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Archivio Partito radicale
Buccomino Pasquale - 1 dicembre 1993
GIANLUIGI MELEGA
(Milano 12 gennaio 1935)

di Pasquale Buccomino

SOMMARIO: Ripercorre la storia del partito radicale dagli anni sessanta in poi, ricordando la vittoria del divorzio nel 1974 e i successi elettorali del 1976 e 1979, quando sulle liste radicali si raccolse un "ampio ventaglio di adesioni": tra queste, l'adesione di Melega, giornalista. Elenca quindi tutte le iniziative assunte in parlamento dal deputato, "decisamente di opposizione", che "si dimostrò subito uno dei componenti più battaglieri e vivaci della legislatura". Melega si dimise nel 1982, ma fu subito rieletto nel 1983, anche se si dimise nuovamente "per tornare alla professione di giornalista e scrittore".

(IL PARLAMENTO ITALIANO, Storia parlamentare e politica dell'Italia, 1861 - 1992 - Volume 23·, 1979 - 1983 - Nuova CEI Informatica, Milano - dicembre 1993)

Nel 1976, con la VII legislatura, il Partito Radicale aveva portato i suoi primi rappresentanti in Parlamento. Minuscola pattuglia, quattro deputati su 315, i quattro si erano distinti per l'impegno e l'anticonformismo della loro azione parlamentare, favoriti anche dalla circostanza che la politica del compromesso storico tra Dc e Pci, simboleggiata dal voto favorevole o dall'astensione dei comunisti ai governi Andreotti, lasciava largo spazio a un'opposizione che si rifacesse ai principi del laicismo libertario.

Negli anni Sessanta, ridotto a poche decine di iscritti dall'abbandono dell'ala e del centro moderato, il Partito radicale era stato trasformato da Marco Pannella in una forza politica di punta, impegnata con sacrificio personale dei suoi esponenti in battaglie per i diritti civili che, in quegli anni, cominciavano ad essere sempre più intesi come traguardi da raggiungere per un concreto progresso della società civile: l'obiezione di coscienza, le campagne per il disarmo, la separazione tra Stato e Chiesa, la moralità pubblica e amministrativa (che aveva il suo alfiere in Ernesto Rossi), erano tutti argomenti di impegno politico che nè l'opposizione di sinistra nè quella di destra, per diversi motivi, riuscivano ad affrontare.

L'epitome della strategia radicale e della sua capacità di attrarre il consenso di cittadini anche simpatizzanti per altri partiti si era avuta nel 1974, con la vittoria nel referendum che avrebbe mantenuto in vigore l'istituto del divorzio. L'attività in Parlamento dei primi quattro deputati radicali tra il 1976 e il 1979 e le conseguenze del compromesso storico avevano creato per i radicali un trampolino di lancio politico che dimostrò tutta la sua efficacia nelle elezioni anticipate del giugno 1979.

All'elettorato di sinistra, confrontato dal dilemma tra l'estremismo criminale delle Brigate Rosse e l'acquiescenza del PCI nei confronti del governo e della DC (nel 1978, soprattutto in occasione del rapimento e dell'assassinio di Aldo Moro, il PCI aveva compiuto una esplicita scelta di campo contro ogni forma di terrorismo, anche di radici comuniste), i radicali offrivano una possibilità di opposizione decisa, e qualche volta vincente, nei confronti del sistema di potere centrato sulla Dc.

La composizione delle liste elettorali radicali nel 1979 dimostra quanto ampio fosse il ventaglio di adesioni che il PR aveva saputo calamitare. Da intellettuali di estrazione diversa come Leonardo Sciascia, Adriano Buzzati Traverso, Maria Antonietta Maciocchi, Alfredo Todisco, Pio Baldelli, Massimo Teodori, Piero D'Orazio, a giovani che fino a poco tempo prima avevano militato in formazioni estremiste come Marco Boato ("Lotta continua") e Mimmo Pinto ("Disoccupati organizzati", a Napoli) dal deputato comunista Sandro Tessari all'ex suora Marisa Galli, dai repubblicani Franco De Cataldo e Franco Corleone alle militanti femministe Adele Faccio ed Emma Bonino, il PR riusciva a presentare agli elettori l'immagine composita di una forza politica capace di aggregare su trincee progressiste cittadini estranei alla politica come professione, per lo più non iscritti al Partito radicale, disposti a sacrificare per qualche anno gli impegni professionali e la vita privata a una partecipazione a tempo pieno dell'attivit

à parlamentare del PR.

Esempio tipico di questo tipo di cittadino candidato e portato in Parlamento dal Partito radicale fu Gianluigi Melega.

Nato a Milano nel 1935, Melega non era mai stato iscritto ad alcun partito politico (se si eccettua una breve adesione a "Unità Popolare" di Ferruccio Parri, in occasione della campagna contro la cosiddetta "legge truffa" del 1953) aveva generiche simpatie socialiste ed era noto soprattutto per la sua attività di giornalista.

Aveva iniziato la carriera al "Giorno" nel 1956, aveva per qualche tempo collaborato all'"Avanti", era stato quindi redattore e inviato all'ANSA e all'"Europeo"". Per otto anni caporedattore e capo della redazione romana di "Panorama", Melega era poi stato il primo capo redattore di "la Repubblica", con Eugenio Scalfari, ed era passato a dirigere "L'Europeo" nell'agosto del 1976.

Per un susseguirsi di articoli pubblicati dal settimanale su argomenti scottanti (la prima inchiesta sui traffici della P2, i rapporti tra Andreotti e i proprietari della fabbrica di Seveso che aveva sparso diossina sul territorio circostante, le proprietà immobiliare della Chiesa a Roma e in Italia), nel febbraio del 1977 Melega era stato licenziato da Andrea Rizzoli con motivazioni politiche.

In quell'occasione i radicali avevano organizzato manifestazioni pubbliche in suo favore. I rapporti tra il giornalista e il PR si erano poi intensificati l'anno successivo quando Melega, diventato responsabile della sezione politica de "L'Espresso", aveva firmato le serie di articoli sul settimanale che si era conclusa con le dimissioni da presidente della Repubblica di Giovanni Leone. Gli articoli erano diventati la base per una serie di interpellanze e interrogazioni presentate via via dai quattro deputati radicali, che erano stati a loro volta i primi a chiedere in Parlamento le dimissioni del presidente. Nelle elezioni del 1979 nelle liste radicali vennero eletti tre deputati europei, due senatori e diciotto deputati nazionali. Gianluigi Melega fu uno di questi, eletto nella circoscrizione di Bergamo-Brescia. Il neo-deputato radicale, che si sarebbe iscritto al partito soltanto tre anni dopo, si dimostrò subito uno dei componenti più battaglieri e vivaci della legislatura. Il 20 novembre 1979, citando u

na serie di scandali in cui erano rimasti coinvolti esponenti democristiani, fece discutere una sua interpellanza in cui chiedeva "se la Democrazia cristiana fosse un'associazione a delinquere", e in caso affermativo quali misure di sorveglianza il ministro dell'Interno intendesse disporre nei confronti di quel partito. L'atto provocatorio diede origine a una colossale bagarre d'aula, di cui fa fede il resoconto parlamentare, con il deputato radicale protetto da schiere di commessi contro i tentativi di pestaggio da parte dei colleghi democristiani. Deputato decisamente di opposizione, nel periodo in cui tenne il mandato Melega fu attivissimo, intervenendo sui temi più diversi, spesso in forma spettacolare per attirare l'attenzione dell'opinione pubblica su questioni che altrimenti sarebbero andate ignorate. Suoi furono due tra i più lunghi discorsi della storia parlamentare (oltre 8 e 12 ore rispettivamente) quando i radicali decisero l'ostruzionismo contro le leggi speciali antiterrorismo che abrogavano al

cune libertà costituzionali. Sue le continue richieste di indagine sulla tragedia del DC9 Itavia caduto a Ustica (Melega era membro della Commissione Trasporti), le denunce della destinazione ai partiti di governo dei "fondi neri" Italcasse, la diretta partecipazione alle inchieste sulle tangenti ai partiti di governo in affaires internazionali come lo scandalo ENI-Petromin o la vendita mai conclusa di una flotta da guerra all'Irak, il sostegno a posizioni di minoranza spesso impopolari come la tutela dei diritti dei detenuti o l'abolizione dell'impiego di cavalli nel Palio di Siena (la proposta di Melega era che il Palio lo corressero, a piedi, i rappresentanti delle contrade). Espulso in alcune occasioni dall'aula per la forma intemperante o non regolamentare con cui manifestava le proprie opinioni (per la liberazione in URSS di Andrej Sacharov o contro l'attività del socialista Silvano Labriola, il cui nome figurava nella lista P2 sequestrata a Licio Gelli), Melega portava lo stesso tipo di impegno dirett

o anche nella vita civile: venne fermato per essere entrato con un gruppo di pacifisti, tagliando la recinzione, nella base aerea di Ghedi, per protestare contro il dislocamento di armi atomiche in Italia, e altrettanto gli accadde per aver dimostrato per la legalizzazione dell'aborto nei giardini del Vaticano. Convinto dell'opportunità che i cittadini non intendano l'attività politica come professione, poco dopo la metà del mandato, Melega si dimise da parlamentare nel 1982. Rieletto a sorpresa nelle elezioni anticipate del 1983, sempre nel collegio di Bergamo-Brescia, anche in questo caso si dimise da deputato a metà legislatura, per tornare alla professione di giornalista e scrittore. Tra gli atti del suo passaggio parlamentare che ama ricordare c'è una sua proposta di legge per la chiusura degli zoo in Italia, date le orribili e non modificabili condizioni in cui si trovano. Anche se la proposta non divenne legge, il favore con cui venne accolta dall'opinione pubblica portò alla chiusura degli zoo di Tor

ino e di Milano e a una maggiore attenzione alle condizioni degli animali selvaggi tenuti in cattività. Tra i voti da lui espressi, quello che più gli è caro è il voto, come presidente della Repubblica, per Altiero Spinelli, unico voto espresso dal Parlamento italiano per l'esponente del federalismo europeo, quando nel 1985 alla massima carica dello Stato venne eletto alla prima votazione, con stragrande maggioranza, Francesco Cossiga.

 
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