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Pannella Marco - 5 settembre 1990
IO RADICALE PER RILANCIARE IL PR E AIUTARE LA COSA
di Marco Pannella

SOMMARIO: Alla vigilia del dibattito organizzato nel corso del Festival dell'Unità di modena su "Idealità e tradizioni del pensiero liberal-democratico e riforma della politica in Italia" al quale è stato inviato a partecipare insieme a Vittorio Foa e Claudio Petruccioli, Marco Pannella scrive sul quotidiano comunista un articolo, che definisce un "prologo sulla 'cosa'", apparentemente estraneo al dibattito in corso sulla nuova formazione politica che dovrebbe nascere dal superamento del Partito Comunista Italiano. Parla infatti del progetto di costruzione del partito radicale trasnazionale, della speranza che molti comunisti vogliano concorrere, con la loro iscrizione, a costituirlo, dell'obiettivo dei 50.000 iscritti nel mondo. Se questa internazionale federalista e nonviolenta nascerà, avrà la forza "di invertire il corso delle cose, della "cosa", d'impedire che prevalga nel Pci la volontà di limitarsi a cambiare la facciata senza modificare la vecchia struttura ideologica e politica.

(L'Unità del 5 settembre 1990)

Vorrei fornire al dibattito di stasera, a Modena, al Festival dell'"Unità" con Vittorio Foa e Claudio Petruccioli, una sorta di prologo, sulla "cosa" e sul Pci. Potrà forse servire anche al quasi contemporaneo dibattito di Marco Taradash. Ma farò come gli amici dei "clubs" che hanno accolto l'invito che gli era giunto di non perder tempo a disturbare il manovratore e di pensare piuttosto ad organizzarsi fra di loro, nella funzione di passeggeri. Per parlare anche del Pci e della "cosa", dunque, parlerò del Partito radicale.

Oggi, 4 settembre 1990, abbiamo raggiunto i mille iscritti non italiani, in maggioranza a Mosca, Praga, Budapest. In questi giorni raggiungeremo i quattromila iscritti, inclusi gli italiani. A fine gennaio, il secondo congresso italiano del Pr aveva auspicato che almeno un comunista del Pci per ogni comune (circa ottomila, dunque) si iscrivesse al fine di assicurare le risorse umane e finanziarie necessarie e sufficienti non solo per scongiurarne la morte ma anche per realizzare un progetto che, secondo nostre fondate previsioni, avrebbe potuto portare a cinquantamila gli iscritti nel mondo, in primo luogo nell'Europa centrale ed orientale, in Africa e nel Medio Oriente.

In tal modo il PR faceva una duplice, volontaria e consapevole operazione.

La prima era quella di impegnarsi a fornire a questo nostro tempo e a questa nostra società, per subito, una organizzazione "di massa" della nonviolenza e della democrazia politica, ambientalista, antiproibizionista, internazionalista e transnazionale, federalista europea e federalista ad adesione diretta dei militanti(la sola, e la prima dopo i lontani, falliti tentativi socialisti), laica e tollerante di fronte ai fanatismi che si ripropongono ovunque nel mondo, antinazionalista e antimilitarista contro il tragico riproporsi dei nazionalismi etnici e statuali. Il tutto attraverso la realizzazione di obiettivi puntuali, immediati, di azioni dirette, secondo la tradizione del Pr.

La seconda, più limitata certo, ma quanto coraggiosa e limpida, di ancorare ad una immensa maggioranza di iscritti "comunisti" oltre l'ottanta per cento, la vita del Pr. Offrivamo, insomma, nell'attesa della "cosa", un'altra "cosa", già concepita nelle sue regole e nelle sue idee, uno strumento di lotte e di avanguardia laica, nonviolenta e libertaria, per il passaggio dai "socialismi reali" alla democrazia piuttosto che alle partitocrazie, agli Stati Uniti d'Europa piuttosto che alle implosioni nazionaliste.

Insomma, i riformatori laici e del Pci avrebbero di già avuto in quest'anno che s'avvia alla sua fine, una "cosa" in formazione, e un'altra, formata, che avrebbe consentito di esser presenti, anziché assenti totalmente, nel fronte "orientale", del post-comunismo", e su quello medio-orientale.

Invece di ottomila (su un milione e quattrocentomila) iscritti, si sono avute, da Willer Bordon e Benedetto Marcucci, da Michele Serra a Daniele Panebarco, un centinaio di iscrizioni. Mi limito qui ad affermare assiomaticamente che questa realtà è stata perseguita in modo determinante dagli amici e dai compagni del "sì", ai loro massimi vertici. Non è una accusa, ma una informazione. Così come questo "prologo", malgrado quanto fin qui ho scritto, non è un lamento, o una recriminazione. Tutt'altro. Comincio invece a ritenere che quest'altra traversata del deserto, quest'altra follia radicale possano terminare nel migliore e più incredibile dei modi.

Noi non avevamo sbagliato annunciando che il Pr, senza quell'apporto, avrebbe rischiato nell'immediato di scomparire. Nel 1990 il partito, in quanto tale, ha sospeso ogni sua attività, e aveva dovuto in tutti questi mesi quasi azzerare la sua struttura. Altrimenti, in migliaia, ne sono certo, saremmo stati presenti in azioni dirette di massa sia sul fronte della crisi irachena e medio orientale e su quello del rischio di liquidazione degli Stati Uniti d'Europa, a favore della leadership continentale di un "Grande Reich Democratico".

Eppure l'onestà intellettuale, l'umiltà forte e coraggiosa di quattromila persone ci ha già consentito di risanare fortemente la situazione del PR, che stava per morire essendo l'unica forza politica organizzata in Italia ad aver rifiutato di esser parastatalizzata e partecipe del sacco delle istituzioni e della società civile, per "realismo", beninteso; per sopravviversi.

Quel che sta accadendo sull'altro fronte, quello "nazionale" della cosa, è sotto gli occhi, ormai di tutti. Introversione, inimicizia, linguaggio partitocratico e politicistico, astrazioni e trasformazioni dilagano.

Se il Pr ce la fa, in tempo, con alcune migliaia di iscritti, subito, dall'"esterno" avremmo, la forza, lo strumento per un estremo, ragionevole tentativo di invertire il corso delle cose, della "cosa". Altrimenti, forse, ce la faremo lo stesso, malgrado il muro di Berlino che avrà continuato ferocemente ad operare, come da sessanta anni almeno, fra comunisti italiani e liberaldemocratici rosselliani, gobettiani, salveminiani, volteriani, tocquevilliani, gandhiani... E' questo che si vuole?

 
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