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Il quotidiano radicale - 5 novembre 1993
Quello Stato di polizia

SOMMARIO: Rievoca il clima e il quadro politico dell'Italia della metà degli anni '70, quando "governo, istituzioni e partiti" sembravano impotenti di fronte al terrorismo rosso e nero. Nel 1975 venne varata la cosidetta Legge Reale, che ampliava la facoltà attribuita alle polizie circa l'uso delle armi da fuoco. Le conseguenze di questa legge furono gravissime: centinaia morirono senza peraltro che essa desse risultati apprezzabili nella "repressione del disordine". Il partito radicale, nel 1977, raccoglieva 700mila firme sul referendum abrogativo che nel 1978 vide sette milioni e mezzo di italiani rispondere affermativamente. I radicali pagarono con l'isolamento la loro difesa intransigente del garantismo liberale.

(1994 - IL QUOTIDIANO RADICALE, 5 novembre 1993)

Alla metà degli anni '70 il Paese attraversava un periodo inquieto, carico di oscuri presentimenti e di timori per un collasso delle istituzioni. Il terrorismo sembrava invincibile nelle sue premesse culturali e nei suoi obiettivi. Il governo, le istituzioni, i partiti apparivano impotenti, o forse si servivano strumentalmente della situazione per i loro fini. Si appellavano all'opinione pubblica e al timore di sue reazioni dinanzi all'insicurezza dilagante.

Così, nel 1975, veniva varata una legge - che prese nome dal Guardasigilli del tempo, Oronzo Reale - la quale ampliava la facoltà attribuita alle forze di polizia circa l'uso delle armi da fuoco in servizio d'ordine anche durante evenienze di tipo politico, garantendo loro quasi automaticamente l'impunità giudiziaria. Centinaia furono, in breve giro di tempo, i morti provocati dal dispositivo, sia tra i civili che tra gli stessi militari e poliziotti, sovente vittime di un uso improprio e non controllato delle armi in dotazione. Chi non ricorda la vicenda di Cosimo Cirillo, morto il 12 febbraio 1976 a Milano, crivellato dai mitra degli agenti? Quel ragazzo era disarmato... Ci fu chi scrisse che alle forze dell'ordine era stata attribuita una vera "licenza di uccidere". Comunque, per quel che concerne la repressione del disordine, i risultati furono minimi o nulli.

I radicali sfidarono l'impopolarità e si opposero fin dall'inizio, fermamente, alla legge. Nel 1977, il partito radicale raccoglieva 700mila firme per il referendum abrogativo. Ma in quella stessa estate, l'ingresso nella maggioranza del governo Andreotti del PCI capovolgeva i rapporti politici, e i partiti potevano votare modifiche addirittura peggiorative della legge. Questa volta, però, in parlamento c'erano anche quattro deputati radicali: la loro opposizione fu memorabile per forza ed efficacia. La campagna referendaria del 1978 vedeva il PCI scatenato nell'attaccare i radicali con denuncie e attacchi diffamatori e vere e proprie ingiurie. E tuttavia ben 7 milioni e mezzo di italiani si dissero favorevoli all'abrogazione dell'iniqua legge.

Il Partito radicale era stato solo a difendere posizioni autenticamente "garantiste" dei cittadini e delle loro libertà. Ma videro rovesciarsi addosso quella nomea, di fautori di un "garantismo" che veniva dipinto come l'anticamera e il vero responsabile del terrorismo e dell'eversione. Era un colpo di piccone contro le istituzioni, la legge, i diritti umani e civili dal quale forse il Paese non si è ancora riavuto. L'attuale crisi della giustizia ha in quelle vicende più di un preannuncio.

 
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