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Pannella Marco - 21 agosto 1990
Una "cannoniera" da inviare a Bruxelles

SOMMARIO: La crisi nel Golfo Persico mette in evidenza la crisi irrimediabile e conclusiva in cui si trova la formazione dell'Unione Europea. La Presidenza italiana della Comunità Europea, di fronte alle vicende del Medio Oriente, avrebbe dovuto cogliere questa tragica occasione per accelerare il processo di integrazione politica dell'Europa e, nell'immediato, per l'assunzione da parte della Comunità Europea della piena responsabilità politica nella gestione della crisi. Ma l'Italia ha rifiutato il quadro comunitario ed europeo, condizionata e ricattata dagli interessi comuni operanti con Saddam e il suo regime.

(La Stampa del 21 agosto 1990)

Non è contro (o pro) Baghdad, ma contro o a favore di Roma, del Governo, di De Michelis che mondo politico e dell'informazione si sono mossi, in realtà, in queste settimane. Interventisti o pacifisti, come sempre, peggio di sempre; in lite fra di loro, oltretutto. Parlato e Natta contro Occhetto, Sergio Romano o Giorgio La Malfa contro Gianni De Michelis. Come per il Libano, il Mar Rosso...

Primissima in violazione delle direttive comunitarie, primissima nel non rispetto della giurisdizione europea, primissima - e ce ne vuole! - ora, perfino in nazional-populismo; ecco l'Italia "federalista europea", del referendum per gli Stati Uniti d'Europa, del progetto Spinelli del Parlamento Europeo, delle quasi unanimità ultradecennali del Parlamento italiano.

Quel che rischia di restare, in ogni caso, come conseguenza della ennesima crisi medio-orientale, per tragica che oggi si presenti e incomba, è la crisi conclusiva e irrimediabile della formazione dell'Unione Europea, proprio quando gli eventi dell'Est, che richiedono risposta "politica e di diritto", ben più che economica, potevano tradursi nella costituzione della prima forza e "potenza" politica e democratica, economica e culturale, del mondo.

La Presidenza italiana della CEE era già partita male, in modo quasi caricaturale, per i più, dinanzi alle attese che l'avevano circondata. Uno pseudo-cosmopolitismo di tradizionale marca provinciale, da "parvenu" attivista, trovava in Europa il suo primo riscontro negativo. S'aspettava, ed urgeva, anche per delibere reiterate, ormai assillanti, del Parlamento Europeo e (fin quando non è stato costretto alla mordacchia) dal Presidente della Commissione Jacques Delors, un salto avanti, una ripresa della iniziativa federalista dell'ultima Presidenza italiana, impostata benissimo da Craxi ed Andreotti, finita nell'offa dell'Atto Unico, che l'Italia sottoscrisse "per ultima, con esplicita riserva". Conferenze intergovernative per l'unità monetaria ed economica, per la costituzione calendarizzata di un minimo certo, classico, democratico, di autorità federale, grandi assise parlamentari europee a Roma, accelerazione obiettivamente concorrente con l'unità tedesca dell'unità comunitaria, questi erano i temi, il pec

ulio straordinario, del quale la Presidenza italiana doveva e poteva far tesoro. Agosto doveva esser utilizzato al massimo a questo fine.

Lo scoppio della bomba irakena poteva e doveva secondare la maturazione di una assunzione piena di responsabilità europea. La Presidenza italiana avrebbe dovuto immediatamente promuovere, anche pubblicamente, una riunione dei Dodici, con il massimo della solennità, della drammaticità, della ragionevolezza. La Commissione non avrebbe mancato di aderire, per quanto riguarda il suo Presidente, Delors, alla iniziativa. Bastava, per questo, il quadro della cosiddetta "cooperazione politica"; dell'atto Geinsher-Colombo, perfino, non solamente dell'Atto Unico del Lussemburgo. Certo, l'ipoteca dell'unanimità avrebbe gravato per una decisione esecutiva. Ma il mondo - e Saddam - avrebbe trovato, nella Unione Europea, il punto di riferimento di forza, di ragionevolezza, di nuova aggregazione ed espressione anche per l'URSS (il cui appiattimento sulla politica di Washington non è utile per nessuno) e per molti paesi del Terzo Mondo.

Ho usato, fin qui, l'imperfetto e il condizionale poiché è probabile che la logica delle cose, piuttosto che quella umana, continui a regnare e a rovinare verso il peggio. Oltre alla miseria ideale e politica di tanta parte della classe dirigente, troppe inconfessabili realtà concorrono, infatti, a formare la più straordinaria delle unanimità conformiste, paralizzanti, che da due settimane, ormai, si manifestano nel Continente europeo. Rifiutando il quadro comunitario ed europeo, sul piano istituzionale e politico, Italia, Francia, in primo luogo, non possono non muoversi condizionate, e ricattate, dal gigantesco coacervo di interessi comuni, di complicità, certissimamente operanti con Saddam e con il suo regime. Immensi potentati multinazionali europei, francesi, in primissimo piano, oltre ai servizi di sicurezza di questi Stati, imprese pubbliche, parapubbliche e private sono esposti alle iniziative ricattatorie dell'abilissimo e ignobile dittatore che, come ogni altro, come Siad Barre e - all'inizio - lo

stesso Khomeini, sono forti di quel che gli è stato da noi conferito, e a volte imposto.

Separati, gli Stati europei non possono che produrre velleità, corruzione, debolezza; tanto più quando, come la Francia ancor più che l'Italia, sono ormai Stati partitocratici e non democratici, di parte e non di diritto.

All'immediata vigilia della riunione del Parlamento italiano, e di quello europeo (ma perché non si è pensato di chiederne, da parte della Presidenza italiana, una convocazione straordinaria?) tornerò ad usare il presente, anziché l'imperfetto. La transnazionalità del Partito Radicale, l'embrione certo di sua influenza che si sta realizzando, me lo consente, e impone. L'Europa può muoversi, può farsi. Si faccia, operi. Si muova subito da Roma, una "cannoniera" verso Bruxelles.

 
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