E' come se si intendesse fare il "bis" dell'infamia (cito Enzo Tortora morente) compiuta sul referendum sulla responsabilità civile dei magistrati, che dove
va esser pienamente istituita e che invece è stata poi interamente soppressa, dimostrando agli italiani che non v'è ormai più alcun rispetto delle regole del gioco, più alcuna certezza del diritto, che un voto referendario serve al suo contrario, o a nulla, sicché l'astensione appare ora come la migliore delle risposte ad una maggioranza assoluta degli elettori. Per chi, come alcuni di noi, è attento, in primo luogo, da liberaldemocratici, ai problemi di diritto, di legalità, di procedura, dover sommare questa scelta a quella, preannunciata, di opporsi al sesto scioglimento anticipato consecutivo delle Camere, vero tradimento della Costituzione solo perché (e fin quando) non sussistano le condizioni di opportunità politica e per farlo vantaggiosamente, c'è quanto meno da stropicciarsi gli occhi e da chiedersi se non si tratti solamente di un incubo.
Continuiamo. Apprendiamo dalla stampa che è stata decretata, con opportuna circolare, la formazione di "Comitati per la Costituente" in ogni provincia italiana. Di grazia: chi è il Convocatore, chi il destinatario? Il Segretario del Pci e le Federazioni del Pci? Contemporaneamente si rassicura una parte del Pci che questi Comitati non conteranno nulla, visto che al Congresso di ri-fondazione, lo Statuto del Pci sarà pienamente e giustamente vigente. Sempre dalla stampa apprendiamo anche i dosaggi che dovranno esser realizzati nei Comitati: tanti iscritti, tanti non-iscritti. Leggiamo, e siamo tentati dal malumore che, certo, sappiamo essere inutile e inadeguato. Ne facciamo ammenda. Ma anche Giobbe, alla fine, deve porsi il problema della differenza fra pazienza e passività. Non vogliamo ascoltare le sirene del "no". Non siamo nostalgici del naufragio, né del finale "atto puro" che lo nobiliti. Ma è pur vero che chi cerchi d'orientarsi, per comprendere qualcosa della Cosa deve risalire a molte settimane f
a, quando nel dopo-congresso e nel prima-delle-elezioni, vennero indicati come destinatari dell'evento le donne, i giovani, gli anziani, i meridionali inermi ed onesti, meglio se palermitani, meno bene se abruzzesi. E ci chiedemmo se non fosse il caso di estendere l'appello a categorie più nuove: i biondi ed i bruni, gli alti e i bassi, i grassi e i magri, i virtuosi se non anco i viziosi (radicali).
Dobbiamo ai giornalisti sportivi il recupero felice, dell'"opportunismo", ingiustamente divenuto simbolo di trasformismo politico e di qualunquismo ideale. Si torna così, più di un secolo dopo, a rendere al grande radicale francese, Gambetta, gli onori che gli spettano. Ma se non v'è nemmeno la nozione del rispetto necessario di un minimo di certezza del diritto, del rispetto delle regole in tema di referendum, di Parlamento, di Costituzione, non si trattava più di opportunismo, di laicità della politica; ma di navigazione a vista, ancor più povera e rischiosa di quella che a ragione costituiva la critica di fondo alla politica del Bettino Craxi degli ultimi anni.
Eppure ci si muove, ogni tanto, con stentorea, precisione e decisione. Una "Costituente" presume forze convocatrici, da individuare, politiche e non meramente sociologiche, dunque diverse, autonome. Sul piano del puro e semplice galateo è incredibile fissare date, partecipanti, poteri, tempi, senza consultare nessuno? Chi di dovere sa da mesi, per ripetute comunicazioni, che tali metodi, e sistemi, non possono che allontanare molti di coloro che erano, e ancor sono, interessati e mobilitati per quella riforma della politica, delle istituzioni, dei partiti che venne presentata come ragione della Costituente stessa. Ci si è mossi, invece, come se l'unico vero laboratorio in cantiere fosse quello palermitano, malgrado che fosse chiaro a tutti che proprio a Palermo ci si trovava dinanzi al più vecchio, pericoloso, mortale rischio di letterale eliminazione del Pci dalla scena politica, e non solamente elettorale (e il laboratorio veneziano è stato a mala pena tollerato, quello abruzzese è stato oggetto di malc
elata opposizione, di una gestione dissipata).
Eliminati, rimossi, o subiti, i riferimenti al movimento dei radicali ed a quello degli ambientalisti; specie al primo. Federalismo europeo, nonviolenza, liberaldemocrazia, hanno finito per vivere come astrazioni, nemmeno più come lontani punti di riferimento teorici. Si è stati totalmente assenti di fronte ai giganteschi eventi dell'Est europeo e si è giunti ad evocazioni truffaldine dello Statuto del Partito per liquidare il problema politico posto dall'esistenza della Internazionale Radicale nei confronti della quale si continua a voler mantenere il milione e quattrocentomila iscritti al Pci come gli unici separati da una sorta di Muro di Berlino.
Così, certo, s'è cessato di fare "scandalo", ma - anche - si è determinato il crollo di quella partecipante attenzione che i sondaggi assegnavano ad oltre il 50% degli italiani alle proposte di Occhetto, alla creazione del nuovo Partito della Riforma e dell'alternativa al regime (e non semplicemente "alla Dc").
Eppure sono certo che si è ancora in tempo per correggere gli errori di questo ultimo semestre, per recuperare quell'interesse, quella partecipazione, quella speranza.
Occorre però ripartire da capo. Occorre credere in quel che si è immaginato, con il rigore della fantasia, con la prudenza ispirata dall'istinto di conservazione. Occorre governare le difficoltà, non evitandole, ma affrontandole.
Giovanni De Luna osservava: "... Questo paradosso di una "rifondazione" gestita da un gruppo dirigente che ha tutto l'interesse ad autoperpetuarsi in quanto tale, sembra oggi essere il vero banco di prova per la credibilità dell'intero progetto occhettiano". Achille Occhetto, ma anche Pietro Ingrao, hanno da non offendersi: ma questa "logica obiettiva", così lontana certamente dai calcoli dell'uno e dell'altro, è oggettivamente operante, e rischia di aver più peso della logica loro, la logica delle cose rischia di prevalere su quella delle persone e dei gruppi.
La nascita di un grande Partito della Riforma della politica, delle istituzioni, dei partiti, della società, Riforma democratica del regime partitocratico, deve coinvolgere la politica, e forze politiche. Deve coinvolgere appieno forze socialiste democratiche e forze liberaldemocratiche. La lettura di Gramsci per la quale si sono annullati Piero Gobetti e i fratelli Rosselli, e - ancor più - una lettura adeguata e diversa della storia di questo secolo, del valore dimostrato dal mondo liberaldemocratico "anglosassone", e dalla tragedia vissuta dal continente per un ventennio, con la dialettica fra comunismo, fascismo, socialdemocrazia, non può nei fatti - politici - restare immutata. O rischia di concorrere alla scomparsa "francese", "spagnola", "tedesca", "greca", "est-europea" e, probabilmente, "sovietica, delle masse comuniste e delle loro organizzazioni. Perdita secca, in Italia ed in Europa, per chiunque non abbia dismesso la speranza democratica, tollerante, laica, umanista (ambientalista) e della "r
ivoluzione liberale". Evitare di dover registrare anche questa perdita è quel che ci muove, è quel che ci urge.
Una Costituente "politica" deve preventivamente affrontare, dunque, con laica puntualità e umiltà, anche i problemi del periodo di transizione, delle "norme transitorie e finali" dello Statuto della nuova "cosa". Deve affrontare preventivamente (subito o mai) il problema dell'organo convocatore "centrale" e correggere la soluzione data attivisticamente a quelli periferici. Deve affrontare e risolvere il problema degli organigrammi del nuovo Partito, fino al suo primo Congresso ordinario che non può convocarsi - evidentemente - entro brevissimo tempo.
Ci si dice, da parte di quanti sono poi ridotti al "realismo" del consumo del possibile: "ma insomma, con chi mai avremmo dovuto fare questa immensa Cosa? Con te? Con voi?".
Candidamente e seccamente rispondo che è proprio così. Oltre, beninteso, che con quei Clubs che non possono anch'essi continuare ad essere trattati come compagni di strada, politici per caso, per avventura, o obsolescente impegno "fino a dicembre".
E' proprio così. Da un anno abbiamo cercato di far riflettere con diretti interventi personali, e con interventi anche pubblici (cioè, per un radicale come me, spesso di fatto clandestini) che "noi" siamo ben più di quanti essi non scorgano con i loro errati fotogrammi. Se la dinamica avesse continuato ad essere quella che Flores d'Arcais, ad esempio, ha indicato a suo tempo come quella di un "partito radicale di massa", come partito "liberal" oggi, quella delle interviste ab Dahrendorf a "L'Unità"; quella dello "scandalo" che aveva coinvolto l'intero mondo politico e tanta parte della pubblica opinione, sarebbe accorti che dal mondo laico (quello ufficiale, quello liberaldemocratico, dal Pli e dal "pri e da quello ambientalista, dal partito socialdemocratico e fin da quello socialista, dal mondo cattolico-liberale e cristiano-democratico a quello della cultura organizzata, personalità di primo piano, garantite doverosamente al pari della classe dirigente del Pci impegnata in questa impresa, sulle respons
abilità, sulle funzioni, sugli organigrammi del nuovo partito, sui suoi obiettivi immediati e sulle modalità decisionali del primissimo periodo (fino alle elezioni politiche), avrebbero concorso in modo determinante alla Costituente, lasciando i morti, ed i loro sepolcri imbiancati, al pari dei comunisti.
Fantasie? Millantato credito? Ma certo. Come ai tempi del divorzio e delle prime grandi battaglie per i diritti civili e la Riforma della politica?
Convincere coloro che ho qui sopra evocato a compiere ugualmente la loro scelta, a rischiare di più a costituirsi subito in Unione democratica per la Riforma è comprensibilmente, motivatamente molto difficile. Per loro si tratterebbe di un salto senza rete. Quella rete che, esistendo, ha però forse concorso a depotenziare la "rivoluzione liberale" che nel Pci dovrebbe essere più facile? Non so. So che se fossimo, a fine settembre, quelli che saremmo stati di fronte ad una Costituente già conquistata uniti, a dire: "Decideremo se andare a questa Costituente, a quali condizioni, con quali garanzie, con quali obiettivi immediati e quali scelte laicamente ultime", la Costituente tornerebbe ad essere quella che ha scosso il sonno e la rassegnazione del paese.
Altrimenti dovremmo essere così forti, comunque, da rinviare questo incontro con la "cosa", da avere la nostra "Costituente per la Costituente" per la Riforma, darci vita e organizzazione autonoma, affrontare in prospettiva anche soli le elezioni. I democratici italiani, a cominciare dal milione e quattrocentomila comunisti, sceglierebbero dove continuare la loro lotta, con quale organizzazione politica, cioè usando quale utensile, e non quale Chiesa.