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Stanzani Sergio - 15 luglio 1993
SOFIA: INTERVENTO DI SERGIO STANZANI

RIUNIONE DELL'ASSEMBLEA DEI PARLAMENTARI E DEL CONSIGLIO GENERALE

Sofia, 15/18 luglio 1993

SOMMARIO: A conclusione di cinque anni e mezzo di segreteria politica del partito radicale, Sergio Stanzani disegna, nell'intervento/relazione per l'Assemblea di Sofia nel corso della quale rassegnerà il suo mandato, una breve storia dell'esperienza trentennale del partito radicale, per chiarirne le ragioni e le coordinate di fondo dinanzi ai nuovi iscritti provenienti da diversi paesi e dunque non a conoscenza della sua complessa storia. L'intervento è suddiviso in 25 paragrafi (di cui qui appresso si elencano i titoli) che scandiscono le tappe di quella vicenda. Secondo Stanzani, essa si può dividere in tre grandi periodi: la rifondazione degli anni '60, il rischio di "istituzionalizzazione" dopo le elezioni del 1979 in conseguenza della politica di "unità nazionale" praticata da DC, PCI e PSI (una politica che rende impossibile persino la speranza nell'alternativa e viene configurando le forme di un vero e proprio "regime") e infine il tentativo di dare vita al partito transnazionale nel quale ricostituir

e le ragioni essenziali del partito radicale proiettandole verso una dimensione nuova e più universale.

Pur nelle sue ridotte dimensioni, questa cronaca/storia presenta alcuni caratteri che ne raccomandano la lettura quando si voglia approfondire la conoscenza del partito radicale: i par. 6 e seguenti - ad es. - mettono bene a fuoco la crisi cui il partito va incontro agli inizi degli anni '80, con i rischi di "istituzionalizzazione"; il par. 12, poi, dà una interpretazione importante di un congresso (Bologna 1982) che suscitò polemiche e lacerazioni anche profonde, ma determinò una svolta irreversibile, anche grazie all'abile regia di Pannella, non sempre compresa ed anzi a volte sordamente contrastata anche all'interno del gruppo dirigente.

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INDICE:

1. Il ritorno alla normalità statutaria.

2. La "transizione al nuovo".

3. La trasformazione del partito radicale in organizzazione

politica transnazionale.

4. Le ragioni della scelta transnazionale.

5. Gli anni sessanta e settanta.

6. Gli anni ottanta.

7. Una tendenziale "istituzionalizzazione" del partito.

8. La campagna contro lo sterminio per fame nel mondo.

9. I tentativi per "tener fuori" il partito dal regime.

10. La risoluzione del Congresso di Firenze del 1985.

11. La campagna "o lo scegli o lo sciogli".

12. La decisione di Bologna.

13. Da Bologna '88 a Budapest '89.

14. La fine di un segmento di teoria della prassi. La non

presentazione alle elezioni.

15. La fase successiva al Congresso di Budapest.

16. L'assunzione dei pieni poteri congressuali.

17. Il risanamento economico-finanziario.

18. Il progetto del "Partito Nuovo".

19. La separatezza dagli eventi italiani.

20. L'iniziativa nei confronti dell'ex Jigoslavia.

21. La campagna per l'abolizione della pena di morte entro il

duemila.

22. La prima sessione del XXXVI Congresso.

23. Dalla prima alla seconda sessione.

24. La seconda sessione.

25. Le ragioni di "questo" intervento.

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Amiche e amici carissimi,

la riunione dell'Assemblea dei parlamentari e del Consiglio Generale del partito, che si apre oggi a Sofia, è stata convocata in osservanza di quanto disposto dalla mozione approvata dalla II sessione del XXXVI Congresso, svoltasi a Roma agli inizi dello scorso febbraio. I 30 giorni di ritardo rispetto al termine massimo previsto, sono dovuti ad imprevedibili, sopraggiunti impegni del Parlamento italiano (l'approvazione della nuova legge elettorale, che avrebbe precluso la presenza degli eletti in quelle assemblee) e a conseguenti impossibilità di carattere tecnico ed organizzativo.

1. IL RITORNO ALLA "NORMALITA' STATUTARIA"

Con questa riunione si procederà non solo alla costituzione di questi due organi del partito, ma anche all'elezione del presidente del partito ed all'assunzione formale e integrale delle responsabilità e dei poteri che lo statuto attribuisce al primo segretario, Emma Bonino, e al tesoriere, Paolo Vigevano, già eletti dal Congresso.

Il partito radicale transnazionale e transpartitico, in forza dello straordinario, "impossibile" risultato ottenuto con la campagna di iscrizioni per il 1993 in Italia, ha raggiunto e superato ampiamente quelle condizioni minime poste dalla mozione a verifica e a garanzia delle effettive possibilità, tecniche e politiche, della propria esistenza. In pochissime settimane dalla conclusione del Congresso, entro la fine di febbraio e nei termini stabiliti, quasi 36.000 cittadini italiani si sono iscritti al partito per il 1993. Oggi sono prossimi ai 38.000.

Il partito - noi - ci siamo così conquistati il diritto-dovere di proseguire la nostra attività, di affermare la nostra volontà e capacità di iniziativa e di lotta politica, senza più remora alcuna di carattere pregiudiziale. Il partito, con la riunione di questi giorni, riprende - sicuro - il proprio cammino, ricostituendo anzitutto le condizioni della propria piena "normalità statutaria".

2. LA "TRANSIZIONE AL NUOVO"

Si chiude pertanto, con questa riunione, un periodo di vita del partito che si è protratto ininterrottamente per cinque anni e mezzo, dagli inizi del gennaio 1988, quando a Bologna il XXXIV Congresso mi elesse per la prima volta primo segretario del partito.

Una permanenza, in questa responsabilità, eccezionale nella nostra storia. Infatti, in poco più di 26 anni - da quando, nel maggio 1967 il partito radicale, rifondato e ricostituito da Marco Pannella e dai "giovani" della sinistra radicale, approvò il nuovo statuto (quello di fatto rimasto in vigore fino al nostro ultimo Congresso) - sono stati 12 i segretari del partito eletti dai congressi ordinari e succedutisi nel rispetto rigoroso della propria scadenza annuale.

La permanenza media di ciascuno è stata, quindi, di poco superiore ai due anni e tra questi nessuno ha avuto il mandato rinnovato per più di tre volte.

Questo lungo periodo di permanenza nella segreteria del partito è stato dovuto ad un momento particolare, anomalo, della vita del partito, che è stato anche contrassegnato dall'interrompersi - per la prima volta nella nostra storia - dell'osservanza puntuale della convocazione annuale del Congresso: passano tre anni dall'aprile del 1989 - quando si riunisce a Budapest il XXXV Congresso - prima che si svolga a Roma, nell'aprile del 1992, la prima sessione del XXXVI Congresso.

Un lungo intervallo. In apparenza, l'infrangersi di un connotato essenziale del partito. Una rottura, in effetti, non dovuta al venir meno da parte degli organi esecutivi del rispetto della regola, ma conseguenza della presa d'atto a Budapest, da parte del Congresso, di un momento eccezionale, di straordinaria difficoltà per la vita e per l'esistenza stessa del partito. La mozione vincolante approvata in quella sede attribuiva esplicitamente al primo segretario, al tesoriere e ai presidenti del partito e del consiglio federale, la facoltà di assumere congiuntamente i pieni poteri congressuali, rimettendo con tale decisione - una volta assunti questi poteri - a loro e solo a loro, alla loro discrezionalità, la valutazione di se e quando riconvocare il Congresso.

A questa decisione, ed alla eccezionalità e straordinarietà della situazione - e solo a questo - si deve quindi l'avvenuta sospensione dell'applicazione della regola della convocazione annuale del Congresso.

Questo periodo, che possiamo definire come "il lungo cammino della transizione al nuovo", si chiude oggi.

Mi pare giusto e opportuno, intervenendo per l'ultima volta come segretario del partito, consegnarvi, se non un bilancio, almeno qualche riflessione su quello che questa transizione ha significato e comportato per il partito e, in definitiva, anche per ciascuno di noi. Non è inutile misurare la complessità e, me lo si consenta, la drammaticità del periodo che abbiamo traversato e anche il peso che hanno sostenuto quanti l'hanno vissuto attivamente e con responsabilità: può aiutare a capire quel che come partito siamo, a valutare le nostre possibilità e i nostri limiti.

3. LA TRASFORMAZIONE DEL PARTITO RADICALE IN ORGANIZZAZIONE POLITICA TRANSNAZIONALE

Dobbiamo ricordare che la "transizione al nuovo", la novità del partito così com'è oggi, non va ricercata nei principi, nei valori, che restano immutati, e neppure nell'estensione teorica della prospettiva politica, che potenzialmente aveva già in sè, fin dalla prima rifondazione e ricostituzione del 1967, tutti i caratteri della proposta politica radicale quali si sono poi pienamente espressi in seguito, compresi quelli transnazionale e transpartitico.

La segreteria affidata nel 1978 a Jean Fabre, un cittadino francese, le "incursioni" dei militanti radicali nei paesi dell'est (di cui una di Pannella e altri amici arrestati proprio qui a Sofia, nell'agosto del '68, mentre distribuivano volantini di condanna dell'invasione sovietica in Cecoslovacchia), da un lato, la "doppia tessera" - oggi "l'altra, la prima tessera" - fin dai primi anni sostenuta dal partito e in più occasioni affermata, ne sono solo un esempio.

La novità sta nella decisione che a un dato momento abbiamo assunto di trasformare un partito che aveva "anche" questa vocazione transnazionale e transpartitica in un partito esclusivamente transnazionale, volto a dare concretezza alla dimensione transnazionale del fare politica.

4. LE RAGIONI DELLA SCELTA TRANSNAZIONALE

Come è ovvio, questa decisione non nasce dal nulla, ma affonda le sue origini nei decenni di storia "italiana" del partito radicale; storia "italiana" con la quale, anche per questo, il partito continua a mantenere un forte legame e della quale è dunque opportuno parlare, anche e proprio con i tanti di noi che con essa poco o nulla hanno avuto a che fare.

In questa vicenda credo si debbano distinguere due lunghe fasi, a partire dalla prima rifondazione del partito radicale negli anni sessanta.

5. GLI ANNI SESSANTA E SETTANTA

La prima fase giunge sino alla fine degli anni settanta. Di fronte alla situazione di vero e proprio regime cui aveva dato luogo l'immenso potere della Democrazia Cristiana, l'obiettivo che i radicali si ponevano - in coerenza con la propria intransingenza democratica e nonviolenta - per il diritto, era quello di un rinnovamento profondo delle forze di sinistra che consentisse loro di unirsi per proporre e realizzare un'alternativa di democrazia al potere democristiano in Italia.

Lungo la maggior parte di questo periodo il partito radicale, strutturalmente diverso da ogni altra forza politica italiana per l'ispirazione e per i modi del suo fare politica, opera in questa direzione dall'esterno delle istituzioni (alle elezioni ci presentiamo per la prima volta nel 1976, conquistando una minima pattuglia di deputati) attraverso grandi battaglie e vittorie - sul divorzio, sull'aborto, sull'obiezione di coscienza - che spaccano e modificano la presenza delle altre forze politiche, rinnovano la vita del paese e impongono i temi dei diritti civili come centrali per la possibile alternativa. E' in questo periodo che l'uso dell'istituto del referendum (solo abrogativo, per la legge italiana) diviene strumento essenziale dell'iniziativa politica del partito.

6. GLI ANNI OTTANTA

La seconda fase ha inizio alla fine degli anni settanta e comprende quasi tutti gli anni ottanta. Con la proposta di realizzare un "compromesso storico" rivolta dai comunisti ai democristiani e con la scelta della cosiddetta unità nazionale - un'alleanza di governo fra tutti i maggiori partiti, la Democrazia Cristiana, il Partito Comunista e il Partito Socialista - il sistema politico italiano si salda in un regime da noi per primi definito partitocratico, al quale quei partiti compartecipano tutti solidalmente e che provoca una sempre più accentuata degenerazione delle istituzioni democratiche.

Il consolidarsi di questo regime - da noi anche chiamato di "democrazia reale", in analogia al "socialismo reale" - determina da un lato, in mancanza degli interlocutori, l'impraticabilità, come direttrice primaria dell'iniziativa radicale, dell'obiettivo dell'alternativa di una sinistra rinnovata, dall'altro la chiusura di molti degli spazi che avevano consentito l'azione del partito nel paese, con la gente, verso la gente.

I radicali, come ho ricordato, erano entrati in parlamento nel 1976, e nel corso della loro prima legislatura i 4 parlamentari eletti avevano agito in un rapporto di piena autonomia dal partito, come previsto dallo statuto, ma in una felicissima sintonia con la possibilità di efficace azione esterna della quale il partito poteva ancora usufruire.

Il momento di svolta si ha nel 1979. Il considerevole risultato ottenuto in quelle elezioni e il notevole numero di eletti comporta che gran parte del gruppo dirigente del partito entri in Parlamento; questo rende più difficile mantenere la separazione fra ruoli dirigenti del partito e ruoli istituzionali, che aveva caratterizzato la precedente legislatura. D'altra parte, soprattutto la necessità in cui la nuova situazione politica mette i radicali, è quella di sviluppare una battaglia di resistenza e contrapposizione contro l'intero, compatto blocco partitocratico di regime, senza avere - in questa fase - la possibilità di indicare e prefigurare uno schieramento alternativo. Questa azione, per forza di cose, non può che portare sempre più in primo piano il ruolo del gruppo parlamentare, che diventa inevitabilmente il fulcro, il luogo decisivo dell'iniziativa politica radicale.

7. UNA TENDENZIALE "ISTITUZIONALIZZAZIONE" DEL PARTITO

La conseguenza necessaria di questo stato di cose - a prescindere dal rigore e dalla buona volontà di ciascuno - è il profilarsi di una tendenziale "istituzionalzzazione" del partito e quindi di una trasformazione della sua stessa natura e del suo ruolo.

Prospettiva in vario senso preoccupante. Non tanto o solo sulla base di una contrapposizione di principio fra il far politica "dal basso", "fra la gente" e il farlo nelle sedi rappresentative. La concretezza della situazione italiana del tempo era infatti quella di una degenerazione partitocratica di tutte le istituzioni, quelle parlamentari comprese: il Parlamento è sempre meno un "vero" Parlamento e sempre più, invece, il luogo di registrazione e legittimazione delle intese tra i vari centri di potere partitocratici e corporativi, fuori e contro ogni regola e diritto. E' vero, certo, che in un simile Parlamento i radicali conducono un'opposizione frontale contro questo stato di cose, ma questo non impedisce che, sul lungo periodo, operare prevalentemente in quell'ambito, giocare su quel tavolo, comporti rischi di omologazione, rischi di diventare "interni" al regime che si voleva combattere. Questo significa che il partito si trova posto di fronte al pericolo di un progressivo offuscamento e stravolgiment

o della propria stessa identità.

Non per uno sclerotico voler rimanere identico a se stesso, ma per continuare a far vivere - nel mutare delle condizioni storiche - le ragioni e le speranze per cui si era costituito, lungo tutti gli anni ottanta il partito radicale decide, passo dopo passo, di reagire, in modi spesso dolorosi, a quello che rischia di essere un destino segnato. Sperimenta e compie scelte ogni volta difficili, controcorrente, dure perché "innaturali", che vanno nella direzione opposta a quella in cui le cose lo spingono a scivolare.

8. LA CAMPAGNA CONTRO LO STERMINIO PER FAME NEL MONDO

Anche questo valore ha la decisione, all'inizio del decennio, di rompere con le "attualità" e le logiche della politica italiana per assumere come priorità politica assoluta per il partito - proponendolo allo stato italiano e all'Europa - l'impegno per interrompere lo sterminio per fame di milioni di persone ogni anno nel sud del mondo. Impegno, ricordiamolo, sostenuto in particolare da Marco Pannella con gli strumenti più drammatici della lotta nonviolenta.

9. I TENTATIVI PER "TENER FUORI" IL PARTITO DAL REGIME

Questo è stato anche il senso, su tutt'altro piano, nel 1980, della scelta - inconcepibile per qualunque altro partito - di non partecipare alle elezioni comunali e regionali, rinunciando deliberatamente a eleggere migliaia di consiglieri nelle assemblee locali.

In questa chiave, ancora, va ricordata la campagna elettorale del 1983, quando i radicali - caso senza precedenti al mondo - pur presentando le proprie liste, invitano gli elettori a non votare, per dichiarare il proprio rifiuto a "sedere al tavolo dei bari" della partitocrazia e stabiliscono poi un particolare "codice di comportamento", conseguente a quella scelta, per gli eletti radicali in quella legislatura.

Quello che in qualche modo si continuava a riproporre era un confronto del partito radicale con se stesso - e molte volte di ciascuno di noi con se stesso - sulla linea di un'alternativa ricorrente: accettare un ruolo, dignitoso, di minoranza di "buona coscienza" democratica - ruolo che era ben possibile, e con vantaggio, esercitare nell'ambito del regime partitocratico - o decidere di portare sino alle conseguenze più rigorose la contestazione del carattere in realtà non democratico della "democrazia reale" italiana.

10. LA RISOLUZIONE DEL CONGRESSO DI FIRENZE DEL 1985

Al Congresso di Firenze del 1985 si consuma l'atto finale di questo confronto: il Congresso dichiara che continuare, in posizioni di estrema minoranza, a mimare il gioco democratico in un sistema le cui istituzioni erano rette non da regole e diritto certi, ma da una sorta di legge della giungla in cui valeva solo la forza degli interessi in campo, avrebbe significato solo dare un gratuito avallo di democraticità alla partitocrazia e, pur non volendolo, diventarne un'appendice; avrebbe voluto dire, così, negare di fatto le ragioni per cui il partito radicale esisteva. Come necessaria scelta di verità e di rigore democratico, il partito radicale decide di darsi un anno di tempo per proporre al successivo Congresso un progetto di cessazione delle proprie attività.

11. LA CAMPAGNA "O LO SCEGLI O LO SCIOGLI"

A questa sfida la risposta, davvero straordinaria, giunge: oltre diecimila italiani, a partire dal settembre '86 - con il lancio della campagna "o lo scegli o lo sciogli" - si iscrivono, chiedendo al partito radicale di continuare a esistere. Al successo della "campagna" contribuisce anche il principio della libertà e della non sindacabilità dell'iscrizione e quindi lo scandalo provocato dalle iscrizioni di alcuni ergastolani (Piromalli, Andraus), autori di efferati delitti, che scelgono dalle loro celle di militare in un partito nonviolento.

Se questo segno forte di fiducia nel partito radicale non poteva non indurci ad andare avanti, non era però tale da farci di per sè superare la contraddizione con cui da anni ci misuravamo. Non bastava certo a darci la forza di sconfiggere la partitocrazia e vorrei anche aggiungere - è una notazione del tutto personale - che molte adesioni, specie fra quelle che ci giungevano, come "doppie tessere", da militanti e dirigenti di altri partiti, esprimevano non tanto una richiesta di più rigorosa estraneità e contrapposizione alla partitocrazia, quanto il desiderio che il partito radicale continuasse ad assicurare una presenza democratica e pulita al sistema politico così com'era. Pur con le migliori intenzioni, cioè, si finiva proprio per chiedere al partito radicale di esistere come "anima bella" del regime.

A questo punto e in questo contesto matura la svolta transnazionale. Essa deriva dalla consapevolezza, cresciuta in particolare con l'esperienza della battaglia contro lo sterminio per fame nel mondo, che solo in una dimensione trasnazionale si possono governare le scelte decisive nel mondo di oggi, ma è insieme l'esito della storia "italiana" del partito: la risposta alla necessità di salvaguardarne e farne vivere l'ispirazione più profonda e autentica. Far uscire definitivamente il partito radicale dalle istituzioni italiane per conquistargli una via nuova, fascinosa, mai percorsa del fare politica, significava anche sconfiggere radicalmente i pericoli di "istituzionalizzazione". Non con una fuga dai problemi, ma compiendo un passo avanti fondamentale per sviluppare in modo conseguente le ragioni fondanti dell'esperienza radicale.

Io vorrei che ciascuno di voi che non ha vissuto la storia "italiana" del partito radicale comprendesse quale difficile e dura prova questa trasformazione rappresentasse per i militanti e i dirigenti del partito. Non si dimentichi che essi si erano uniti, erano cresciuti politicamente insieme praticando una forma di azione politica del tutto diversa, quella nazionale e istituzionale, di essa si erano fatti esperti, non senza successi e soddisfazioni importanti, politiche e personali.

12. LA DECISIONE DI BOLOGNA

In queste condizioni si perviene al XXXIV Congresso, che si tiene a Bologna, nel 1988, con lo slogan "Attraverso le frontiere, i partiti, gli Stati nazionali, per l'Europa del diritto e della nonviolenza".

Pannella, in Congresso, pone con forza l'esigenza della ripresa della nonviolenza come metodo di lotta per la gente, con la gente, al di fuori delle istituzioni, propone la sostituzione della "rosa nel pugno" con l'effige di Gandhi, ma soprattutto pone come priorità assoluta, radicale, la scelta e la svolta transnazionale, che comporta la decisione di non presentare più liste radicali alle elezioni in Italia e in Europa.

Qual è l'atteggiamento del gruppo dirigente? Si tratta, teniamone conto, di un gruppo costituito da non poche personalità di primo piano e di comprovata capacità, formatosi in lunghi anni di militanza e di lotta politica e, come dicevo, in gran parte consolidatosi nell'attività e con l'esperienza parlamentare. Una lunga esperienza e consuetudine porta queste persone a riconoscere e a non mettere in alcun modo in discussione la leadership di Marco Pannella; nello stesso tempo il gruppo si ritrova però, in questo momento politico, sostanzialmente tutto unito nel rivendicare la propria autonomia nella conduzione del partito, anche nei confronti di Pannella.

Di fronte alla svolta proposta, la reazione del gruppo dirigente è, a mio avviso, comprensibilmente carica di reticenze. Non c'è affatto un rifiuto; anzi, con pochissime eccezioni le sollecitazioni e le proposte di Pannella vengono accettate, come fattori certo preziosi, capaci di accrescere l'immagine del Partito, ma non come frutto di un'esigenza profonda di mutamento sostanziale sia dello stato del partito che del rapporto di questo con le istituzioni e il sistema politico. Di qui un'adesione parziale e limitata che solo fino ad un certo punto comporta un impegno a fondo nella nuova direzione.

Quella che sto offrendo qui è, naturalmente, una mia intepretazione e lettura di quegli eventi. E la mia opinione, la mia valutazione, è che la propensione istituzionale, sorretta dalla convinzione di poter salvaguardare l'identità del partito nel sistema, contrapponendosi al sistema, fosse - in realtà - prevalente nel gruppo dirigente e nel Congresso.

L'esito del congresso è significativo di questa condizione quanto meno poco chiara. La mozione conclusiva, predisposta non senza difficoltà dal gruppo dirigente, sancisce la scelta transnazionale, ma secondo un metodo e tempi su cui Pannella solleva esplicite obiezioni, e non ottiene la maggioranza qualificata, necessaria per renderla vincolante per gli organi esecutivi. Il nodo su cui molto si discute è che la mozione non prevede alcuna conseguenza esplicita nel caso gli obiettivi enunciati (4 miliardi di autofinanziamento, 3 mila iscritti fuori d'Italia) non siano raggiunti. L'adozione di questa mozione rappresenta comunque un'affermazione del gruppo dirigente. Affermazione che peraltro subito si rivela effimera, espressione solo apparente di unità: accesi contrasti non consentono al gruppo dirigente stesso di esprimere una propria candidatura alla segreteria del partito.

La mia candidatura nasce in questo contesto, anche nel tentativo di colmare una mancata assunzione di responsabilità di quel gruppo dirigente, che, mentre chiedeva autonomia da Pannella, si dimostrava incapace di esercitarla.

Inizia così il lungo, lento, difficile e tormentato processo di "transizione al nuovo", che, proprio azzardando una semplificazione, ho voluto prima sottolineare.

13. DA BOLOGNA '88 A BUDAPEST '89

Due sono i momenti successivi alle conclusioni del XXXIV Congresso che portano poi il partito alla scelta transnazionale, irreversibile, del Congresso di Budapest.

Il primo è quel che accade nella riunione del Consiglio Federale di Bruxelles, a febbraio dell''88: su proposta di Pannella cade l'impegno assunto dal primo segretario, nell'ambiguità delle conclusioni del XXXIV Congresso, di convocare un Congresso straordinario se entro quattro mesi non si fosse realizzato l'obiettivo congressuale dei 3000 iscritti "non italiani". Un obiettivo di fatto strumentale, irrealizzabile, perchè affidato ad una situazione del gruppo dirigente e del partito del tutto poco convinta e impreparata. L'inevitabile insuccesso e la conseguente convocazione del Congresso straordinario avrebbe evidentemente potuto portare all'annullamento della scelta transnazionale e a ribadire l'impegno "nazionale" con la prosecuzione e il consolidamento del partito nelle istituzioni e nel sistema italiani.

Il secondo momento trova la sua espressione nella decisione di dare seguito ad una successione bimestrale di riunioni del Consiglio Federale. Queste riunioni consentono agli organi esecutivi del partito di coinvolgere più direttamente e responsabilmente l'intero gruppo dirigente nell'attenta e approfondita analisi dello stato reale del partito. D'altro canto sospingono gli organi esecutivi a dedicare il proprio impegno a una ricerca continua di occasioni di incontro, oltre e al di fuori dei confini italiani, che ripropongono con l'iniziativa politica e la concretezza dei fatti l'attualità della prospettiva e l'impegno del partito in ambito transnazionale e nella realizzazione di una nuova dimensione transpartitica.

Da Bruxelles a Madrid, da Grottaferrata a Gerusalemme, da Bohinj a Strasburgo, il partito e il suo gruppo dirigente sono progressivamente, direi inesorabilmente, costretti a prendere coscienza di una situazione grave e tendenzialmente insostenibile: nel partito si era formato una sorta di "apparato", pesante e economicamente oneroso; l'esistenza di questo apparato condiziona tutto il modo d'essere del partito e - questo è fondamentale - è resa possibile dall'insediamento del partito nelle istituzioni italiane. In questo senso, l'"istituzionalizzazione" è diventata un fattore di immediato, pesante, condizionamento politico. Peraltro, e questo è l'altro aspetto di cui drammaticamente si prende consapevolezza, nonostante il finanziamento pubblico e l'apporto delle opportunità offerte dai gruppi parlamentari, quest'assetto si rivela prossimo al fallimento e alla bancarotta: al Consiglio Federale di Strasburgo, nel febbraio dell'89, due mesi prima di Budapest, si rende necessario prospettare la chiusura del Parti

to. Ci si deve ormai misurare con l'ipotesi che, per ragioni economiche e finanziarie, il partito sparisca e debba affidare la propria eredità ad una "fondazione".

Il discorso economico e finanziario costituisce il dato materiale che rende evidente lo stato di crisi. Sono però le occasioni ripetute di confronto offerte dal Consiglio Federale e da altre riunioni del gruppo dirigente che fanno via via sempre più emergere la contraddizione di fondo: da una parte, per assicurare la continuità, appare come non mai indispensabile la presenza nelle istituzioni, dall'altra è la rottura di questa continuità che si rende proprio indispensabile perchè il partito possa ancora tentare, con l'uscita dalle istituzioni e la modifica del proprio assetto, il recupero della propria identità. Con una rinnovata capacità di affermare i propri princìpi e i propri valori, ma anche con la propria autonomia operativa, la propria capacità di iniziativa e di lotta.

14. LA FINE DI UN SEGMENTO DI TEORIA DELLA PRASSI. LA NON PRESENTAZIONE ALLE ELEZIONI

A Gerusalemme, ma ancor più chiaramente a Bohini, il dibattito pone in evidenza ancora molte incertezze, esitazioni e profonde differenze, ma perviene ad una conclusione, segnata da un'affermazione di Pannella: dover il partito prendere atto della fine di quel "segmento di teoria della prassi" che aveva, fino ad allora, distinto e caratterizzato, prima di tutto in Italia, la sua storia.

Conseguenza di questa presa d'atto è il modo in cui si affronta la prima scadenza elettorale dopo la decisione di non presentare più liste del partito radicale alle elezioni; ed è l'occasione delle elezioni europee del 1989. La strada da battere è completamente nuova: militanti e dirigenti "storici" del partito radicale partecipano al confronto elettorale nell'ambito di liste e formazioni politiche diverse, cominciando anche così a dar visibilmente corpo alla dimensione ormai transpartitica del partito radicale. E' una strada di grande difficoltà quella che si comincia a percorrere: sul piano nazionale i percorsi inevitabilmente si dividono; ciò mette sostanzialmente alla prova la capacità di quello che è stato il gruppo dirigente del partito "italiano" di rimanere tale in una dimensione di partito transnazionale.

E' questa la fase che vede il partito intensamente impegnato, nel proprio ambito come in quello esterno, nell'approfondimento dell'attualità e della rispondenza delle proprie ragioni teoriche, nonchè nella verifica della validità delle proprie analisi e valutazioni politiche. Emergono così, via via, le ragioni che impongono una netta e profonda rottura col passato per riprendere l'azione politica in una diversa prospettiva e con un diverso assetto strutturale e organizzativo e poter così procedere al pieno recupero dell'identità del partito. Senza questa maturazione la straordinaria opportunità offerta dal tenere il XXXV Congresso a Budapest non avrebbe certamente consentito - in quel fantastico scenario, in occasione di un evento eccezionale, che rimarrà comunque uno dei più significativi e memorabili della nostra storia - di decidere a tutti gli effetti e per la prima volta consapevolmente di dover essere partito transnazionale e transpartitico.

Come già precisato nel febbraio del 1991, nella relazione al III Congresso italiano del partito, Budapest lascia alle proprie spalle il partito preesistente, ne rivendica con vigore i valori, la storia, gli obiettivi, nella ferma convinzione che abbiano risposto e rispondano alle esigenze della nostra società e del nostro tempo. Ma ora il partito rompe con le proprie strutture, i propri assetti, le proprie condizioni operative e direzionali, divenute inadeguate rispetto alle nuove prospettive e a esigenze e impegni anche diversi.

Se quindi con Budapest si configurano i presupposti formali e si individuano le condizioni politiche che sanciscono il carattere transnazionale e transpartitico del partito, è altresì vero che le enormi difficoltà che si interpongono al procedere concretamente su questa via sono poste in tutta evidenza nella loro drammatica consistenza dal Congresso.

15. LA FASE SUCCESSIVA AL CONGRESSO DI BUDAPEST

Conclusa quindi una fase quanto mai tormentata e complessa, ma ricca di iniziativa e di attività, gli organi del partito si trovano ora di fronte a un nuovo e diverso impegno, tale da suscitare nell'immediato dubbi e incertezze sulle azioni da intraprendere.

Trascorre così un primo periodo durante la quale il partito si interroga sul percorso da seguire per adeguare la propria iniziativa alle delibere congressuali.

L'occasione più importante di dibattito è data dalla riunione del Consiglio Federale che si tiene a Roma nel settembre del 1989. La carenza di iscritti - soprattutto in Italia - l'inadeguatezza organizzativa e, in particolare, le condizioni economiche e finanziarie ancor più drammatiche di quelle già denunciate a Budapest inducono il Consiglio Federale a sollecitare l'assunzione dei "pieni poteri congressuali" da parte del segretario, del tesoriere e dei presidenti del partito e del Consiglio Federale, giudicando ampiamente acquisite le condizioni previste dalla mozione di Budapest.

16. L'ASSUNZIONE DEI PIENI POTERI CONGRESSUALI

I pieni poteri congressuali vengono assunti alla fine del 1989, poco prima di un'altra riunione del Consiglio Federale, che si tiene a Roma nel gennaio del 1990. In questa riunione viene evocata la dimensione delle decine di migliaia di iscritti come "condizione tecnica" necessaria e indispensabile "per assicurare la vita di una straordinaria e anomala realtà, vita che sembra sempre più probabile possa salvarsi, ma che ha necessità di intervento ed assistenza".

Con l'assunzione dei "pieni poteri congressuali", le attività del partito, con l'esclusione di quelle avviate nel frattempo nei paesi del centro-est europeo, vengono del tutto sospese, i costi "ferocemente" contenuti (gli iscritti che continuano a prestare la loro attività lo fanno senza percepire alcun compenso o rimborso) e si assumono nel frattempo iniziative volte al reperimento di nuove fonti finanziarie.

17. IL RISANAMENTO ECONOMICO-FINANZIARIO

Questi provvedimenti e le iniziative assunte nel campo finanziario - mediante il prevalente ricorso, è corretto ricordarlo, alle possibilità offerte dalla presenza degli iscritti radicali nelle istituzioni - consentono al partito di rivedere il proprio assetto strutturale e organizzativo, di sanare la gravissima situazione economica e finanziaria preesistente e di assicurare, per di più, una cospicua disponibilità di risorse finanziarie per la ripresa delle attività.

Sono risultati che maturano entro il primo trimestre del 1991 e che sfociano nella predisposizione del progetto per il "Partito Nuovo".

Si tratta di una fase di quasi due anni, dal Congresso di Budapest al III Congresso italiano, nel febbraio del '91, trascorsa dal partito e dai suoi organi esecutivi dedicando le energie disponibili ad un'attività tutta "interna": l'impegno è rivolto essenzialmente a realizzare le condizioni minime perchè il partito possa costituirsi. La scelta, ancora una volta, è quella più ingrata e perciò difficile. Ci si dedica ad un lavoro umile, "non visibile", rinunciando ad un'attività di iniziativa "esterna" apparentemente più gratificante, ma che in realtà, in mancanza di un'effettiva capacità operativa del partito, si risolverebbe nell'illusione di fare politica, e non nel farla davvero.

18. IL PROGETTO DEL "PARTITO NUOVO"

All'inizio del 1991, il lancio del progetto il "Partito Nuovo" riapre una concreta prospettiva di azione "esterna". Attraverso un giornale scritto in italiano e tradotto in quindici lingue, inviato alle classi dirigenti e ai parlamentari di oltre cento paesi e alla rete di militanti che opera nelle sedi del partito del centro e dell'est europeo, viene proposto il coinvolgimento nell'attività e anche nella struttura del partito radicale del maggior numero di parlamentari e di esponenti politici.

L'obiettivo, ma anche il metodo, è quello di informarli e interessarli alla proposta politica del partito transnazionale e transpartitico, fino al punto, se possibile, di impegnarli attivamente e contemporaneamente sia sul progetto politico generale sia su iniziative specifiche, anche parlamentari, comuni. Associarli al partito, dar vita insieme ad organismi transnazionali, autonomi e federati, promotori, a loro volta, di adesioni e presenze militanti in ciascun paese.

19. LA SEPARATEZZA DAGLI EVENTI ITALIANI

Nel contempo il partito - consapevole dell'importanza del perdurare del proprio legame con la situazione italiana - è sempre più attento a marcare il proprio non essere un soggetto politico italiano e a non essere più lo strumento di cui possano servirsi gli iscritti italiani per far politica nel loro paese.

Simbolo di ciò è la scelta compiuta dai parlamentari eletti nel Parlamento italiano (ancora con le liste del partito radicale nel 1987), di costituire nelle due Camere gruppi parlamentari non più "radicali", ma "federalisti europei"; con tutte le difficoltà a farsi identificare nel paese che questo comporta.

20. L'INIZIATIVA NEI CONFRONTI DELL'EX JUGOSLAVIA

L'anno 1991 è anche l'anno dell'iniziativa del partito radicale rispetto alla situazione dell'ex Jugoslavia. In più Parlamenti, gli iscritti radicali depositano documenti che chiedono ai Governi di riconoscere le Repubbliche che attraverso libere consultazioni popolari hanno rivendicato la propria autonomia e indipendenza. In pieno conflitto, si svolge a Zagabria, a novembre, la seconda sessione del Consiglio Federale. Alla fine dell'anno, Marco Pannella ed altri militanti radicali si recano sul fronte di Osijek, dove alcuni di loro indossano, nella notte di Capodanno, l'uniforme croata, per testimoniare la solidarietà attiva ad un popolo in quel momento aggredito dalla violenza di un regime autoritario nazionalcomunista, che gode della complicità inerte delle istituzioni europee ed internazionali.

21. LA CAMPAGNA PER L'ABOLIZIONE DELLA PENA DI MORTE ENTRO IL DUEMILA

E' dell'agosto 1991 l'avvio della campagna per l'abolizione della pena di morte entro il duemila. Attraverso un appello, diffuso dal terzo numero del giornale, si chiede a Gorbaciov e ai presidenti delle Repubbliche dell'allora Unione Sovietica, di non applicare la pena di morte nei confronti degli autori del cosiddetto "golpe d'agosto".

La campagna riceve subito l'adesione di centinaia e centinaia di parlamentari e di personalità della cultura, dell'arte, della scienza.

22. LA PRIMA SESSIONE DEL XXXVI CONGRESSO

Nella primavera del 1992 il segretario, il tesoriere, i presidenti del partito e del Consiglio Federale, decidono di convocare il XXXVI Congresso, in una situazione che vede gli iscritti non italiani superare la quota di 7.500, mentre oltre duecento sono i parlamentari e uomini di governo iscritti, residenti in 40 paesi del mondo. A questi dati, molto positivi, si contrappongono quelli relativi agli iscritti italiani: solo 2.500, un quarto del totale.

La decisione di tenere il Congresso determina l'automatica scelta della remissione dei "pieni poteri", che erano appunto poteri "congressuali". Ai congressisti iscritti viene affidata e restituita la responsabilità politica piena, relativa alla vita stessa del partito radicale.

Il Congresso si riunisce a Roma in uno scenario che riflette la nuova configurazione del partito: partecipano centinaia di deputati del centro e dell'est europei, che dimostrano l'interesse e l'adesione conseguiti dalla proposta del "Partito Nuovo".

La situazione con la quale il partito si presenta al Congresso è tuttavia nuovamente segnata da una condizione economica e finanziaria di tale carenza rispetto alle esigenze, da non far neppure intravvedere, in mancanza di fatti radicalmente nuovi, come il partito possa proseguire le proprie attività. In questa prospettiva vengono giudicate determinanti, ancora una volta, per l'esistenza del partito, le risorse che potrebbero venire dalla situazione italiana, dal "serbatoio italiano". Difficile evidentemente in queste condizioni deliberare sugli obiettivi e sugli impegni politici del partito. A questo si aggiunge la necessità di nuove regole statutarie, di eleggere nuovi organi.

Il dibattito congressuale mette però in evidenza l'impossibilità del Congresso di assolvere in termini adeguati queste esigenze.

Si perviene quindi alla decisione di aggiornare il Congresso in una seconda sessione, che viene fissata entro il gennaio del 1993.

23. DALLA PRIMA ALLA SECONDA SESSIONE

Nei nove mesi che separano la prima dalla seconda sessione, viene elaborata da una commissione, coordinata dal segretario, la proposta del nuovo statuto. Il lavoro si avvale anche delle indicazioni emerse dal dibattito delle assemblee che si tengono in diversi paesi del centro e dell'est europeo e, in particolare, a Mosca e Kiev.

Continua, inoltre, l'impegno del partito e dei suoi militanti per aggregare nel centro e nell'est europeo e in altri paesi il maggior numero di parlamentari e cittadini attorno al progetto del "Partito Nuovo" .

La persistenza della gravissima crisi economico-finanziaria porta alla sospensione del giornale.

Il partito è consapevole, d'altra parte, che tuttora solo l'Italia, i suoi cittadini, con le loro iscrizioni, possono decretare il successo della "scommessa" radicale, assicurando risorse finanziarie adeguate.

A tal fine, nel settembre dello scorso anno, si tiene a Sabaudia un seminario con la partecipazione di numerosi parlamentari italiani iscritti, nel quale il partito si offre all'Italia, alla sua classe dirigente, come luogo di incontro, di dibattito particolarmente idoneo a favorire per molti aspetti il superamento della crisi italiana, che per tanti versi è anche crisi del nostro tempo e della nostra società.

Inizia così un lavoro di raccolta, paziente, delle adesioni dei membri di governo e dei parlamentari italiani al progetto radicale, con l'obiettivo di far maturare le condizioni politiche per il lancio di una nuova grande campagna di iscrizioni e sottoscrizioni, che oltre a raccogliere i frutti di un'attività di anni, colga l'opportunità offerta dalla profonda crisi del regime.

Inizia anche la preparazione politico-organizzativa del Congresso, che oltre ad essere il più rappresentativo possibile, deve anche rispondere alle esigenze di un partito che conta ormai più iscritti a Mosca che a Roma, che ha sedi in almeno sette paesi del centro e dell'est europeo, che conta tra i suoi iscritti centinaia e centinaia di legislatori democratici, esponenti di 80 partiti nazionali.

Rientra in quest'attività - che impegna tutta la struttura del partito - il viaggio che Emma ed io facciamo alla fine di gennaio di quest'anno a Sarajevo, per chiedere al Sindaco Muhamed Kresevljakovic di partecipare ai lavori del nostro Congresso. Voglio qui ricordarlo, e ricordarlo con forza. E dire qui, ancora una volta, grazie a questo nostro caro amico, al quale fu impedito di partecipare al Congresso, ma la cui presenza in Italia - alla fine di febbraio - fu molto importante nella fase conclusiva della campagna di iscrizioni, il cui successo ci consente ora di essere qui riuniti.

24. LA SECONDA SESSIONE

Le decisioni, drammatiche allora, della seconda sessione del Congresso vengono prese in un momento in cui le proposte e i progetti del partito si fanno sempre più concreti. Esatte si rivelano le analisi rispetto alle situazioni di crisi che investono tutte le regioni del mondo. Si conferma così la necessità di far vivere un soggetto politico nuovo, transnazionale e transpartitico, capace di produrre iniziative e attività volte a influire, col diritto, coi diritti, con la nonviolenza, su aspetti importanti di queste situazioni, investendovi le proprie risorse, umane e finanziarie.

Il Congresso, di fronte a questa realtà, pone per l' esistenza del partito i termini ultimativi, "impossibili", che noi tutti conosciamo.

25. LE RAGIONI DI "QUESTO" INTERVENTO

Amiche e amici carissimi,

per due motivi ho superato le perplessità che ho avuto sulla opportunità di questo mio intervento.

Due motivi diversi, ma tra loro connessi e dipendenti.

Il primo è costituito dalla consapevolezza di un grande, straordinario obiettivo da noi prima indicato, successivamente compiutamente delineato e costruito, infine positivamente realizzato.

Il secondo motivo è dovuto alla convinzione che senza la disponibilità dell'intero patrimonio acquisito dal partito lungo tutto il percorso della propria storia, mai avremmo potuto raggiungere e realizzare questo risultato.

L'obiettivo, il "Partito Nuovo", il partito con l'effige di Gandhi, è già una realtà che - volendo - può essere identificata anche senza più usare la specificazione "transnazionale e transpartitico".

Di questa realtà, qui a Sofia, celebriamo la costituzione anche formale e la vostra presenza - amiche e amici parlamentari - così numerosa, estesa e arricchita, è una immediata e diretta riprova.

Meno evidente, molto più riposto, il secondo motivo. E' del valore, del peso, della forza del patrimonio accumulato dal partito che ho voluto sottolineare i tratti più significativi, richiamando il percorso compiuto in quasi 30 anni. Un tentativo che non so, se e quanto, riuscito, dovendo - tra l'altro - tener conto delle difficoltà di comunicare con esperienze così diverse e tanto lontane come quelle di molti di voi, che nulla o ben poco hanno avuto finora a che fare con questa nostra storia.

Tuttavia, poiché io ritengo che la consapevolezza di possedere questo patrimonio e di poterne disporre ha una grande importanza per dare al partito tutta la potenzialità e la capacità necessarie per affrontare con successo le difficoltà - e sono tante - che lo attendono, mi riterrei già soddisfatto se con questo intervento mi fosse dato di richiamare, sia pure per un minimo, la vostra attenzione o anche solo la vostra curiosità.

Grande è stato l'impegno, lo sforzo compiuto per superare le resistenze opposte da un percorso a lungo, per più di 20 anni, segnato da importanti successi in ambito "nazionale" italiano, e riuscire così a "liberarci" di questo carattere preminente del nostro essere forza politica. D'altra parte era questa una condizione necessaria per poter disporre di tutte le energie, le risorse, le volontà del partito, e dare così vita e corpo al "Partito Nuovo".

Un onere pressante, gravoso per gli iscritti italiani, per i militanti, per il gruppo dirigente, indipendentemente dalle posizioni e dai ruoli da ciascuno assunti e assolti, un onere che ha avuto nelle implicazioni economiche e finanziarie i momenti e gli aspetti più evidenti, ma che in realtà ha investito in misura ben più significativa e importante i dati politici, personali e collettivi, che hanno segnato la vita del partito negli anni trascorsi dal 34· Congresso di Bologna ad oggi.

Un prezzo che abbiamo dovuto e saputo pagare anzitutto - e non possiamo e dobbiamo dimenticarlo - con la perdita di gran parte del gruppo dirigente. Successivamente con l'attesa, nel silenzio, in solitudine, spesso con angoscia, consapevoli della necessità di doverci estraniare dalla attualità politica italiana, pressante e sempre stringente. Un prezzo che ha accomunato quanti di noi sono stati uniti - in tempi e in situazioni diverse - nelle responsabilità e nelle attività di governo e di gestione del partito.

Un onere che, nel suo complesso, è stato la conseguenza inevitabile dell'impatto del partito con la propria storia, ma che proprio le idee, i principi, i valori di questa storia hanno saputo esigere e ottenere, un prezzo che peraltro ci ha consentito di far pervenire, integro, l'intero patrimonio del nostro passato al "Partito Nuovo".

Patrimonio che, con una punta di orgoglio, ci viene, vi viene, affidato oggi col nuovo statuto, con i nuovi organi, con le iniziative avviate e con le nuove proposte, da quanti hanno avuto in sorte la possibilità e la fortuna di salvaguardarlo.

Il compito è esaurito. Il "Partito Nuovo" c'è, esiste, senza più alcuna remora pregiudiziale. Un nuovo compito, non meno arduo, ci attende, vi attende: garantire la vita e il successo del "Partito Nuovo", con energie, risorse e volontà rinnovate e più adeguate.

A questo fine mi pare importante - e anche per questo ho cercato di fornire questo mio contributo - che tutti coloro che fanno parte del partito con l'effige di Gandhi siano consapevoli di non essere il prodotto di una pur felice improvvisazione, posta in atto per sottrarre, in Italia, il Partito Radicale agli esiti del fallimento come forza politica nel sistema dei partiti e salvaguardare così il destino politico di alcune persone. Tutti sono, siamo parte di un destino politico che viene da lontano, che ha saputo far prevalere ancora una volta i valori e i principi sull'interesse immediato, assumendosene il rischio senza riserve, col porre concretamente, in continuità, in gioco la propria esistenza. Un destino capace, per questo, di offrire una prospettiva che è inserita in quel percorso di affermazione e sviluppo democratico, di civiltà che dovrebbe essere il vanto dell'Europa, dell'Occidente, dell'umanità, e che, purtroppo, nel mondo intero, è ogni giorno vilipeso e calpestato.

A voi, care amiche e cari amici, dei paesi del centro e dell'est europeo, è più di tutti dedicato questo mio intervento. A voi verso i quali il partito, sin da tempi non sospetti, ha rivolto la propria attenzione e il proprio interesse con grande sforzo e impegno. Certo con la nostra iniziativa abbiamo dovuto e voluto richiamare la vostra attenzione e sollecitare il vostro di impegno, ma nella consapevolezza, che deve essere anche vostra, di non essere stati e di non essere, voi, "oggetto di soccorso" né, da parte nostra, di mal riposte attese di remunerati ritorni.

Vi abbiamo chiesto e vi chiediamo di essere parte, a pieno ed eguale titolo, di un'impresa estremamente dura, difficile, ma coinvolgente e straordinaria. Di questo e solo di questo abbiamo noi tutti bisogno. Il vostro apporto, il vostro impegno, è oggi per il partito una esigenza ancor più impellente di fronte ai 38.000 iscritti in Italia. Una crescita che supera di oltre 10 volte la media degli iscritti negli ultimi 10 anni, è un dato che costituisce di per sé un fattore assoluto di novità per il partito e di cui il partito non può non tenere conto. Si tratta di un risultato che ci colloca - per sè stesso - direttamente e concretamente in una nuova, diversa dimensione: dalle migliaia siamo passati alle decine di migliaia (un altro ordine di grandezza in termini matematici) con esigenze di governo e di gestione sostanzialmente diverse, che non possono - tra l'altro - non porre, immediata, la questione di orizzonti più ampi e completi, di nuovi spazi nonché di nuovi equilibri.

Si tratta comunque di un fattore di crescita che se viene considerato con la dovuta attenzione rispetto a quanto è già stato possibile realizzare nei paesi del Centro e dell'Est europeo, se sarà accompagnato da un impegno più forte, deciso e diretto da parte vostra, può e deve avvicinare, unire il partito proprio nel proporre e nel decidere "il da farsi".

Emma Bonino esporrà una piattaforma di iniziative e di attività, come base del programma di azione per i prossimi 18 mesi, fino al prossimo Congresso.

Ci renderemo conto che anche questi ultimi mesi non sono trascorsi inutilmente: molto si è lavorato per costruire un quadro di proposte innovative finalizzate e pertinenti. Il vero problema è dato dalla necessità di stabilire con rigore le priorità prima di effettuare le scelte, coerenti con l'importanza, l'urgenza dell'attualità politica, ma anche con le effettive risorse disponibili e acquisibili.

Le maggiori difficoltà saranno dovute all'eccesso, e non certo alla carenza, di proposte.

Paolo Vigevano fornirà i dati relativi alla situazione economica e finanziaria, corredati - come sempre - da ampie e esaurienti considerazioni sui vincoli e le alternative possibili.

Per concludere un accenno a due aspetti della situazione, di oggi, del partito: l'uno sullo stato vero e proprio del partito, l'altro sulla prospettiva politica.

Oggi possiamo contare su di un gruppo di giovani che si sono formati in questi anni impegnandosi, con costanza e continuità, nelle attività e nel lavoro del e per il partito e che sono in grado di assumere maggiori e più precise responsabilità: sono pochi, tutti, salvo Dupuis, italiani. Per quanto capaci - e lo sono - non possono certo da soli assicurare al segretario e al tesoriere anzitutto, l'apporto necessario.

Il problema delle risorse umane si pone quindi in termini ampi e generali e costituisce, a mio avviso, l' aspetto più importante e delicato, il più urgente dello stato attuale del partito.

Il partito è "nuovo", ma non può continuare ad esserlo, e non lo sarà, se non può, o non potrà, acquisire e contare anche su di un nuovo, adeguato gruppo dirigente.

Tra le centinaia di parlamentari iscritti negli ultimi due anni, compresi gli italiani, pochissimi - per non dire nessuno - hanno dimostrato finora di poter o voler concretamente e attivamente contribuire, con l'impegno e la continuità necessari, al governo e alla gestione del partito.

Solo pochi iscritti - e tra questi alcuni ex parlamentari - forniscono un prezioso contributo all'iniziativa e all'organizzazione del partito nei paesi del centro e dell'est europeo, ove il peso della presenza di militanti italiani od occidentali è tuttora preminente.

Mi pare ovvio sottolineare la portata essenziale di questa carenza. E' in questi giorni che devono già individuarsi le prime soluzioni per colmarla, subito avvalorate da precise proposte e da chiare offerte di disponibilità. E' il momento che si manifesti concretamente la consapevolezza del dover fare proposte e di avanzare la propria candidatura a sostenerne, in misura adeguata, l'onore e l'onere. Anzitutto da parte dei parlamentari è indispensabile si assumano precisi impegni e chiare responsabilità.

L'altro aspetto, quello relativo alla prospettiva politica non è avulso od estraneo alla questione della formazione di un nuovo gruppo dirigente.

La situazione internazionale nel suo complesso, nelle diverse componenti e nei diversi aspetti, costituisce un punto di riferimento essenziale per un partito che è e vuol essere transnazionale: è una constatazione ovvia, ma non è inutile o banale ricordarlo.

Non intendo certo qui entrare nel merito di quest'altra questione. Voglio solo evidenziarne un carattere che, alla luce dei più recenti avvenimenti, s'impone all'attenzione e alla sensibilità di ciascuno, e che ripropone con forza, uno dei valori che più hanno distinto la nostra storia. "Per la vita del diritto, per il diritto alla vita", è il detto che lo ha, da tempo, felicemente e compiutamente espresso.

Porsi come obiettivo l'operare perché si costituiscano elementi, via via più pregnanti, di diritto internazionale è divenuta ogni giorno, ogni momento, la ragione prima della comune speranza. Un obiettivo che comporta anzitutto l'individuazione delle sedi ove il diritto diventi norma e ordinamento, quindi la costituzione di poteri per il funzionamento dell'ordinamento e il rispetto della norma.

Rivolgersi agli organismi esistenti è un passaggio immediato, primo tra questi alle Nazioni Unite. Come può una forza limitata come la nostra contribuire ad avviare e a porre in atto un processo teso ad affrontare e risolvere positivamente questa enorme questione?

Ancora una volta un obiettivo di ambizione e portata "straordinarie", un obiettivo tutto nostro, più "impossibile" che "improbabile", prettamente radicale.

Anche di questo parlerà Emma Bonino, alla luce di un attento esame già iniziato e dei primi riscontri da lei direttamente effettuati.

Si apre così - solo con questa quetione - per il partito una prospettiva di iniziativa e di lotta politica di tremenda difficoltà ma, più di ogni altra, esaltante.

Una prospettiva che può imporre nuove strutture e diversi assetti organizzativi, ma che ancora una volta esige comunque nuove risorse operative, nuove capacità dirigenti, più ampi e diversi equilibri, oltre a più denaro.

Il rapporto con gli iscritti in Italia e con l'indispensabilità del loro apporto, che tuttora permane, la rinnovata attenzione alla presenza del partito nei paesi occidentali, la capacità di crescita nei paesi del Centro e dell'Est europeo, care amiche e cari amici, con il costituirsi di vostre posizioni effettive di autonomia, anche finanziaria, costituiscono i termini reali del dibattito e del confronto di questi giorni affinché le scelte e le decisioni risultino le più rispondenti al nostro, al vostro domani.

Termino nella consapevolezza di un compito per i nuovi organi del partito, assai più complesso e oneroso di quanto non si sia finora affrontato e superato, ma anche con la convinzione di una opportunità straordinaria offerta da una storia, da un patrimonio di iniziative e di lotte, da volontà e capacità, da una forza che è stata, ed è, straordinaria.

Care amiche e cari amici, nel ringraziare voi e, in voi, il partito per il molto, incomparabile, che mi ha dato, posso soltanto, a questo punto, assicurare e confermare di essere - come per il passato - pronto e disponibile, fino a quando la mente e le forze me lo consentiranno, a dare il mio apporto a voi e al partito, se e quando e nei termini che vorrete.

 
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