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Colombo Furio - 30 aprile 1992
STATI UNITI: NO ALLA PENA DI MORTE!
Intervento di Furio COLOMBO, giornalista, editorialista de "La Stampa"

XXXVI· CONGRESSO DEL PARTITO RADICALE - Commissione "Pena di morte".

SOMMARIO: Documento sulla pena di morte predisposto per il 36· Congresso del Partito radicale (Roma, Hotel Ergife, 30 aprile - 3 maggio)

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Sono contro la pena di morte in qualunque caso, per qualsiasi ragione. So - come dimostra l'esperienza del mondo e i dati di fonti insospettabili - che la pena di morte è inutile contro la criminalità e serve solo progetti di terrore e di distruzione della libertà. E' uno strumento eminentemente anti democratico, estraneo alla cultura della libertà e alla definizione dei diritti umani.

Non posso - naturalmente - non domandarmi come mai la pena di morte sia accettata, adottata e applicata negli Stati Uniti, un paese di esemplari tradizioni civili e democratiche.

Si tratta di uno spaventoso equivoco culturale e morale. Argomenti arcaici di origine e natura religiosa si sono trasferiti nel contesto politico - che è apparso su questo punto fondamentale debole e disorientato, e si sono - almeno temporaneamente - imposti a gran parte dell'opinione pubblica.

Chiedo di non usare l'argomento della pena di morte come una occasione per scagliarsi contro l'America. Ma, al contrario, di non smettere di esercitare qualunque pressione, di dar vita al più vitale e intenso dei movimenti anche come gesto di collaborazione con la parte dell'opinione pubblica americana che si oppone alla pena di morte.

Il governatore dello Stato di New York Cuomo ne è il campione più noto e più coraggioso. Chiedo di farlo nello spirito di quella democrazia americana che per prima ha dichiarato al mondo la uguaglianza di tutti gli esseri umani e la inviolabilità dei loro diritti.

L'impegno contro la pena di morte - e contro l'ostinazione con cui le esecuzioni tornano a ripetersi in un paese che rispetto e che amo - io lo considero come un modo di ricordare l'America della seconda guerra mondiale, che ha mandato i suoi figli a combattere il nazismo e il fascismo a ad aprire prigioni e campi di sterminio, e - più tardi - le porte dei Gulag.

Come può accadere che una opinione pubblica libera e informata si dichiari, in numero così alto, in favore della pena di morte, la sostenga, la invochi, mostri di apprezzarne la applicazione?

Purtroppo questo stato d'animo si è formato nella persuasione, certamente sbagliata, che togliere la vita come punizione sia un gesto morale, sia l'estremo punto di arrivo di un processo di giustizia. Si tratta di un errore storico, di un gravissimo pregiudizio culturale, di una deviata interpretazione letterale di enunciazioni religiose pietrificate in poche frasi tolte dal loro contesto storico, di ambiente, di significato.

La persuasione errata però diffusa, che vi sia - nel dare la morte come punizione di un grave crimine - un senso morale, contraddice gravemente i fatti, si scontra con la ragione. Si scontra con la più alta e innegabile di tutte le verità morali che ispirano il mondo civile, quella che impedisce di togliere la vita a un altro essere umano.

Ma i fatti e i dati non saranno mai abbastanza ripetuti. La pena di morte non scoraggia i crimini di sangue, così come le controguerriglie non scoraggiano le guerriglie. Spargere il sangue non ha mai spaventato chi è disposto a spargere sangue. La pena di morte, più di tutte le pene, espone al rischio i più poveri, i più deboli, coloro che sono psichicamente e socialmente esposti al rischio di non essere adeguatamente difesi. Nelle legislazioni che prevedono la pena di morte, il dramma dell'errore giudiziario, statisticamente sempre alto, diventa tragedia irreparabile. Rivela la natura di delitto che è insita nella esecuzione capitale.

I paesi liberticidi, in cui la pena di morte è sempre di casa, si oppongono con furore ad ogni tentativo di interferenza degli organismi internazionali.

Nonostante ciò, bisognerà fare tutto il possibile, prendere ogni misura, provocare ogni contatto e incontro e atto pubblico che spinga le organizzazioni internazionali, e specialmente le Nazioni Unite, a escludere senza equivoci e senza incertezza la pena di morte.

Non si può rinunciare alla forza della presa di posizione pubblica ed esemplare, all'importanza, almeno, del segnale offerto ai paesi del mondo, ai popoli che ancora vivono oppressi e senza libertà.

Ma una simile rete di iniziative internazionali è importante dove la comunicazione circola liberamente e raggiunge i media e i cittadini. La democrazia è fondata sulla persuasione. Al processo di persuasione, in un mondo sempre più interconnesso, partecipiamo tutti.

Dunque è soprattutto pensando alla opinione pubblica americana, protagonista libera di un paese libero, che si deve indirizzare questo impegno e questo appello contro la pena di morte. Si tratta di enunciare alcuni diritti fondamentali, primo fra tutti la vita, di cui nessuno, in ogni angolo del mondo può essere privato. Si tratta di cercare l'aiuto e il sostegno di tutte le democrazie, che, tipicamente, sono impegnate a sostenere il diritto alla vita, cercando di coinvolgere il più possibile l'opinione pubblica americana, le sue voci, i suoi testimoni. Sarà necessario lavorare, provare, insistere e provare di nuovo e non arrendersi mai, finché non sarà eliminato nel mondo, questo estremo strumento di errore e di orrore.

 
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