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Il Partito Nuovo - 1 giugno 1991
Non armi, ma tecnologia civile

SOMMARIO: In questo dopoguerra la competizione ideologica, politica e militare tra l'Est e (anche) l'Ovest ha avuto luogo a scapito degli interessi innanzitutto dei popoli dell'Est e del Centro Europa, e poi di quelli del Sud del mondo. La corsa al riarmo ha infatti sottratto risorse ingentissime allo sviluppo economico del Terzo Mondo, mentre la politica delle sfere di influenze ha sostenuto e armato una miriade di dittatori, che hanno rivolto le armi contro i loro stessi popoli. Peggio ancora, sia l'Est che l'Ovest industrializzati hanno esportato al Sud modelli e valori dagli effetti devastanti. Il mito della indipendenza nazionale, coniugato con la creazione delle burocrazie di Stato e degli eserciti popolari, è stato una miscela esplosiva, che ha prodotto massacri. Mentre da parte dell'Occidente il "mito" liberistico veniva invocato per giustificare la propria indifferenza. In questo quadro sono cresciuti il sottosviluppo, la miseria, la fame, l'analfabetismo. Per batterli occorre una nuova cultura int

ernazionalista e una nuova organizzazione politica transnazionale, democratica e nonviolenta, che non si fermi alle frontiere degli Stati nazionali, che non si arrenda di fronte all'impotenza delle Organizzazioni internazionali, che non si tiri indietro di fronte ai conflitti etnici.

(Il Partito Nuovo, n.1, giugno 1991)

Sulla scia della guerra nel Golfo, ha ricevuto ampio sostegno alla Camera dei Deputati Italiana una risoluzione che prevede la creazione di un cartello o regime internazionale per impedire il trasferimento ai paesi in via di sviluppo dei maggiori sistemi d'arma convenzionali, "nonché della tecnologia e dei componenti necessari alla loro fabbricazione".

Tentativi per cercare di coordinare le politiche di esportazione al fine di contenere il trasferimento di alcune tecnologie sono stati già fatti: due esempi sono il London Suppliers Club per l'energia nucleare, e il Missile Technology Control Regime del 1987 (sottoscritto da otto paesi occidentali). Sulla carta, sembra possibile fare uno sforzo simile anche per quanto riguarda i maggiori sistemi d'arma convenzionali (aerei, navi da guerra, missili, mezzi corazzati e artiglieria, sistemi radar e di guida aerea). Le armi convenzionali infatti sono fabbricate e commercializzate da un ristretto gruppo di produttori primari e da un piccolo numero di sottoproduttori - questi ultimi sono i paesi le cui industrie belliche dipendono in maniera esclusiva da brevetti e componenti stranieri. Nell'insieme, secondo i dati forniti dal SIPRI (Istituto Internazionale di Ricerca sulla Pace, con base a Stoccolma), circa il 95% delle esportazioni totali delle maggiori armi destinate al Terzo Mondo nel 1989 sono partite da 11 pa

esi. Questi sono: l'Unione Sovietica, gli Stati Uniti, la Francia, la Cina, la Gran Bretagna, la Germania, l'Italia, i Paesi Bassi, la Cecoslovacchia, la Svezia e la Spagna.

Diversamente da quello che comunemente si crede, la ricchezza prodotta dall'esportazione di armi è trascurabile se rapportata al prodotto nazionale lordo dei paesi produttori e decisamente esigua se paragonata alle loro esportazioni totali - con l'eccezione dell'Unione Sovietica, le cui esportazioni di armi nel 1987 hanno costituito, secondo fonti dell'Ente Americano sul Controllo delle Armi e sul Disarmo, il 20% circa delle sue esportazioni totali.

Inoltre, una consistente parte dei trasferimenti di armi dal Nord al Sud nell'ultimo decennio sono risultati passivi: nel 1987, il Presidente della Banca Mondiale, Barber Conable, ha calcolato che un terzo del debito dei più importanti paesi del Terzo Mondo può essere attribuito all'importazione di armi. Dal 1985, il contribuente statunitense ha finanziato il 30% circa delle esportazioni di armi dagli Stati Uniti verso il Medio Oriente, principalmente attraverso programmi di assistenza militare che non sono ripagabili. In questo modo, una grossa parte dei debiti relativi ai trasferimenti di armi da Nord verso Sud sono rimasti insoluti, e con tutta probabilità continueranno a rimanerlo. Infine, non va dimenticato che è bastato un solo Saddam Hussein per spazzare via il capitale degli ultimi 20 anni di esportazioni delle maggiori armi verso il Terzo Mondo, che consiste, secondo una valutazione del SIPRI del 1985, in circa 390 miliardi di dollari, ossia più o meno l'equivalente del costo della guerra appena ing

aggiata per liberare il Kuwait, più il costo della ricostruzione di Iraq e Kuwait.

La formazione di un cartello di produttori dei maggiori sistemi d'arma potrebbe costituire un primo, concreto passo per rallentare il commercio di armi da Nord verso Sud e per prevenire l'emergere di altri Saddam Hussein. E' con tutta evidenza un passo che si scontrerà con parecchie critiche, se non proprio aperte avversità, da parte dei governi destinatari del divieto sull'esportazione delle principali armi. Tuttavia, nelle intenzioni dei legislatori italiani che hanno proposto la risoluzione, essa deve essere interpretata essenzialmente come un incoraggiamento ai paesi del Terzo Mondo perché trovino soluzioni politiche alle loro necessità di sicurezza, attraverso il dialogo e la collaborazione. Inoltre, la risoluzione prevede che i paesi industrializzati si adoperino parallelamente a fare il possibile per accelerare il trasferimento di tecnologia civile verso i paesi in via di sviluppo - si potrebbe pensare ad un sistema di garanzie contro il dirottamento di tali tecnologie per usi militari, come è previst

o nel Trattato di Non-Proliferazione Nucleare. La precedenza va data a quei paesi potenziali beneficiari di tecnologia civile che hanno governi eletti democraticamente, che hanno dimostrato di fare una corretta politica dei diritti umani e che prendono misure concrete per ridurre la loro spesa militare.

E' fazioso, a nostro avviso, opporre la proposta di un cartello adducendo la motivazione che esso sia discriminatorio. Coloro che insistono su questo aspetto sanno certamente che quei paesi possiedono realmente la tecnologia per produrre sistemi d'arma e non smantelleranno le loro industrie belliche - e ancor meno accetteranno un disarmo totale e generale - dall'oggi all'indomani. Nel frattempo, impedire il flusso di armi da Nord verso Sud è nell'interesse di tutti. E' nell'interesse dei paesi esportatori, se intendono realmente, come dicono, evitare future tragedie quali la guerra nel Golfo. Ed è nell'interesse anche dei paesi importatori, che hanno disperatamente bisogno di smettere di sperperare le loro scarse risorse nell'acquisizione di letali macchine belliche. In un secondo momento, quando si saranno ulteriormente attenuate le tensioni Est-Ovest e si saranno dissolti i blocchi, si potrebbe organizzare un Regime di Non-Proliferazione Convenzionale, nell'ambito del quale tutti gli Stati si impegnino a n

on produrre, accumulare e trasferire i maggiori sistemi d'arma.

La mozione presentata dai deputati italiani non è che un piccolo passo nella direzione dell'ambizioso obiettivo di sostituire la tecnologia militare con quella civile nel contesto attuale dei trasferimenti Nord-Sud. Perchè quest'obiettivo si realizzi, altri Parlamenti, in quanti piu' paesi è possibile, dovrebbero chiedere ai loro Governi di agire in questa direzione.

 
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