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Pannella Marco - 1 agosto 1974
Signori, i pazzi siete voi
Marco Pannella

SOMMARIO: Primavera-estate del 1974. Per iniziativa di gruppi cattolico-integralisti ma con il pieno appoggio della Dc e della Chiesa cattolica, si tiene, il 12 e 13 maggio, il referendum per abrogare la legge sul divorzio Fortuna-Baslini che era stata approvata nel 1970 grazie alla mobilitazione del Partito radicale e della Lega Italiana Divorzio. I radicali e la Lid sono stati gli unici, fra i laici, a battersi perché il referendum si tenesse, contro i tentativi di un pateracchio fra i partiti per evitarlo. Solo i radicali hanno affermato la loro certezza nella vittoria dello schieramento divorzista. Il referendum viene infatti vinto dallo schieramento divorzista con il 60% dei voti. Ma i radicali e la Lid sono stati completamente esclusi dalla partecipazione alle trasmissioni elettorali della RAI e dalla campagna del fronte laico. Il trionfo della lotta e della posizione politica radicale rischia di tradursi nella cancellazione della presenza politica del Pr. Marco Pannella conduce un lunghissimo digiuno

perché la RAI conceda degli spazi di "riparazione" al Pr e alla LID, perché il Parlamento prenda in esame la proposta di legge sull'aborto e in generale per riconquistare cittadinanza politica ai radicali. E' più in generale una battaglia per il diritto all'informazione e per il rispetto della legalità repubblicana.

Dalle colonne de "Il Mondo" Marco Pannella apre una polemica contro i settori laici e di sinistra che da sempre cercano di annientare il Pr. Si proclamano antifascisti ma sono i fascisti di oggi, del nuovo fascismo che sequestra a favore di minoranze potenti i diritti politici di masse spoliticizzate e disintegrate dal consumismo. La ragionevolezza della "follia di libertà" radicale. Le gravissime responsabilità repubblicane nel difendere, da sempre, gli equilibri di regime contro la politica radicale, dallo scandalo ENI alla battaglia sul divorzio.

(Il Mondo - Agosto 1974 da " Marco Pannella - Scritti e discorsi - 1959-1980", editrice Gammalibri, gennaio 1982)

Fra quanti da dieci anni s'applicano con zelo a farci fuori, spiccano un piccolo gruppo di ex-radicaloidi incanaglitisi nei servizi e nelle carriere di regime, e un pugno di protervi commissari politici che vegetano da parassiti vicino alle alte sfere del PCI. Gli uni e gli altri sono in servizio permanente effettivo di repressione contro il Partito radicale e i movimenti laici e libertari che gli si affiancano nelle grandi lotte per i diritti civili. Così, malgrado l'estate, questi cani da guardia del sistema ringhiano feroci quanto più la nostra azione nonviolenta riesce oggi a mettere a nudo la violenza del regime, e a proporsi per il giudizio al Paese. Attorcigliati a miserevoli bastoni di comando come serpenti attorno alla preda, rumoreggiano con i loro sonagli: ma siamo ormai mitridatizzati contro questo veleno. L'ora della resa dei conti è venuta: cominciamo dunque a farli. Il gioco parrà loro pesante, e lo è. Ma sarà anche leale e fatto per quanto ci riguarda solo di verità.

Questi antifascisti sono i fasciti di oggi, gli unici veri e, se non smascherati, mortalmente pericolosi. Li accusiamo di abuso e di tradimento dell'antifascismo cui si richiamano. In questo ha ragione Pasolini: l'antifascismo di oggi si contrappone all'antifascismo di ieri - e non al fascismo, del quale, anzi, assicura la continuità, con ruolo subalterno verso la DC (già PNF). Ogni vero fascismo ha bisogno sempre di un'ala di sicari e di ascari, dei Farinacci e dei Dumini, degli Almirante o dei Degli Occhi; e di un'altra, rispettabile e perbene, colta e borghese, gentiliana o rocchiana poco importa, purché sia corporativa e trasformista e antipopolare. L'ho scritto e lo ripeto: noi della sinistra non possiamo guardare al fascismo come a mera violenza teppistica o nazista, ma dobbiamo riconoscere che storicamente, repubblicani o socialisti, sindacalisti o populisti che si sia, un rapporto ambiguo non di rado ci ha legati al suo manifestarsi, intimità che oggi si ripete più insidiosa di ieri. E' inutile e p

ietoso questo esorcizzare il fascismo reinventando una demonologia di comodo, traendo il nostro laicismo per una visione manichea e terroristica delle differenze politiche, affibbiando la stella gialla degli ebrei ai miseri resti paleo-fascisti, a poveri ingenui frustrati e ignoranti, o a delinquenti "comuni" (che sono sempre, in realtà, prodotti politici).

Anche i fascisti, e in primo luogo loro, per "antifascisti" radicali e autentici, hanno diritto al rispetto delle loro idee e dei loro errori. Dobbiamo solo disarmarli mentre tentano di uccidere, senza divenire simili a loro, assumendoli come alibi per una nostra suicida trasformazione. Fascismo è violenza contro le leggi democratiche e i diritti della gente, discriminazione e organizzazione corporativa e oligarchica, odio e disprezzo contro ogni minoranza organizzata che rappresenti o minacci di rappresentare la generalità dei cittadini nelle loro aspirazioni ed esigenze costituzionali, o larghe loro maggioranze unite per difendere diritti essenziali e chiedere riforme liberali e laiche, libertarie e liberanti per tutti.

La spoliticizzazione delle masse e il sequestro dei diritti politici democratici da parte dei minoranze più o meno forti, per esercitarli come privilegio all'interno della casta politica, è un'altra pratica fascista, che le esigenze del profitto capitalistico e contemporaneo, liberatosi dalle sue iniziali contraddizioni puritane e calviniste, riscopre, ripropone e reimpone in modo più violento, più agguerrito, più insidioso, più tollerabile solo in apparenza. Il nuovo fascismo sembra aver scoperto che il punto più qualificante della vita dell'individuo è il sistema nervoso centrale, più che nei muscoli o nell'intestino, e adegua quindi la sua violenza. La sua tortura non è fatta di olio di ricino e manganellate private, ma di "caroselli", di induzione artificiosa di bisogni che ci rendono più schiavi, non già di "mezzi" che ci rendano più liberi. Oltre che di Cile, Grecia, e di golpe atlantici e europei, tentati o fatti. Deve spoliticizzarci, disintegrarci, atomizzarci, personalmente e socialmente, perché

si diventi consumatori: di macchine o di cosmetici, di sessismo o di ideologie, di spettacoli o di companatico, poco importa. Purché lo si diventi, in una logica di spreco frenetico, di dilapidazione di sé e degli altri, di tetro e frustrante piacere, mai di felicità e di speranza, latrici, l'una e l'altra, dell'esterno, ordinante disordine della vita e della creazione.

Sbaglia Leonardo Sciascia quando sospetta noi radicali di non so quale flagellante e mistica paura di progresso, del benessere, dell'opulenza; quando crede di intravedere in noi, nelle nostre motivazioni e nei segni che cerchiamo di trasmettere, una sorta di pratica penitenziale e di ascesi che è senz'altro degna di rispetto, e che forse concerne Danilo Dolci e Giovanni Franzoni, ma non noi. Piuttosto c'insidiano moduli che potrebbero rievocare i "clerici vagantes", o le enfasi disperate dei Villon fino ai Rimbaud, o la funzione dei giullari quale intuiva già un bonario signore come Tomaso Grossi del Marco Visconti e oggi ricrea e ripropone il nostro Dario Fo. O possiamo anche meglio essere compresi nel quadro morale e storico di Dickens (e in quello ideologico e esistenziale, suo coevo, di un Engels), di Balzac e di Elsa Morante. Certo siamo figli e nipoti, anche, dei Castorp di Thomas Mann e degli idioti dostojevskiani; e contemporanei delle austere, secche, essenziali previsioni che sono nei racconti di L

eonardo Sciascia e, prima di lui, di Elio Vittorini. Come potrebbe essere altrimenti?

Colgo qui l'occasione per una rettifica. Nell'intervista-conversazione con Pier Paolo Pasolini s'è inserita una divertente e sintomatica distrazione. Proprio parlando dell'induzione artificiosa dei bisogni di consumo, delle esigenze antiumanistiche di certo capitalismo e di questo nostro regime così perfettamente vivi in simbiosi, ripetevo una osservazione che vado facendo da tempo: perfino meglio di Marx, mi sembra, Rimbaud ha espresso una geniale intuizione, un programma politico di lotta attuale, in un solo verso: quello in cui ci propone "un raisonnable dérèglement de tous les sens". E sottolineavo: il geniale è poi nel "ragionevole", in questo "ragionevole sregolamento di tutti i sensi", che altrimenti suonerebbe come la ormai frusta e stupida ricetta di un qualsiasi banale "maudit", romantico "maledetto" post-ginsberghiano.

Se vogliono infatti, e debbono, ridurci a macchine, macchine di violenza e di distruzione o autodistruzione, di consumo continuo e frenetico, di solitudine grottescamente pseudo-edonistica, per mantenere in piedi il meccanismo sociale fondato sulla prevalenza del profitto, inteso come valore, per poi spoliticizzarci, e renderci estranei e irresponsabili verso il loro "potere", la follia è nel non rendersi conto della perfetta totalità, oltre che totalitarietà della loro proposta e della loro politica, e nel non dar letteralmente "corpo" alla nostra risposta collettiva e personale, ideale e di prassi.

Proprio in nome d'un sano e possibile epicureismo temiamo la dissolutezza, la dissoluzione e la dissolvenza che ci si propongono con le più letali delle droghe ideologiche, politiche, culturali, consumistiche, bio-chimiche, massicciamente immesse sul mercato.

Per questo, dicevo, i "cibernetici più di ogni altro" possono comprendere che la "ragionevolezza" è la nostra bandiera. Invece è venuta fuori (comprensibilmente e in modo che mi ha divertito, tanto questo "contrario" finiva in realtà per costituire un "significante" positivo e fedele) nel sommario e nell'articolo di Pier Paolo, che "l'irragionevolezza è la bandiera dei radicali". E anche il "siamo pazzi della libertà" che Sciascia ha frainteso, era risposta provocatoria contro la continua accusa di follia utopistica che ci viene fatta da anni. Se siamo pazzi, allora viva ancora e sempre Elsa Morante e il suo splendido, irriducibile, irridotto, sempre vivo "pazzeriello". Ma la risposta pertinente è già data da Moravia, che affianca sull'Espresso l'intervento di Sciascia: in realtà nessuno, ci sembra, quanto noi, conosce e pratica la disciplina della concretezza e del vero realismo politico, del progetto politico esplicito e popolare, che s'incarna in obiettivi di volta in volta da tutti valutabili, in una pra

ssi che certo è mossa da passione generale per la giustizia e la libertà, di giusti e liberi, o che tali tentano faticosamente e umilmente d'essere, ma che si fonda sull'appoggio a esigenze oggettive e drammaticamente tradite di quella gente che siamo e che ci esprime.

Questo è il guaio, caro Sciascia: che non siamo per vocazione e per scelta oggetti di interpretazione politica, noi malgrado o inconsapevoli; ma, per scelta e prassi, da almeno dieci anni, e più probabilmente da venti, attori e protagonisti politici, e un vero, nuovo partito, più d'ogni altro (se "altro" ve n'è) alternativo e in lotta.

Ma torniamo ora a occuparci seriamente degli untorelli fascisti/antifascisti cui il nostro digiuno ha in questi tempi così gravemente turbato la digestione, il fegato e il sonno.

Uno di questi, nei giorni scorsi, è intervenuto nel pilotatissimo dibattito sul "caso Pannella" che Piero Ottone ha aperto e ormai chiuso, a quel che ne so, sul Corriere della Sera. In verità, visto che, a tuttora, non mi è giunto nemmeno il più vago cenno d'invito a dire la mia su questo "caso" (il che mi sembra, malgrado tutto, un po' eccessivo), s'è trattato piuttosto d'uno pseudo-dibattito "sul 'coso' Pannella", sulla "cosa" che dovrei da sempre ridurmi a essere, una specie di sasso inerte e che, in questo "caso", sembra servire soprattutto per lapidare Pasolini.

Uno di questi signori è deputato repubblicano, anzi, pare, vicesegretario del PRI. Chi sia non importa: la volgarità non ha nomi, nella sua essenza è pura anonimia. Rileggiamolo. Mi chiama, dolcemente, "Marco"; scrive della mia "cara" esistenza: "... Sarebbe ingiusto rimproverargli le mille cose sbagliate, esasperate, fuori tono, che dice e talvolta fa". Ora, prosegue, bisogna sforzarsi di capire quel che vorrebbe fare, questo Marco, che non riesce a comunicarci: "Oltre tutto è l'unico modo per contribuire a toglierlo dal maledetto impiccio in cui si è messo". Capire cos'ha di valido questo atteggiamento "su cui Marco obiettivamente si qualifica, al di là delle molte e diverse posizioni politiche che in trent'anni ha assunto". Ho 44 anni e tre mesi.

Ma andiamo avanti. La violenza, certo può essere una "affermazione drammaticamente necessaria... in un momento di oppressione assoluta". Ma qui e oggi? "L'azione nonviolenta rischia di diventare forma di vera violenza morale... La minaccia di suicidio per fame per ottenere il diritto di accesso alla Tv... significa soltanto premere per un consenso che non è politico, ma di pietà". Pannella dà così "un contributo all'ulteriore disfacimento della vita democratica eguale e contrario a quello del qualunquismo fascista che teorizza appunto i partiti putrefatti e la democrazia incapace...".

Alla fine, si capisce perché questo "amico" interviene, così prontamente, nel "dibattito". Grazie a Arrigo Benedetti, a Guido Calogero, e poi a Pasolini, dopo un paio di mesi di digiuno, la gente sa finalmente che vivo ed esisto, con i miei compagni radicali: l'abrogazione è provvisoriamente interrotta, e non solo più grazie alla unica liberalità del il Mondo. E' questo che non gli va giù e l'allarma. Si preoccupa. Naturalmente per me, non per sé. Non avendo il coraggio di prendersela con Benedetti e Calogero, spara su Pier Paolo: " il maggior rischio di Marco Pannella è di essere inghiottito, consumato, dalla moda dei nuovi letterati di corte, dall'entusiasmo e dai fatui fuochi d'artificio che momentaneamente lo circondano, e che si spegneranno appena una nuova moda sorgerà".

Ho ripreso il digiuno, ho il voltastomaco, tralascio il resto.

Per dieci anni le censure e le disinformazioni della Rai-Tv, il sequestro di legalità denunciato nelle settimane scorse dalla Corte Costituzionale, hanno tratto una sorta di legittimazione democratica e una sicurezza di impunità dalle pratiche censorie e fasciste dell'Unità e della Voce Repubblicana.

Ciascuno di noi, lo voglia o no, prefigura ogni giorno con i suoi comportamenti il tipo di società che effettivamente contribuisce a edificare. La violenza sopraffattoria contro le minoranze, contro il dissenso e i diversi, contro le maggioranze sgradite di casa propria e dei propri vicini; il tradimento degli ideali e delle realtà democratico-repubblicane nella pratica dell'informazione e della lotta politica, che caratterizzano oggi la situazione politica italiana, sono un prodotto anche repubblicano e comunista; e non in misura marginale.

Si spiegano così i nostri contrasti, la lotta senza quartiere che dal vertice del PRI e del PCI è stata condotta contro di noi. Si spiegano così i miliardi che il regime ha sempre consentito che giungessero, fraudolentemente, dall'ENI, dagli altri petrolieri, dagli zuccherieri, dai fondi nerissimi della pubblicità bernabeiana a certe laiche "saponette Cadum" della moralità democristiana, corporativa, classista e clericale, sempre mugugnanti, sempre profetizzanti catastrofi, sempre solidali nei momenti di pericolo con il potere, la sua violenza, la sua corruzione, la sua illegalità.

La procura Generale della Corte d'Appello di Roma ha nei suoi archivi la testimonianza di una campagna politica condotta nel 1965 dal Partito radicale, durata più di un anno nell'assoluto silenzio ufficiale di tutti i partiti, contro i metodi dell'ENI di Mattei. Era una documentazione francamente terrorizzante: cercammo ogni via, da quella giudiziaria a quella politica, dalle marce ai comizi, dagli appelli alle conferenze-stampa ai giornalisti esteri, ai volantinaggi, ai manifesti.

Miliardi ai fascisti, miliardi ai repubblicani, miliardi ai comunisti, miliardi per far fuori Felice Ippolito, miliardi per far tacere tutti su tutto, miliardi per il PSIUP... Denunciammo sin da allora la funzione corporativa, quindi strutturalmente fascista, dell'economia pubblica democristiana, di corruzione della vita politica, di vanificazione e annullamento della libertà di stampa. Coinvolgemmo sindacati e personalità, da Malagodi a Lama. Nessuno osò muoversi. Intervenne perfino Paolo VI, che aveva alcune magagne milanesi da coprire. Tutto è documentato, lo ripetiamo. Ci si vorrà magari consentire, smentendosi, finalmente un processo che costringa la magistratura a riconsiderare quel dossier insabbiato da allora?

E' da allora, comunque, che cominciammo a essere definiti "vieti" anticlericali, anticomunisti, antimilitaristi, antiautoritari: perché divenivamo vietati. Già allora Dodo Battaglia e Maurizio Ferrara si distinsero nell'attaccarci, nel linciarci. Nel propagandare e realizzare il più fascista dei comportamenti contro di noi, per abrogarci con la censura, o menzionarci solo per diffamarci. Ma sono anni densi di lotte, di episodi qualificanti, sui quali varrà la pena di tornare a discutere. Riuscimmo per la prima volta nella storia di questo ventennio a far scattare il procedimento costituzionale di accusa contro due ministri, Preti e Valsecchi, per la storia della "cedolare vaticana". Ancora i repubblicani tacquero e coprirono il regime: la Camera non votò la messa sotto accusa. Per due anni scatenammo una campagna contro lo scandalo ONMI che portò all'arresto del sindaco Petrucci: la Voce Repubblicana tacque fino alla fine, con i suoi assessori al comune di Roma fedeli fino alla fine alla DC e ai suoi metodi

. La censura fu totale. Alla vigilia del primo, determinante voto sul divorzio della commissione Affari costituzionali della Camera, massimi esponenti repubblicani andarono da Renato Ballardini, presidente della commissione, a suggerirgli di liquidare tutto affermando l'incostituzionalità del divorzio per i matrimoni concordatari: ci si accusò di essere pazzi, con questa nuova storia, che rischiava di spaccare il Paese e il "centro-sinistra". Non avemmo ancora una volta che il silenzio totale o attacchi. Ero a casa di Ernesto Rossi, una telefonata furibonda, di parte repubblicana.

L'Astrolabio e L'Espresso cominciavano a denunciare con precisione e chiarezza di dati le mene di De Lorenzo e della DC. "Siete pazzi, adesso provocate anche l'esercito, che qui da noi è tutt'al più un pericolo da operetta...". Su Agenzia Radicale, dal 1965, avevamo cominciato a denunciare i legami fra industria di stato, militari, servizi segreti, ambienti fascisti e democristiani. Facevamo convegni antimilitaristici e poi marce. Andavamo, per questo, da Milano a Bergamo, Brescia, Verona, Vicenza, città che avevamo individuato (nel 1967!) come il centro purulento del pericolo clerico-fascista e militare. Ogni anno, per giorni, con testardaggine. Subivamo i primi delle centinaia di nostri processi per reati di opinione. La Voce continuava a ignorarci o attaccarci come pazzi irresponsabili, come L'Unità.

Reale, ministro della Giustizia, firmava autorizzazioni a procedere per vilipendio a tutto spiano. Ci accollavano, perché laici, da soli, centinaia di direzioni responsabili di testate di giornali di opposizione, dai quali dissentivamo. Peggio, non esistevamo se non per rischiare ironie e galera. Cercavamo nuove armi, migliori, più efficaci. Digiunavamo: ottenevamo che in poche settimane, ufficialmente, la presidenza della Camera e del Senato, con procedura eccezionale, garantissero la conclusione dei dibattiti impantanati sul divorzio. Digiunavamo: in cinquanta giorni ottenevamo l'approvazione di leggi che per unanime previsione non potevano essere approvate che dopo sei mesi o un anno: la legge sull'obiezione di coscienza e quella per Valpreda. Trecento compagni uscivano dai penitenziari militari dove tutti, tutti, li avevano dimenticati e lasciati.

Occupavamo la Rai-Tv e riuscivamo clamorosamente a far parlare antidivorzisti, repubblicani e socialisti, democratici e comunisti sul tema "tabù" - tabù per tutti tranne che per noi: il divorzio.

Vogliamo ancora parlare dell'unanime volontà dei partiti laici di abrogare in sede parlamentare la "Legge Fortuna", con la nostra sola opposizione, pur di evitare il referendum? Dello scioglimento delle camere per impedire questa vittoria laica e consentire nei fatti la vittoria elettorale clerico-fascista del 1972?

Vogliamo chiederci cosa abbiamo fatto e saputo fare, per le istituzioni, per la legge, per la Repubblica, per la fiducia e la partecipazione della gente alla "politica", e quel che hanno fatto e saputo fare i repubblicani, i liberali, i socialdemocratici "ufficiali"?

Parlare della Repubblica fondata sul peculato, sulla frode elettorale e di ogni giorno?

Confrontare quel che siamo riusciti a ottenere, ad assicurare alla democrazia italiana, con i nostri metodi, con la nostra utopia e il nostro realismo?

Dobbiamo davvero aspettare "oppressione assoluta", come chiede Battaglia, per combattere a oltranza contro la violenza ormai in procinto d'essere di nuovo vincente, per anni e anni, per fornire allora solo una mera e disperata testimonianza morale prepolitica? O dobbiamo, adesso, rischiare la vita, perché si viva, perché viviamo, e non crollino legalità e repubblica, fin quando si è ancora in tempo? Dovevamo rassegnarci ai soprusi, attendere inerti le sentenze della Corte Costituzionale, che sono accuse ufficiali di "fascismo" contro la classe politica, ma che di per loro non restaurano nei fatti la legalità violata?

Ma questi repubblicani (e oggi abbiamo risposto a loro, perché più sono stati zelanti nel tentativo decennale di soffocarci), non cessano dal sorprenderci. Non vi sono limiti.

Esplode, ora, la questione dell'aborto, grazie al digiuno collettivo e alla lotta complessiva di anni che abbiamo condotto al riguardo?

Ascoltiamo e meditiamo la splendida risposta che un altro deputato repubblicano, ex radicale, dà al sondaggio di Panorama: "Io, prima di pronunciare la parola "aborto" nel mio collegio, ci penserò ancora due volte..."

Continuo il digiuno a oltranza. Questi pazzi della "real-politik", come i fascisti di ieri, si avviano inesorabilmente verso la catastrofe, trascinandovi il Paese, la gente, noi tutti con loro. Non c'è più un minuto da perdere per salvarli.

 
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