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Tassani Giovanni - 1 gennaio 1993
Radicalismo
di Giovanni Tassani

SOMMARIO: Voce di dizionario specialistico, in cui vengono esaminati gli usi terminologici e i referenti storici del termine "radicale, radicalismo". Dopo gli excursus sul significato di "radicale" nei contesti storici inglese e francese, ci si sofferma sulla terminologia e la storia specificamente italiana, giungendo anche ad un notevole capoverso dedicato al "nuovo" partito radicale di Marco Pannella ecc. di cui rileva - con osservazioni acute - i pregi e le caratteristiche principali: fino al giudizio conclusivo, secondo il quale "il radicalismo come soggetto politico pare invece in latenza, anche se probabilmente non è estinto". Inadeguata bibliografia.

(Dizionario delle idee politiche diretto da Enrico Berti e Giorgio Campanini - Editrice ave)

I. Usi attuali e origine inglese del termine. - 2. Il r. francese. - 3. Il r. nell'Italia prefascista e negli anni '50. - I nuovi radicali.

I. Usi attuali e origine inglese del termine. - Il termine "radicale" designa oggi, in diversi ambiti linguistici e geografici, fenomeni diversificati. L'aggettivo radical nei paesi anglosassoni e il sostantivo Radikalismus in area germanica indicano in sostanza l'estremismo, associabile alla destra o alla sinistra. In area latina, europea e sudamericana, il termine "radicale" è invece più spesso legato alla storia di specifici partiti politici, diversi tra loro anche se non comuni origini ottocentesche.

E' in Inghilterra che, sul finire del sec. XVIII, nasce un movimento di idee che invoca una "riforma radicale" del sistema politico. Con la restaurazione monarchica dopo la rivoluzione di Cromwell, questo s'era rinchiuso tradizionalmente a misura del ceto aristocratico possidente, con la stessa borghesia affaristica che non ambiva a un suo diretto ruolo politico. Ma lo spirito dei lumi agiva anche in Inghilterra, per prima scossa dagli effetti della rivoluzione industriale, sia pur con modalità empiriche e non razionalistiche astratte come in Francia. La scelta "radicale" fu, dall'inizio e da parte di circoli intellettuali, quella di accompagnare il sommovimento sociale, economico e di costume con un vasto programma di riforme legali, economiche e politiche. Punti caratterizzanti i vari programmi radicali: titolarità individuale dei diritti (forti dell'insegnamento metodista wesleyano, del primo utilitarismo di W. Paley e J. Priestley, del liberoscambismo di A. Smith), e quindi sovranità popolare, cioè rappr

esentanza parlamentare eletta con suffragio universale maschile. Queste idee si consolidano e divengono una filosofia sociale con l'utilitarismo di J. Bentham, per il quale la virtù coincide con l'utile, vale a dire con ciò che rende massimo il piacere e minimo il dolore. Tale tendenza opera per contagio, essendo utile individuale l'utile altrui; scopo della morale e perciò della legislazione e della politica è allora quello di raggiungere "la più grande felicità del maggior numero possibile di uomini" (A Fragment of Government, 1786). Postulato di tale teoria è un ottimismo antropologico fondato sul "giudizio di utilità": "ciascuno è giudice della sua utilità; questo è e deve essere, diversamente l'uomo non sarebbe un agente ragionevole".

I radicali inglesi mostrarono simpatia per la Rivoluzione francese, o almeno per le prime sue fasi fino al '93, e ampia comprensione per il moto d'indipendenza dei coloni americani. I benthamisti della "Westminster Review", con W. Cobbett, parlamentare ex liberale e direttore del "Register", riusciranno a imporre con metodicità implacabile sulla stampa, in parlamento, con vaste campagne di agitazione e propaganda, i loro temi, su cui l'opinione pubblica inglese sarà chiamata a esprimere precisi giudizi.

Come forza politica specifica i radicali incorreranno nelle difficoltà del sistema politico britannico che non premia posizioni minoritarie, riuscendo bensì a informare dei loro temi i programmi delle principali forze politiche: tories, conservatori, e whigs, liberali, cui tenderanno ad allearsi. Negli anni all'incirca tra la prima riforma elettorale, 1832, e la seconda, 1867, che allargheranno il suffragio, i radicali vedranno soddisfatte alcune delle loro principali istanze: il parlamento a maggioranza liberale, grazie anche all'azione della pattuglia radicale, promuoverà leggi contro la povertà, riabiliterà legalmente dissenters e cattolici (Emancipation Act), autorizzerà poi, proprio in concorrenza col r., il cartismo), porrà le basi dell'istruzione primaria obbligatoria. Con l'avvento dei conservatori al governo, nel 1874, il r. passerà a privilegiare l'azione diretta rispetto a quella parlamentare, con meetings e leghe concentrate su singoli punti di riforma.

Quando, sul finire del sec. XIX, nascerà il Labour Party, ciò che di vitale s'era sviluppato dal filone radicale confluirà in gran parte nel nuovo partito dei lavoratori (Vedi anche: Utilitarismo 2).

2. Il r. francese. - "Le Radical" è il titolo di un giornale antiorleanista del 1837: già da qualche anno in Francia il termine "radicale", importato da oltre-manica, serve a coprire quello di "repubblicano", per evitare censure e repressioni da parte del regime monarchico. La rivoluzione del 1848 forgia in parte le famiglie politiche francesi. I radicali nascono però come scissione dai repubblicani solo nel 1869, dopo le elezioni in cui emergono come "terzo partito", tra realisti e repubblicani, necessario a Napoleone III per governare.

Nel "programma di Belleville" è richiesta "l'applicazione più radicale del suffragio universale, la libertà individuale, la libertà di stampa, di riunione, d'associazione e la giuria per tutti i debiti politici, l'istruzione primaria laica, gratuita, obbligatoria, la separazione della Chiesa e dello Stato, la soppressione delle armate permanenti, l'elezione dei funzionari, la responsabilità diretta di essi".

Decisivo nel passaggio dall'impero alla terza repubblica, il partito radicale francese risulterà centrale in parlamento, pur non disponendo di maggioranza assoluta. Frazionismo dei partiti e delle clientele diverranno caratteristica costante della politica francese. I radicali tenderanno a distinguersi dai repubblicani "opportunisti", cioè disposti a maggioranze coi conservatori, per la loro intransigenza patriottica e laicista. Accanto a posizioni personaliste e solidariste alla L. Bourgeois, che sarà il primo presidente del consiglio propriamente radicale nel 1895, altre posizioni (E. Combes, G. Clémenceau) si caratterizzeranno appunto per intransigentismo e dottrinarismo laicistico, che culminerà nella legge sulle congregazioni religiose, costrette a chiudere ogni attività educativa e a emigrare in parte dal paese, e nella separazione tra Stato e Chiesa (1904-1906).

Il Partito Radicale era ufficialmente nato, per difesa dalla concorrenza socialista, con un congresso il 21 giugno 1901 a Parigi, a partire da comitati di base, società di libero pensiero, leghe di insegnanti (che furono il nerbo dello "spirito pubblico" nella terza repubblica). A base piccolo-proprietaria, provinciale, di ceto medio cittadino e agricolo, il r. cercherà di darsi un'organizzazione stabile, ma non riuscirà a superare lo stato di "agglomerato inconsistente di comitati riuniti da vincoli, incerti e variabili, risultati da combinazioni occulte, da rivalità di fazioni, da lotte di gruppi e di personalità" (M. Duverger). Ciononostante, slittando costantemente verso lo spazio del centro moderato, riuscirà a rendersi elemento insostituibile di governo nella terza come nella quarta repubblica, anche grazie ai suoi notabili parlamentari. Dall'area radicale, spostatisi poi viceversa verso il socialismo emergeranno uomini come P. Mendès-France, protagonista della politica francese negli anni cinquanta, e

F. Mitterrand.

Lo stile radicale francese, come partito delle istituzioni e della salvezza nazionale, nonché nelle sue accentuazioni anticlericali, spesso influenzate dalla massoneria, troverà tentativi di emulazione in partiti analoghi di Spagna e America Latina.

3. Il r. nell'Italia prefascista e negli anni '50. - Ma anche dall'Italia il "r." guarda oltralpe. Dal mazziniano Partito d'Azione, per distacco di quelli che sentono la necessità di agire dall'interno del parlamento e del quadro istituzionale vigente (monarchico), nasce il r.italiano. Suo programma la difesa e l'affermazione conseguenziale dello spirito risorgimentale, come in Francia dello spirito della rivoluzione. Garibaldi, più di Mazzini, diviene il punto di riferimento comune, specie dopo la sua elezione nel primo collegio di Roma nel 1874.

Ma è l'avvento della sinistra al potere, con A. Depretis nel 1876, che porterà progressivamente i radicali a distinguersi dai ministeriali e dal loro "trasformismo", sulla base della tenuta su alcuni principi di fondo: suffragio universale, senato elettivo, istruzione primaria laica, gratuita e generalizzata, decentramento amministrativo e autonomia finanziaria di comuni e province, riforma del sistema giudiziario. Primo leader radicale sarà A.Bertani, già mazziniano, che negherà il 12 dicembre 1877, a nome d'un gruppo di parlamentari di sinistra, la fiducia al governo, facendolo cadere. Nasce così la "estrema". Alla morte di Bertani, 1886, subentra come leader F.Cavallotti, "bardo della democrazia", che porrà la "questione morale" denunciando con forza l'involuzione reazionaria crispina, e nel "patto di Roma" del 1890 invocherà il ridimensionamento dei poteri del governo, il decentramento amministrativo, l'imposta progressiva sul reddito, l'orario di lavoro di otto ore, l'uscita dell'Italia dalla Triplice A

lleanza. Critico dell'"empirismo" del primo governo Giolitti (1892-'93), Cavallotti contribuirà alla sua caduta, col risultato di spianare il terreno al ritorno di Crispi.

Filogiolittiani saranno invece i radicali della seconda fase, ricostituitisi in partito nel 1904, con E.Sacchi. Anticlericali programmatici, sospinti dall'estrema all'area di governo, con una base di ceto medio progressista attratta in parte dal fiorente socialismo, i radicali perderanno progressivamente la loro identità e il consenso popolare. Infiltrato in grossa parte dalla massoneria con fini ideologici e di potere, negli spiriti più nobili il r. rimarrà il partito della "democrazia pura", laico in quanto non intriso d'ideologia, avverso al clericalismo politico ma non pregiudizialmente antireligioso. Ciò consentirà l'approdo al gruppo radicale nel 1909 di R.Murri, "cappellano dell'estrema", omogeneamente alla sua evoluzione verso un cristianesimo della libertà, immanente alle coscienze così come alla vita politica e sociale.

Nel post-fascismo tratti radicali accentuati si ripresenteranno nel Partito d'Azione, scioltosi nell'agosto 1947.

Come tale il Partito Radicale nascerà l'11 dicembre 1955, sulla base di una scissione di sinistra dal Partito Liberale, accusato di aver "assoggettato il partito alla volontà di potenti gruppi monopolistici" e "avvilito la sua politica alla difesa di interessi particolari e di ristrette categorie". Su un programma di "terza forza" (tra "socialcomunisti" e "clericali"), misto di liberismo e dirigismo roosveltiano, attirerà ex azionisti come L.Valiani, G.Calogero ed E.Rossi e troverà nel cenacolo del settimanale "Il Mondo" e nei suoi convegni annuali il suo laboratorio intellettuale. Anche il nuovo settimanale "L'Espresso" sarà veicolo di idee radicali su una linea di "alternativa laica" nel paese. Come programma i principi di ogni forza radicale: rigoroso separatismo Stato-Chiesa, lotta ai monopoli privati e pubblici e alle sacche di privilegio, impegno contro la speculazione sulle aree fabbricabili, piena libertà di stampa ed espressione. Ad un'alleanza col PRI (con esiti sfavorevoli nel 1958), seguirà lo sp

ostamento verso l'area socialista autonomista negli anni dell'incipiente centro-sinistra.

4. I nuovi radicali. - Con M.Pannella, giornalista e già dirigente universitario, esponente dei giovani radicali, il r. italiano verrà forgiato ex-novo e rilanciato con un ruolo politico crescente e massimamente incidente sulla realtà italiana, nella seconda metà degli anni '70. La vecchia impostazione, elitaria e intellettuale, viene bruciata sul terreno più ambizioso di un'azione culturale e politica non già terzaforzista, ma a pieno campo, con l'obiettivo dell'"unità della sinistra e della costruzione di una nuova sinistra europea". Man mano che il centro-sinistra mostrerà le sue difficoltà a incidere in senso riformatore, la pattuglia radicale si attesterà su un crinale che consente di criticarlo e contemporaneamente di provocare il PCI per farlo uscire dall'isolamento o dalla nostalgia del frontismo.

L'esempio del r. europeo ottocentesco, specie britannico, è ben presente ai nuovi radicali italiani: anch'essi ambiscono al ruolo di minoranza attiva e intensa, capace di informare della propria cultura e dei propri progetti l'opinione pubblica. Ci riusciranno, in buona parte, leggendo e interpretando le tendenze in atto nella società e nel costume italiani, a partire dalla modernizzazione degli anni '60 con un di più utopico di antiautoritarismo, antimilitarismo e laicismo.

Rispetto al partito di "democrazia pura" Pannella e la nuova generazione radicale apportano, come novità e sull'esempio anglosassone, la lotta per l'acquisizione di sempre più ampi diritti civili, una sensibilità non violenta mutuata dalla frequentazione di A. Capitini, la prassi delle "azioni dirette" (direct action: marce, sit-in, digiuni...), la capacità di usare i media, spettacolarizzando il messaggio a fini di propaganda.

Intuizione produttiva per il Pr è quella che l'egualitarismo s'afferma non nell'uniformità e massificazione, ma nel rispetto e valorizzazione delle differenze: per questo i temi della sessualità sono entrati prepotentemente e in modo lacerante nel dibattito politico sospintivi dai radicali, e con minor tenuta da ambienti dell'estremismo post-sessantottesco, con la costituzione poi del Movimento per la liberazione della donna (MLD) e del Fuori, per i diritti degli omosessuali. L'età della protesta giovanile imprime i suoi caratteri di sovraccarico ideologico anche sul r. italiano, ponendolo quasi in ombra o piegandolo al clima prevalente di cultura del sospetto, trasgressione libertaria, populismo; ciò è costatabile nelle intese PR-PSIUP o rileggendo una rivista come "Tempi moderni", nella seconda serie, stile new left, alla ricerca di "controcultura", o successivamente nei buoni rapporti con l'organizzazione Lotta continua. Ma i diritti individuali rimarranno il terreno d'azione proprio dei radicali: nel dic

embre 1965 prende avvio la Lega italiana per l'istituzione del divorzio (LID) a sostegno della proposta di legge Fortuna, nel 1969 è fondata la Lega per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza, trasformatasi poi in Lega degli obiettori di coscienza (LOC).

Il referendum sul divorzio del maggio 1974 mette in luce il contrasto ormai presente nel paese di due "sensi comuni": di quello secolarizzato il PR è indubbiamente l'interprete di punta. Se c'è un opposto polare al termine "r.", questo va individuato in "tradizionalismo", inteso non tanto come pensiero politico, quanto come costume, rispetto dell'ordine e dei legami sociali, rifiuto della secolarizzazione. Il r. si pone oggi invece come risposta interna al processo avanzante di secolarizzazione da parte di chi, oggetto di secolarizzazione, vuol risponderle come soggetto. Un r., in questo, post-razionalista, post-illuminista, che fa leva sulla fisicità dell'individuo, puntando sull'unica connessione per esso possibile: quella tra libertà di coscienza individuale e riconoscimento di questa nella legge.

Su tale linea il r. italiano trova il tema "aborto" e lo lancerà ancora una volta spettacolarmente: i risultati del referendum del 1981 confermeranno il trend del 1974. Ma nel frattempo la forza radicale è entrata in parlamento (4 deputati nel 1976, 1,1%, risultato più che triplicato nel 1979) e ha affrontato altri temi che incrociano il senso comune della gente, con la raccolta di firme per otto referendum, quattro dei quali si svolgeranno nel giugno 1978: col significativo risultato di un 43,6% per l'abrogazione del finanziamento pubblico dei partiti. La sonda radicale ha captato qui un segnale di sensibilità presente nell'opinione pubblica (sorda viceversa su altri referendum "umanitari", come nel caso dell'abolizione della pena dell'ergastolo), crescentemente sfavorevole alla "partitocrazia", termine sottratto dai radicali al suo tradizionale uso a destra.

La valorizzazione dello strumento referendum come arma di controllo dei governati sui governanti fu senz'altro, per alcuni anni, un elemento di dinamizzazione della vita politica e di sganciamento di parte del voto d'opinione dal bacino delle appartenenze partitiche. Alti e bassi - basti citare l'ipergarantismo sul caso T. Negri (1983), riscattato dalla difesa, l'anno successivo, di E. Tortora, o la campagna contro la fame nel mondo, grazie anche alla quale l'Italia stabilì fondi e criteri d'intervento, e l'elezione in parlamento di una pornostar - segnaleranno, negli anni '80, incertezze e nuove prospettive per i radicali: su un tema ancora una volta delicato come quello dell'uso della droga si lacererà ad es. una tacita alleanza con i socialisti protrattasi per gli anni di governo Craxi.

Pannella guadagnerà nel frattempo credito personale al parlamento europeo e tenterà la carta di una formazione politica radicale transnazionale, anche in vista delle trasformazioni sentite come prossime all'est.

Pregi e limiti del r. italiano sono concentrati nella personalità, indubbiamente versatile e politicamente creativa, del suo fondatore e leader carismatico, cui in molti riconoscono capacità di gioco d'anticipo, e non solo di provocazione: ciò può valere per l'incoraggiamento ai "verdi" a presentarsi alle regionali e amministrative del 1985, come per il lancio della candidatura Scalfaro alla presidenza della repubblica nel 1992.

I radicali sono stati tra i primi a capire la crisi profonda del marxismo, nonostante gli ultimi fuochi del post-'68. A sinistra la cultura radicale appare oggi vincente: il r. come soggetto politico pare invece in latenza, anche se probabilmente non è estinto. (Vedi anche: Diritti umani; Femminismo 3; Nonviolenza; Partiti politici; Secolarizzazione)

Bibliografia

1. Sul radicalismo storico: E.A. BIAGINI, Il liberalismo popolare. Radicali, movimento operaio e politica nazionale in Gran Bretagna (1860-1880), Il Mulino, Bologna 1992; A. COLOMBO, Radicalismo, in N. BOBBIO - N. MATTEUCCI-G.PASQUINO (a cura), Dizionario di politica, UTET, Torino 1983; A. GALANTE GARRONE, I radicali in Italia (1949-1925), Garzanti, Milano 1973; S.M. GANCI, L'Italia antimoderata. Radicali, repubblicani, socialisti e autonomisti dall'Unità ad oggi, Guanda, Parma 1968; E. HALEVY, La formation du radicalisme philosophique, 3 vol., Alcan, Paris 1901-1904; G. MACCOBY, English Radicalism, Allen & Unwin, London 1938; S. MALVAGNA, Radicalismo, in PNF (a cura), Dizionario di politica, V.IV, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma 1940; R. MURRI, Il partito radicale e il radicalismo italiano, Comitato di Azione Laica, Roma 1913; C. NICOLET, Le radicalisme, PUF, Paris 1957.

2. Sui nuovi radicali italiani: G. BAGET BOZZO, La società radicale, "Argomenti radicali", (1977) n. 1 aprile; P. IGNAZI-G. PASQUINO, Da partito movimento a partito istituzione. Mutamenti nelle opinioni dei militanti radicali dal 1977 al 1979, Istituto Carlo Cattaneo - Il Mulino, Bologna 1981; M. PANNELLA, Scritti e discorsi 1959-1980, Gammalibri, Milano 1982; M. TEODORI-P. IGNAZI- A.PANEBIANCO, I nuovi radicali, Storia e sociologia di un movimento politico, Mondadori, Milano 1977.

 
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