Radicali.it - sito ufficiale di Radicali Italiani
Notizie Radicali, il giornale telematico di Radicali Italiani
cerca [dal 1999]


i testi dal 1955 al 1998

  RSS
gio 10 ott. 2024
[ cerca in archivio ] ARCHIVIO STORICO RADICALE
Archivio Partito radicale
Teodori Massimo, Ignazi Piero, Panebianco Angelo - 1 ottobre 1977
I NUOVI RADICALI: (1) Dai vecchi ai nuovi radicali
di Massimo Teodori, Piero Ignazi, Angelo Panebianco

SOMMARIO: L'interpretazione storica del Partito Radicale fondata sulla ricostruzione delle diverse fasi della vicenda radicale dal 1955 al 1977.

INDICE GENERALE

"Premessa degli autori"

Parte prima

STORIA DEL PARTITO RADICALE

I Dai Vecchi ai nuovi radicali

1 Il primo Partito Radicale (1955-1962)

2 Il centro-sinistra e l'ottimismo tecnocratico del benessere

3 Le nuove opposizioni in Europa

4 L'eredità del movimento goliardico

5 La sinistra radicale

"Note"

II La solitudine di una minoranza

1 La faticosa ripresa del nuovo gruppo

2 L'»Agenzia Radicale e le sue battaglie: Eni, assistenza, scuola

3 Unità e autonomia: si configura il conflitto con la vecchia sinistra

4 I radicali di fronte alle proposte di unificazione della sinistra

5 L'isolamento di una cultura politica diversa. Verso il congresso di rifondazione (1964-1967)

"Note"

III La campagna per il divorzio

1 La nascita e lo sviluppo del movimento divorzista con la Lid

2 Il movimento popolare e l'azione di pressione sul parlamento

3 Dal divorzio al referendum

4 I radicali nel movimento divorzista: significato politico generale

"Note"

IV Un partito alla ricerca di se stesso. Dal congresso di rifondazione (1967) a quello di rilancio (1972)

1 Attraverso il sessantotto

2 Le nuove iniziative: giustizia, sessualità, Concordato, liberazione della donna

3 Con antimilitarismo e obiezione di coscienza una caratterizzata presenza militante

4 I radicali e il sistema politico dalle elezioni del '68 a quelle del '72

5 Le difficoltà del partito verso il Congresso di rilancio (Torino 1972)

"Note"

V Con i diritti civili l'opposizione al regime

1 Dopo il rilancio, si moltiplicano le iniziative con un partito assai fragile

2 Gli otto referendum e il referendum sul divorzio

3 L'estate calda del 1974: la battaglia per l'informazione porta Pannella in Tv

4 I radicali di fronte alla »questione socialista

"Note"

VI Per una rivoluzione democratica

1 Azione diretta e azione popolare per l'aborto

2 Ancora sui diritti civili prende forma il partito federale. La carta delle libertà

3 Con le elezioni del 20 giugno 1976, i radicali in Parlamento

"Note"

VII Nel paese e nel Parlamento

1 Una minoranza in Parlamento

2 Il progetto referendario come progetto alternativo

3 Il conflitto tra comunisti e radicali

4 I motivi di vent'anni di storia radicale

"Note"

Parte seconda

ELETTORATO, MILITANTI, MOVIMENTO: UNA INTERPRETAZIONE SOCIOLOGICA

I I militanti radicali: composizione sociale e atteggiamenti politici

1 Premessa

2 La composizione sociale

3 I radicali e il Partito

4 Atteggiamenti politici generali

5 Il profilo socio-politico

6 Conclusioni

"Note"

II Il voto radicale nelle elezioni del 20 giugno 1976

1 Le caratteristiche generali del voto

2 Un consenso elettorale urbano

3 Un voto d'opinione

4 Le preferenze: la concentrazione su Pannella

5 Analisi di un caso: la Toscana

6 Considerazioni conclusive

"Note"

III Dalla società corporativa ai movimenti collettivi: natura e ruolo del Partito Radicale

1 Partito politico, gruppo di pressione, movimento: l'atipicità del Pr

2 Norme, strutture, carisma: le contraddizioni

3 Aggregazioni degli interessi, controllo sociale e movimenti spontanei

4 Sistema politico e società corporativa

5 Dalla contrattazione al conflitto

"Note"

APPENDICI

I Statuto del Partito Radicale

II Gli organi centrali del Pr

III Cronistoria delle principali vicende dei movimenti federati e delle leghe

IV Fonti e orientamento bibliografico

("I NUOVI RADICALI", Storia e sociologia di un movimento politico - Massimo Teodori, Piero Ignazi, Angelo Panebianco - Arnoldo Mondadori Editore, ottobre 1977)

-------

Parte prima

STORIA DEL PARTITO RADICALE

I DAI VECCHI AI NUOVI RADICALI

1. "Il primo Partito Radicale (1955-1962)"

Il Partito Radicale era nato nel dicembre 1955 come scissione delle correnti di sinistra del Partito Liberale. In esso erano confluiti anche elementi provenienti da Unità Popolare (che si era formata nel 1953 per combattere contro la legge maggioritaria detta »legge truffa ) come Leopoldo Piccardi; ex azionisti che non avevano militato in altri partiti dopo lo scioglimento del Partito d'Azione, come Leo Valiani e Guido Calogero; collaboratori prestigiosi del »Mondo come Ernesto Rossi; numerosi intellettuali, pubblicisti e giornalisti dell'area laica; e altrettanto numerosi giovani e universitari che avevano fatto o stavano facendo esperienze di milizia politica nell'università attraverso l'Unione Goliardica Italiana (Ugi) e gli organismi rappresentativi locali e nazionali (Unuri).

Nello schieramento politico la nuova formazione rappresentava il segno della crisi del centrismo e dell'appoggio che le forze moderate progressiste gli avevano conferito. In modi e tempi analoghi a ciò che avviene tra le sinistre dove intorno al 1955 i socialisti mettono in discussione la politica frontista (XXXI) congresso del Psi a Torino), al centro gli ambienti laici, di cui il Partito Radicale è una espressione, denunciano il prepotere democristiano, indicando la necessità di dar vita a una nuova formazione politica come quella radicale. I riferimenti generali dei radicali, pur non univocamente espressi dalle varie componenti del partito, sono con le parole di uno dei più lucidi interpreti della posizione radicale, Leo Valiani, alla costituzione del partito: »i metodi dell'esperienza radicale occidentale, laburista rooseveltiana con la critica di »quanto vi è di rigido anche in quelle esperienze , ragion per cui i radicali devono condurre »la lotta per lo smantellamento non solo delle basi politiche, m

a anche delle basi economiche e corporative del fascismo (1). Partito che tende a fondarsi su progetti concreti di riforma, il Pr propugna nei primi due anni di vita, fino al 1958, una fiera opposizione alla Dc, al suo malgoverno e alla sua occupazione dello Stato, facendo riferimento alle forze laiche minori (Pri e Psdi) e al processo autonomistico del Psi acceleratosi con il 1956 e con il rapporto Kruscev al XX congresso del Pcus.

Il Pr è quindi »terzaforzista , in favore di una opposizione costituzionale al centrismo, ritenuto degenerato in forme reazionarie, e per una »alternativa laica di cui sono chiari i contenuti e le forze, non tali tuttavia da costituire di per sé uno schieramento in grado di candidarsi alla direzione del paese. L'equidistanza e la contrapposizione dei radicali è sul piano ideale e politico sia verso il »centrismo clericale che verso il »totalitarismo comunista rispetto ai quali non è possibile nessun compromesso; essi auspicano invece il dialogo su progetti di studio e di azione con tutti gli uomini e i gruppi dell'»area laica e socialista non totalitaria .

»Lo studio e la meditazione aveva affermato Valiani nel 1956 »valgono a distinguerci dai socialisti. Nulla ci può distinguere dai socialisti democratici se non la nostra abitudine liberale allo studio obiettivo, disinteressato e coraggioso... Solo i frutti del nostro studio, della nostra filosofia ci permettono e di impongono di distinguerci da loro, perché la nostra è cultura liberale, mentre la loro è eclettica, praticista, sotto il manto di un marxismo nel quale in realtà credono ben poco. Avere questa volontà e onestà intellettuale, mettere sotto esame dettagliato, stringente, i reali problemi concreti della scuola dell'economia, della vita sociale, dell'amministrazione. (2) I »convegni del Mondo , (3) succedutisi con intensa frequenza dal 1955 al 1959, rappresentano lo strumento di intervento e di pressione in questo senso, non del Partito Radicale in quanto tale ma dell'ambiente ad esso collaterale.

Sul piano elettorale l'ipotesi politica laica si realizzava nell'alleanza con Pri e Unità Popolare nelle diverse prove amministrative del 1956 e 1957 attraverso le liste di »rinnovamento democratico . Nel 1958 l'alleanza tra il Pri e il Pr alle politiche rappresentava il momento culminante di questa tendenza e al tempo stesso la più compiuta espressione politica radicale e quella che ne mostrò i limiti elettorali. I radicali portarono nella campagna elettorale il vigore del loro più deciso impegno di sinistra democratica anticonformista con la proposizione di temi da altri trascurati o ignorati: separazione rigorosa tra Stato e Chiesa e difesa dello Stato laico; eliminazione dei monopoli, dei privilegi di casta, delle bardature corporative, dell'elefantiasi amministrativa, del sottogoverno; creazione della scuola moderna; difesa del cittadino contro gli abusi del potere esecutivo; della libertà di stampa, della libertà di migrazione interna, della disciplina delle fonti di energia, della lotta contro le spec

ulazioni sulle aree fabbricabili. (4)

Quello che era stato l'impegno di un ristretto gruppo arrivato con il Partito Radicale fino al momento politico elettorale per mantenere, con le parole di Galli della Loggia, »qualche spazio aperto alla ragione e alla discussione rifuggendo »dalle mitologie più smaccate e dalle apologie più insulse arrecando in tal modo un esempio non trascurabile di onestà intellettuale , (5) si trovò, all'indomani dell'infelice (quanto a risultati) (6) prova elettorale, e forse anche a causa di essa, di fronte alla contraddizione di una posizione liberal-democratica fattasi, per le circostanze politiche del paese, di tono e di contenuto radicale: o spingere alle conseguenze politiche l'opposizione al regime democristiano e quindi entrare magari in conflitto con la propria maniera di essere e di tenere alte le bandiere della libertà nella sinistra, oppure rimanere coinvolti nella ricerca dei nuovi equilibri politici verso cui le diverse forze partitiche, dalla Dc al Psi, andavano convergendo tra la fine degli anni 50 e l'i

nizio degli anni '60. Dalla fine del 1958 in poi, il Partito Radicale scelse dapprima con riluttanza, e poi progressivamente accettò, una strada del secondo tipo: di subordinare cioè alla »ragion politica di ciò che si chiamò il centro-sinistra, quelli che erano i suoi propri contenuti specifici e il modo del tutto singolare con cui si poneva di fronte alla politica del paese.

Il partito era fragile: aveva sì in un primo momento raccolto nomi prestigiosi della cultura, del giornalismo e dell'intellettualità laica (talvolta inserendoli magari d'ufficio tra gli aderenti) (7), ma non si era dato, o non si era voluto o saputo dare, vere strutture da forza politica. I suoi soci non superarono mai i 2000. Più che nei suoi organi e organismi politici, la classe dirigente radicale faceva affidamento su un ambiente che si esprimeva nei settimanali »Il Mondo (pubblicato dal 1949) e poi »l'Espresso (pubblicato dal 1955). Lo stesso gruppo dirigente era diviso da diverse culture politiche o da diversi atteggiamenti a seconda delle origini e provenienze, sicché alcuni temi importanti ma controversi erano tenuti fuori dal dibattito e dall'iniziativa del partito. Primo tra questi la politica estera di fronte a cui i liberali di sinistra del »Mondo avevano un atteggiamento filo-angloamericano e fortemente »atlantico , mentre alcune personalità provenienti da Unità Popolare non erano immuni da s

entimenti neutralisti.

I risultati delle elezioni politiche del 25 maggio 1958, affrontate dal Pr insieme ai repubblicani, in cui non fu eletto neppure un radicale in parlamento, contribuirono a far scoppiare le contraddizioni del Pr come partito, sia nel suo gruppo dirigente, sia nei rapporti tra le diverse componenti, sia infine nel modo stesso di affrontare la politica, contrapponendosi da una parte l'intervento diretto anche elettorale e dall'altra l'azione di pressione condotta tramite altre forze politiche.

La crisi suscitata dal governo Tambroni nel luglio 1960 e la reazione che il paese vi oppose, costituirono un momento cruciale che provocò l'accelerazione del processo verso il centro-sinistra. Il Pr, nelle sue ipotesi politiche, si era sempre dichiarato contrario a collaborazioni con la Dc ed aveva valutato negativamente, ancora all'inizio del 1959, anche la proposta di »apertura a sinistra dei socialisti (8). Nel periodo che corre all'incirca dalla metà del 1959 alla fine del 1961, quando si tenne il convegno sulle »prospettive di una politica economica organizzato da sei riviste della sinistra democratica tra cui »Il Mondo e »L'Espresso (9), i radicali, attraverso la loro classe dirigente, mutarono sostanzialmente atteggiamento nei confronti della Dc e della prospettiva di centro-sinistra. Pur con oscillazioni tra la paura dell'incontro di socialisti con i cattolici che avrebbe potuto esaltare le caratteristiche illiberali delle due forze, e la speranza di una »politica liberale di riforme imposta da

lle forze laiche in un nuovo equilibrio politico, i radicali aderirono all'ipotesi politica che andava maturando. E in particolare una parte del Pr, facente capo a Leopoldo Piccardi e a Eugenio Scalfari, puntava decisamente a una alleanza organica con i socialisti per sostenere e contribuire al corso politico che si andava imponendo.

Il Partito Radicale, del resto, anche sotto la spinta della propria base e della parte che mostrava più dinamismo all'interno della dirigenza, aveva stretto alleanze con i socialisti nelle elezioni amministrative del 6 novembre 1960 in quasi tutti i capoluoghi, ottenendo ovunque successi di opinione e di eletti, a cominciare da Roma e Milano. (10) Questi risultati, la fiducia nelle possibilità riformatrici del centro-sinistra e dell'azione che in esso potevano svolgere i socialisti, l'accentuazione dei temi economici riferentesi alle speranze di una risolutrice »pianificazione democratica a scapito dei più tradizionali temi istituzionali radicali, la prospettiva di un'alleanza politica per le elezioni del 1963, furono tutti fattori che portarono alla crisi il piccolo partito.

Crisi di identità politica; crisi tra le diverse componenti, di cui una moderata filo-repubblicana e l'altra filo-socialista: crisi del ruolo nei confronti del centro-sinistra realizzato insieme con la Dc che inevitabilmente si prospettava come lo sbocco dell'azione radicale iniziata in funzione antidemocristiana: tali le ragioni di fondo per le quali il partito si disgregò, allorché fu suscitato, alla fine del 1961, il cosiddetto »caso Piccardi , (11) che da personale fu trasformato in pretesto politico. Anche il forte nucleo giovanile che aveva rappresentato l'aspetto più dinamico e più nuovo del partito si ruppe per non aver avuto il tempo, secondo la valutazione di Giovanni Ferrara, di fissare le comuni esigenze in una visione politica matura e unitaria: »Il gruppo... si scisse principalmente sul problema della valutazione dell'atteggiamento politico concreto da tenere nei riguardi dei comunisti, nel contesto della situazione europea. Di fronte alla violenza dei temi politici, gli elementi comuni dell'es

perienza giovanile radicale passarono in secondo piano, anche se i giovani radicali continuarono fino all'ultimo a dialogare tra di loro e a sentirsi contemporaneamente investiti della responsabilità di tutto il partito. I due grandi problemi che toccavano in quel momento la sensibilità democratica e europea... erano da una parte la guerra di liberazione algerina e il connesso trionfo di De Gaulle in Francia, e dall'altra la lotta per il raggiungimento di un nuovo assetto politico di centro-sinistra, in Italia . (12)

Si verificarono allora - insieme alla spaccatura del gruppo giovanile in una »destra e una »sinistra , l'unico che avrebbe potuto tenere insieme il partito - anche le dimissioni, l'uscita o il ritiro di tutti i personaggi di maggiore rilievo che avevano costituito il Pr, ad eccezione della componente, prevalentemente giovanile ma non soltanto, che si era costituita in »sinistra radicale .

2. "Il centro-sinistra e l'ottimismo tecnocratico del benessere"

Il centro-sinistra, dopo un'incubatura di quasi dieci anni, si concretò nella formula parlamentare e governativa a cavallo delle elezioni politiche del 1963. La formula rappresentava qualcosa di diverso e di più di un semplice accordo di coalizione: era la risposta di alcune forze politiche a profondi mutamenti socioeconomici nel paese e il modo in cui una parte della sinistra, (nei comportamenti dei partiti così come nell'elaborazione culturale) pensava di fornire una soluzione ai problemi della società in trasformazione apparsa con sempre maggior veemenza intorno agli anni '60. Il centro-sinistra non intendeva essere soltanto l'alleanza (»incontro storico o »convergenze sulle cose ) di democristiani, socialisti, socialdemocratici e repubblicani, ma pretendeva rappresentare un »nuovo corso che traeva ragione, almeno in quella non piccola parte dell'intellettualità che la preparò e l'aiutò a realizzarsi, dalle nuove condizioni imposte dallo sviluppo capitalistico in Italia non meno che negli altri paesi de

ll'occidente europeo. Nella volontà dei suoi propositori il centro-sinistra doveva costituire il processo attraverso cui si legittimavano la revisione ideologica della sinistra e le scelte della parte non comunista di essa e quindi nella nuova atmosfera internazionale, i nuovi rapporti fra le superpotenze basati sulla filosofia di base della competizione produttivistica di quei rapporti.

Sono noti i dati dell'impetuoso sviluppo italiano (»il miracolo economico ) di quegli anni: l'aumento del reddito pro-capite, le emigrazioni di massa dal Sud al Nord, l'inurbamento e le mutazioni della stessa geografia del nostro paese ( autostrade, periferie, speculazione edilizia). Anche le caratteristiche generali di queste mutate condizioni materiali sono conosciute: la indiscriminata espansione dei consumi e dei beni industriali d'uso (e in prima linea come simbolo del »boom , l'automobile), e quindi la crescita di una società di massa ben diversa da quella con la quale l'Italia era uscita dalla guerra. Quella che si sviluppava nel nostro paese era una fragile e apparente società del benessere e dei consumi con aspettative crescenti che altri paesi europei avevano già in parte sperimentato in quello stesso periodo, pur senza essere incorsi nella brusca rottura italiana degli equilibri culturali e umani precedenti. Insieme con l'automobile e gli elettrodomestici aumentava anche la mobilità complessiva de

lla popolazione e parallelamente si espandevano i mezzi di comunicazione di massa (in primo luogo la televisione) e la conseguente tendenza a quella omogeneizzazione e standardizzazione culturale su livelli che la sociologia definisce »moderni . Le trasformazioni materiali, prodottesi per la spinta del capitalismo nostrano, si accompagnavano con le mutazioni nel modo di essere, nei gusti, nei costumi, nella coscienza individuale e nei comportamenti collettivi dell'italiano medio.

Anche nel panorama internazionale crescevano i segni di quella particolare »modernizzazione che si presentava sotto le sembianze della distensione e della coesistenza competitiva. La guerra di Corea era stata chiusa nel 1954 ed era ormai un ricordo dell'ultimo scontro armato della guerra fredda. Anche il fatidico »1956 con Budapest e Poznam, il XX congresso del Pcus e Suez, appartenevano ad un passato in cui la regola era stata la non interferenza delle due superpotenze negli affari di pertinenza dell'altra. Ma furono soprattutto John F. Kennedy e Kruscev che impersonarono, a ragione o a torto, il nuovo corso internazionale, basato sostanzialmente su una visione di crescente domanda di consumo e benessere materiale applicati a scala mondiale. L'Urss aveva lanciato nel 1958 il primo satellite, lo sputnik; gli Usa avevano risposto alla »sfida tecnologica trasformando radicalmente e massicciamente in senso tecnologico le proprie università, mentre era in atto la corsa alle armi nucleari (con i relativi esper

imenti in aria, acqua e nel sottosuolo) che rientrava, anch'essa, in una sorta di competizione planetaria alla ricerca di un mostruoso equilibrio fondato sulla reciproca forza nucleare dei contendenti. Sulla scena della politica internazionale si affacciavano il paesi del Terzo Mondo (nel settembre 1961 si tenne a Belgrado la conferenza dei non allineati con grande risalto delle posizioni di Tito, Nkrumah e Sukarno) i quali, per una breve stagione, sembrarono rappresentare un nuovo corso alternativo a quello delle maggiori potenze, al di fuori del quadro concettuale da esse stabilito: competizione, tecnologia, consumo, potenza.

La nuova era che si annunziava sorgeva così sotto il segno tecnologico-scientifico-razionale. A Occidente veniva esaltato il »capitalismo dei beni di consumo , a Oriente se ne tentava un'imitazione attraverso il »capitalismo di Stato . La dinamica sociale tendeva all'integrazione consumistica; la filosofia emergente nelle società industriali avanzate, a cominciare da quella americana che ne costituiva l'apice e il modello, faceva riferimento alla »fine delle ideologie e alla »depoliticizzazione dell'Occidente . Su questo sfondo dovevano anche mutare le risposte politiche, innanzitutto delle sinistre. Ovunque in Europa la socialdemocrazia tentava di adeguarsi alla nuova situazione, mentre le forze comuniste erano ferme nell'impasse che il rapporto Kruscev e il processo di destalinizzazione avevano creato. IN Inghilterra il laburismo era investito dal revisionismo gaitskelliano che accettava la società del benessere senza metterne in discussione strutture e valori. In Germania mutavano gli stessi princìpi teo

rici della socialdemocrazia riunita nel 1959 a Bad Godesberg (da »partito di classe a »partito di popolo ). In Francia, il mollettismo della Sfio era travolto, al pari dell'immobile comunismo, dall'ondata del gollismo e della riforma paternalistica tecnocratica di De Gaulle impose al paese facendo leva sulla crisi coloniale. In Italia, ultimo in ordine di tempo, l'unico socialismo europeo attestato su posizioni diverse dalla socialdemocrazia si apprestava a passare dall'alleanza con i comunisti a quella con i moderati, dall'opposizione al governo.

Specialmente in Italia, dove i comunisti avevano un solido insediamento sociale oltre che un'estesa rappresentanza politico-elettorale (22,7% alle elezione del 1958 e 24,4% in quelle amministrative del 1960), la risposta alle domande nuove della società che si cominciò a chiamare »neocapitalistica , non furono offerte dal Pci che pure aveva tenuto con l'VIII congresso un piccolo processo di revisione interna. E non si trattava soltanto delle obiettive difficoltà che il »1956 aveva creato allontanando dal partito un non piccolo gruppo di intellettuali e facendo in parte venir meno il mito che la speranza comunista di un mondo nuovo aveva suscitato a sinistra nei tempi bui e immobili della guerra fredda e dell'opprimente atmosfera clerico-moderata; ma veniva soprattutto scontata nel Pci l'inadeguatezza delle analisi basate su ipotesi di stagnazione, di penuria e di crescente miseria materiale prodotta dal capitalismo monopolistico che contrastavano con la nuova realtà. Fu così che la risposta egemone che in

sede politica assunse le sembianze della coalizione di centro-sinistra, in sede culturale si presentò sotto la forma di un'ipotesi di programma di razionalizzazione sociale affidato all'intervento pianificatorio della mano pubblica. Su questa prospettiva, che si rivelò ben presto un'illusoria speranza, convergevano sia la tradizione della sociologia cattolica, fattasi operativa attraverso la progressiva occupazione degli strumenti di gestione dello Stato (partecipazioni statali, enti di riforma, concrezioni parastatali in ogni settore) sia la cultura laica e socialista modernizzatesi con l'assimilazione delle scienze umane e sociali di quel mondo anglosassone che le aveva prodotte e adoperate in ben altro contesto.

Così una stagione particolarmente fervida di iniziative politico-culturali, di studi e ricerche, di riviste che riassumevano ed esprimevano la direzione del predominante ricercar collettivo, (13) costituì il terreno su cui la formulazione della nuova combinazione politica poté aver luogo e soprattutto poté ammantarsi di una dignità culturale che la faceva partecipe del particolare clima interno ed internazionale. La sinistra laica e socialista italiana pensò che fosse possibile una progettazione sociale facendo leva illuministicamente sulla »stanza dei bottoni (14) in una coalizione con la classe democristiana che aveva dominato la scena politica e infeudato la società italiana per tre lustri, senza tener conto della mobilitazione dei protagonisti sociali che avrebbero dovuto essere i diretti interessati a una svolta nella gestione dello Stato. Il Pci fu tenuto isolato in ragione della sua insufficiente risposta di fronte alle nuove condizioni del paese e per scelta politica e teorica che faceva la sinistra

democratica, e nella componente socialista, di recente convertitasi ad un oltranzismo »autonomista , e nella componente laica, che sceglieva il partner democristiano.

Sotto le insegne delle speranze kennediane (J.F. Kennedy, eletto presidente Usa nel novembre 1960, fu assassinato nel novembre 1963), della corsa al benessere kruscioviano, e della svolta giovannea nella chiesa di Roma (la pacem in terris di Giovanni XXIII fu promulgata nell'aprile 1963) il nuovo corso italiano contava di partecipare al generale ottimismo progressista che in Occidente si basava sul presupposto di poter agevolmente eliminare i gravi conflitti, o almeno di poterli facilmente ridurre.

Non c'è dubbio che anche i radicali fossero presi in pieno dal nuovo clima che si era creato nella seconda metà degli anni '50. Di quel clima gli ingredienti italiani erano, da un lato il superamento dei manicheismi della guerra fredda e una visione più articolata della vita politica e sociale e, dall'altro, una concezione ottimistica delle possibilità di vincere i mali antichi del paese che si erano congiunti e assommati ai problemi nuovi posti all'ordine del giorno del paese dal selvaggio sviluppo capitalistico. I radicali erano certo stati in parte artefici del disgelo acceleratosi con il »1956 e quindi ne erano uno dei risultati politici; ma, d'altro canto, l'ambiente radicale, per lo più avvicinatosi alla politica con una visione ancorata ai modelli di vita politica di una società non di massa, era portato a credere che con l'azione di pressione di gruppi politico-culturali, di giornali, con l'illuminismo idealistico coniugato alla razionalità delle soluzioni proposte, si potesse davvero mutare il cors

o degli eventi.

Accadde così che furono anch'essi progressivamente guadagnati dalla convinzione che fosse possibile una profonda svolta politica (nelle alleanze e nella formula di governo) e culturale (nella modernizzazione e laicizzazione della gestione delle strutture del paese di per sé già così trasformato). Mentre nel febbraio 1959 »Il Mondo organizzava uno dei suoi convegni »Verso il regime che nello stesso titolo metteva in guardia con durezza sull'atteggiamento democristiano, »una parte politica che, detenendo il potere in modo incontrastato, tende appunto a trasformarsi in regime, confondendo l'interesse proprio con l'interesse della generalità, sostituendo alla legge il proprio arbitrio , (15) qualche mese più tardi, pur non senza oscillazioni e sospetti, l'attenzione dell'ambiente radicale, prima ancora che al partito, si indirizzava alla possibilità di collaborare con i cosiddetti »cattolici democratici e, quindi, in favore della realizzazione del centro-sinistra. »Il problema non è né di fiancheggiare né di

opporsi pregiudizialmente ai democristiani in quanto tali, scriveva Anonimo nel »Mondo »ma soltanto di preparare con pazienza le premesse di una vera politica di centro-sinistra da realizzare con il concorso di altri . (16) E, due anni più tardi, passata oramai e assorbita la crisi Tambroni, per un altro editorialista dello stesso settimanale, il repubblicano Adolfo Battaglia, che pure faceva parte dello stesso ambiente, non v'erano più dubbi: occorreva »un insieme di forze politiche che non parlassero solo di riforme, non si limitassero a votare provvedimenti legislativi, ma fossero unite su una formula politica, sentissero la corrispondenza tra questa formula e le esigenze storiche del paese, e possedessero in sé il coraggio, la capacità, lo spirito di governo, il senso dello stato necessari per portare avanti concretamente la politica di rinnovamento . (17)

All'interno stesso del Partito Radicale l'adesione al centro-sinistra diveniva il tema politico dominante, pur se con sfumature tra le varie componenti dirigenziali. Nell'introdurre il dibattito precongressuale nel febbraio 1961 si faceva riferimento alla convergenza (limitata) »con la parte più evoluta del mondo cattolico (18) come un passo obbligato della vicenda politica italiana rispetto alla quale di misurava la stessa funzione dei radicali. Intervenendo nello stesso dibattito, Eugenio Scalfari autorevolmente indicava che il primo problema da affrontare in ordine di importanza era il rapporto tra sinistra laica e cattolici democratici insieme a quello tra socialismo e neocapitalismo; (19) mentre un laico »arrabbiato come Paolo Pavolini, che dopo le elezioni del 1958 si era scagliato contro il »paese immaturo , (20) rivendicava ora ai radicali le funzione d'essere stati la levatrice del centro-sinistra sia nei confronti dei socialisti che del travaglio della Dc »che difficilmente si sarebbe spinta tant

o avanti senza le nostre [radicali] esortazioni e le nostre campagne . (21) Quando la nuova formula sembrava ormai cosa fatta, Vittorio De Caprariis, il portavoce culturalmente più agguerrito e politicamente più conservatore dell'ala moderata del »Mondo , che pur non sottaceva di tanto in tanto le sue perplessità sul carattere tecnicistico che sottintendeva e offuscava l'alleanza tra cattolici e socialisti, esclamava in un editoriale: »la pianificazione è divenuta la "tarte à la crème" della politica italiana! , (22) metteva in evidenza il mutamento profondo che dal paese si era riflesso nelle forze politiche generando una evoluzione che »si può seguire nella stessa Dc, all'interno della quale l'esigenza di questo rinnovamento e il congiunto problema di un accordo coi socialisti sono venuti guadagnando terreno lentamente, ma sicuramente . (23)

Tutta assorbita dal tema del cosiddetto »allargamento dell'area democratica verso sinistra per »isolare i comunisti , la cultura laica nei suoi settori maggioritari e prestigiosi, quelli appunto raccolti intorno a periodici radicali come »Il Mondo e »L'Espresso , che aveva negli anni precedenti giocato la carta politica diretta e autonoma con il Partito Radicale, non si accorgeva che in Italia, non meno che negli altri paesi europei, erano nati e stavano nascendo nuovi conflitti. Questi non potevano essere affrontati con gli strumenti del gruppo di opinione né potevano essere compresi senza ripensare a fondo nel contesto della nuova società il significato dei valori del liberalismo radicale. Incalzava un moderno autoritarismo che assumeva nuove forme: in Francia con la vicenda algerina; in Germania prima ancora che in Italia con l'espandersi dello Stato e dei suoi mezzi di intervento e di integrazione; ovunque con la degradazione delle forme tradizionali della democrazia parlamentare per cui si imponevano

modi più organici per controllare la società in mutazione.

Di tutto questo le forze laiche con i radicali si preoccuparono ben poco. E' lo stesso Vittorio De Caprariis, il più dotato interprete teorico del liberalismo, a sostenere apertamente che il ruolo e la funzione di quest'area culturale e politica non poteva che essere legata ad un formula: »le forze del centro-sinistra laico sanno benissimo che il problema di una svolta nella politica italiana è nelle cose; e sanno pertanto che la loro sopravvivenza come forze politiche è legata alla soluzione di quel problema . (24)

3. "Le nuove opposizioni in Europa"

Da parte di alcuni è stata posta in tempi recenti la questione della continuità e dell'eredità dei nuovi radicali rispetto ai »vecchi radicali. (25) Si deve riandare all'inizio degli anni '60 per esaminare le diversità di atteggiamento politico e teorico da una parte degli ambienti del primo Partito Radicale, e dall'altra dei nuovi radicali nei confronti delle mutazioni strutturali italiane e degli aspetti politici che ne conseguirono. E' di fronte a quei due nodi che uomini della medesima tradizione ideale, la democrazia liberale, anche se di diverse generazioni, ruppero quell'assai precario punto di convergenza che li aveva tenuti politicamente uniti nel Partito Radicale e scelsero di percorrere strade diverse e distinte: l'una del moderatismo laico-liberale e l'altra della rivoluzione democratica e liberale. Le scelte a quel tempo compiute e fondate su divergenze di analisi, avrebbero portato quella che allora si chiamava »sinistra radicale a cominciare a dar corpo a una nuova ipotesi politica: nuova ne

lla strategia, nuova nei metodi e nel modo stesso di far politica, anche se gli oggetti politici su cui si indirizzava la nuova azione erano per tanti versi i medesimi della precedente tradizione liberaldemocratica e radicale.

Del resto non si può comprendere il distacco del nuovo radicalismo dal vecchio se non lo si considera nel contesto della nascita di nuove opposizioni ai regimi moderati e, più in generale, delle situazioni di conservazione e di nuovo autoritarismo strisciante un po' ovunque in Europa. Tali opposizioni erano nuove anche perché, nate sia dal filone marxista che da quello liberale e cristiano, si posero al di fuori delle organizzazioni politiche delle due maggiori famiglie politiche della sinistra, la comunista e la socialdemocratica.

Quei fermenti che di volta in volta si presentarono sotto forma di rivolte, di specifiche campagne, di agitazioni, di movimenti, di lotte o frammenti di lotta, e di ricerca e dibattito, furono sia di ordine teorico sia legate all'azione, in entrambi i casi per scoprire e portare in primo piano realtà nuove che non erano state comprese nella politica delle sinistre ufficiali.

Al primo tipo (teorico), in Italia come altrove, e forse prima che altrove, va ricondotta la tendenza di quegli anni di »tornare a Marx riscoprendone e rileggendone i messaggi ignorati, nell'urgenza di trovare delle ragioni da opporre alla tendenza di ``integrazione'' della classe operaia e alle sconfitte delle sue organizzazioni politiche e sindacali. Nel nostro paese si cominciò a indagare sulla mutata realtà di fabbrica insieme con lo studio teorico (revisione e rilettura) di Marx e di altri marxisti della linea libertaria e consiliare: nascevano così intorno a Raniero Panzieri i »Quaderni Rossi , (26) primo sintomo del lavoro di inchiesta che precedette i movimenti di insorgenza operaia di molti anni successivi.

Al secondo tipo (azione) appartenevano invece quelle nuove sinistre che si sviluppavano intorno a movimenti specifici con matrici più complesse, e comunque sempre orientate nella pratica dell'azione politica. Fu così che la "Campagna per il Disarmo Nucleare" (Cnd) rappresentò la nuova sinistra inglese in atto (1958-1963), e la resistenza alla guerra algerina, il movimento degli insubordinati e dei refrattari e le reti Jeanson, quella francese (1958-1962). (27)

Erano queste ultime due delle situazioni in cui, di fronte a contraddizioni nuove (la Bomba e le ripercussioni del colonialismo nella metropoli), nascevano risposte politiche organizzativamente estranee alla sinistra tradizionale; e né i socialdemocratici né i comunisti seppero, allorché si manifestarono, cogliere tutto il senso di dirompente mobilitazione che si era avuto in Inghilterra e di scontro cruciale che si verificava in Francia. Ambedue questi movimenti rappresentavano anche e specialmente dei modi nuovi di far politica non mediati dalle grandi organizzazioni che si riteneva fossero divenute burocratiche. Di più, nel movimento francese si ritrovavano uomini di provenienza laica e cristiana, socialista e liberale, marxista e libertaria, i quali tutti, su quello specifico nodo in cui si scontravano momenti di autoritarismo e momenti di libertà, ridefinirono posizioni, analisi e schieramenti, ponendo le premesse, non tanto politiche quanto ideali, dei motivi di fondo del movimento extraparlamentare de

l maggio 1968. In inghilterra, il movimento antiatomico rappresentò a sua volta un momento di mobilitazione di massa (un vero e proprio movimento spontaneo e collettivo) a carattere liberale e umanista, nel senso della profonda contestazione della nuova razionalità tecnologica e della società del benessere che oltrepassava di gran lunga il motivo specifico per cui era sorto. Sia in Inghilterra che in Francia, le risposte dei movimenti della nuova sinistra furono, ognuna secondo la propria tradizione storica, le risposte di un modo nuovo d'essere liberali (e socialisti) di fronte ai grandi temi che l'Occidente aveva davanti e a cui le forze tradizionali del progresso e della libertà nelle loro organizzazioni storiche non erano in grado di far fronte.

La sinistra radicale in Italia era anch'essa parte consapevole dell'emergenza delle nuove opposizioni a partire da lotte specifiche e non da rivisitazioni teoriche. Non era soltanto la comunanza di temi (per esempio, disarmo e pacifismo) e neppure l'affinità nei modi di affrontare la politica (impegno militante) che accomunava il piccolo gruppo radicale italiano alle più importanti esperienze europee. Si trattava, più in generale, di un comune stato d'animo, (al meglio, di una comune analisi) di fronte al nodo centrale delle nuove società europee che si trovavano, tutte, a dover fare i conti con possibili tendenze autoritarie dovute alla crescita degli strumenti tecnici e razionali di intervento, di manipolazione sociale e di integrazione nella presunta società del benessere.

La risposta del gruppo radicale italiano assunse così, anch'essa, il significato di una ridefinizione politica di ciò che dovesse significare in quel nuovo contesto »fare davvero (oltre che »essere ) i liberali, di come cioè dovevano essere individuate forze e strutture di libertà contro quelle della non-libertà, quali soggetti storici potevano per le loro condizioni materiali assolvere un ruolo di rinnovamento e quali istituzioni del potere dovevano essere individuate come pericoli per la democrazia e quindi essere combattuti.

4. "L'eredità del movimento goliardico"

Nel momento della divaricazione tra vecchi e nuovi radicali, è d'obbligo domandarsi dove, quando e in che cosa traeva origine politica e ideale il gruppo di sinistra radicale, e come esso manifestò quelle posizioni che furono all'origine dell'intera vicenda dei nuovi radicali nel successivo ventennio.

Non c'è dubbio che il patrimonio radicale - nella linea radicali lombardi di fine '800, Salvemini, Gobetti, Giustizia e Libertà, Carlo Rosselli uomo d'azione politica più che teorico, Partito d'Azione, il Croce della religione della libertà, Ernesto Rossi - appartenesse appieno alla sinistra radicale non solo sul piano storico-ideale ma su quello politico delle posizioni che il Pr aveva rappresentato dalla sua costituzione. Ma v'erano stati altri esperimenti ed esperienze politici che avevano segnato i più del piccolo gruppo iniziale di sinistra radicale (28) insieme ad altri giovani che poi avrebbero continuato altrove la propria milizia politica (29): era l'esperienza della Unione Goliardica Italiana e della politica universitaria.

Molti degli atteggiamenti generali nel far politica e delle valutazioni nei confronti delle principali correnti politiche e culturali del paese derivavano dalla presenza laica nella università che era stata fin dal 1949 un fenomeno originale, relativamente largo pur nell'ambito di una vicenda che aveva interessato non più di qualche decina di migliaia di universitari. Di lì proveniva, ad esempio, il senso della concezione dell'autonomia di ciascun momento politico nei confronti di dipendenze e egemonie: »autonomia, non è il solo prodotto della collaborazione, ma è un'intima qualità di ciascun gruppo , (30) aveva detto Marco Pannella nella replica come presidente dell'Unuri nel congresso dell'Unione nazionale degli universitari del 1957, sviluppando l'affermazione che »Ugi e Intesa non possono conservare a lungo i dati corrispettivi della vita del paese, mondo laico e mondo cattolico ufficiale . (31)

Per un decennio la politica universitaria aveva rappresentato una sfera fortemente autonoma rispetto agli equilibri politici del paese; e in particolare la forza laica dell'Ugi non era per nulla stata la trasposizione meccanica dei partiti laici minori (Pli, Pri, Psdi), ma un momento vissuto nella sua specifica esperienza intorno a cui si formavano ragioni di unità, di convergenza e di divisione. Lo sottolineava Brunello Vigezzi in un lucido saggio sui »goliardi : »La polemica iniziale, più istintiva che meditata, dell'Ugi verso le ingerenze dei partiti nella vita universitaria si era mutata in un giudizio consapevole nei loro confronti. Nel tentare un'opera di moderno rinnovamento dell'istituto universitario si era visto anzitutto come ad essa rimanessero intimamente estranei i partiti; come nessuno di essi fosse capace, non a caso, di un'iniziativa concreta in questo senso. La polemica con gli altri gruppi universitari, in quanto subissero passivamente influenze estranee, aveva rassodato questa convinzione

. Si manifestava nei partiti, così com'erano costituiti in Italia, una frattura tra cultura moderna e azione politica: di qui la loro incapacità a proporsi in modo efficace il problema della scuola . (32)

La formula che espresse nell'Ugi tale metodo, »non unità delle forze laiche ma unità laica delle forze come fondamento della democrazia , simboleggiava la lontananza da qualsiasi concezione terzaforzista dei partiti minori e affermava invece come valore il metodo laico del modo in cui si sta insieme piuttosto che la matrice ideologica. Giorgio Festi, un esponente dell'Ugi, ricordava al congresso di Firenze del 1952 come in Italia fosse mancato il contributo civile e culturale dell'associazionismo rispetto alla preponderanza del partitismo: »L'associazione non ha potuto fiorire perché ha trovato un terreno inadatto, finendo sempre assorbita o distrutta da interessi e privilegi superiori. Il difetto si ripropone oggi e noi goliardi lo chiamiamo partitocrazia. Le associazioni non esprimono mai una loro originalità e aderiscono alle influenze dei partiti, li fiancheggiano per trovare una ragione di continuità e di forza. Il difetto non è nei partiti ma nell'assenza di una precisa responsabilità civile delle nost

re organizzazioni, in definitiva nell'umiliante mancanza di autonomia . (33)

L'associazionismo e le modalità laiche del suo organizzarsi contro il partito-chiesa e contro il partito onnicomprensivo sarebbero stati una riscoperta cardine del nuovo Partito Radicale, che avrebbe ricercato con ostinazione modalità di unità a sinistra rifiutandone costantemente le collaudate forme »frontiste , sia nelle singole manifestazioni che nell'organizzazione di movimenti specifici. Del resto il movimento universitario laico aveva saputo guadagnarsi su queste linee un'effettiva egemonia nella prima metà degli anni '50; e tale successo ebbe probabilmente influenza nella convinzione dei nuovi radicali di potere ripetere, anche nel paese, dopo dieci anni, ciò che si era verificato nell'università, e cioè affermare un vigoroso "movimento" laico e non solo una "posizione" laica.

I laici dell'Ugi affermarono, nel rapporto con le componenti cattolica e comunista (per altro così quantitativamente predominanti nel paese), dei modi originali di incontro e scontro che si sarebbero ritrovati appieno nelle successive ipotesi politiche radicali. La collaborazione con i cattolici fu ricercata dall'Ugi nei momenti di base (e quindi più nell'ambito dei cattolici della Fuci che non in quello dei democristiani) come confronto di effettive esperienze associazionistiche originali e nel rifiuto delle mezzadrie di potere. Ai comunisti e ai socialisti, loro alleati di allora, l'Ugi offrì l'apertura delle proprie associazioni chiedendo al singolo studente l'accettazione del metodo democratico, senza intese che passassero attraverso i partiti, secondo un'impostazione che risultò vincente, tanto che lo stesso gruppo universitario del Pci e del Psi, il Cudi, si sciolse nel 1957, invitando i propri soci a confluire individualmente nell'organizzazione unitaria laica e di sinistra.

Un'impostazione assai simile a quella delle associazioni ugine, basata non su criteri organizzativistici o ideologici ma su forme aperte, si sarebbe quindi ritrovata sia nei movimenti e leghe promossi dai nuovi radicali sia, specialmente, nei dibattiti statutari radicali. Quando, per esempio, il movimento divorzista si organizzò nel 1966 nella Lid, anche quella Lega si sarebbe presentata come un'organizzazione che non giustapponeva i rappresentanti di forze laiche, ma come un momento autonomo che si basava sul metodo del lavoro comune intorno a obiettivi concreti, un metodo offerto e richiesto a »gente di cui non erano discriminate né l'origine politica né l'appartenenza ideologica. Infine gli stessi concetti che ispiravano l'associazionismo dell'Ugi e il suo carattere laico furono riversati nel dibattito sullo statuto del primo Partito Radicale (1956) da parte della componente giovanile; e poi, giunti a maturazione politica, nello statuto che il nuovo Pr si dette nel 1966, basato sul modello federativo, su

un'adesione limitata nel tempo e su un programma di lavoro annuale, senza preclusione ideologiche, quasi un patto per battaglie da fare in comune circoscritto nei doveri e dotato di larghe zone di autonomia.

5. "La sinistra radicale"

Il primo segno esterno della sinistra radicale fu l'apparizione nel »Paese del marzo 1959 di un articolo di Marco Pannella su »Sinistra democratica e Pci (34) che riprendeva argomentazioni già sostenute all'interno del partito in diverse occasioni. In quello scritto polemico sia rispetto alle tesi radicali allora correnti, sia nei confronti del Pci, venivano posti i due temi centrali che avrebbero caratterizzato successivamente, nell'isolamento, la strategia dei nuovi radicali: la necessità di un'alleanza di tutta la sinistra, compreso il Pci, e la formulazione di una proposta di candidatura al potere della sinistra attraverso un'»alternativa democratica di governo .

»Sono le cose in Europa a porre in modo drammatico l'interrogativo: se sia possibile l'alleanza della sinistra democratica e di quella comunista per la difesa e lo sviluppo della democrazia , affermava Pannella; e, nel rispondere personalmente in maniera positiva, egli sviluppava l'ipotesi strategica dell'alleanza non sottacendo, ma al contrario mettendo in evidenza, le sostanziali diversità e quindi la necessità di un confronto tra la concezione comunista e quella democratica, con il mantenimento dell'autonomia di quest'ultima. Il dialogo tra sinistra democratica e comunisti era quindi visto non già come il presupposto di un'alleanza frontista (nella linea degli anni trenta e del '48) ma in positivo come possibile piattaforma di alternativa riformatrice di governo che sapesse porsi nell'orizzonte europeo e avesse come interlocutori effettivi le socialdemocrazie e di sindacati europei.

Allora quella posizione era considerata eretica sia sul piano teorico dell'apertura di una discussione con i comunisti da parte delle forze della sinistra democratica tutte proiettate nella strategia dell'isolamento comunista, sia sul piano politico, per il fatto di indicare un'alternativa nei confronti dell'emergente proposta di centro-sinistra. Gli ambienti radicali liquidarono perciò affrettatamente l'apertura della questione (a cui pure replicò Togliatti), sostenendo in un fondo del »Mondo , significativamente intitolato »L'alleanza dei cretini , che non si vedeva bene la ragione per cui »i democratici dovrebbero dar peso alle tesi di un radicale che ripete per caso su un giornale comunista le tesi che il Pci cerca di diffondere da anni. Meglio discutere, nonostante tutto, con l'on. Togliatti . (35)

All'interno del partito, la sinistra portò ufficialmente le sue tesi a un consiglio nazionale del novembre 1960 (36) con un documento che si articolava in quattro sezioni, ognuna delle quali affrontava quelle che apparivano le questioni cruciali su cui qualificare una politica radicale. La prima, sui »rapporti con il mondo cattolico e per l'abolizione dell'art. 7 , affermava che »nel 1960, la tesi dell'incontro tra masse cattoliche e quelle progressiste e moderne non può essere più ritenuta sufficiente, adeguata e rispondente agli interessi obiettivi del nostro paese, né conseguente con gli avvenimenti degli ultimi anni . Nel contestare il fatto che dovessero essere »le forze cattoliche a dirigere comunque qualsiasi processo di radicale mutamento della situazione , metteva in risalto la funzione politica di coagulo intorno al mondo cattolico degli interessi non solo della Chiesa »ma della classe capitalista e reazionaria , e respingendo il centro-sinistra proponeva un'iniziativa rivolta unitariamente a tutta

la sinistra per la »costituzione di un comitato nazionale di difesa dello Stato e per l'bolizione dell'art. 7 della Costituzione .

Nella seconda, sul »significato dell'alleanza del Pr con il Psi e della volontà di perseguire una politica di ``sinistra democratica'' , si respingevano le interpretazioni che volevano l'alleanza tra socialisti e radicali (ampiamente verificatasi nelle amministrative del 1960) come l'incontro dei ceti intellettuali e borghesi con le forze popolari, e veniva affermato che il »Pr fa parte integrante di queste ultime: ne condivide la sorte, le volontà, i problemi; ne interpreta gli ideali e, autonomamente, ne elabora gli obiettivi politici in termini di religione della libertà, di rispetto del dialogo, di aspirazione democratica, di volontà rivoluzionaria . Quella che veniva messa in questione era la concezione della rappresentanza politica in termini di ceti che voleva i radicali espressione della »borghesia liberale e artefici di »operazioni paternalistiche nei confronti delle necessità rivoluzionarie e socialiste della lotta politica , invece che come l'espressione di una politica unitaria delle forze di si

nistra che si era concretata in una alleanza elettorale.

Nella terza sezione, il documento ricordava l'insurrezione ungherese che richiedeva »ai democratici di ogni paese e di ogni dottrina il compito di cercare e imporre quelle soluzioni ai problemi del nostro tempo, che si mostrino capaci di risolvere in concrete conquiste liberali e rivoluzionarie le aspirazioni e i gesti di libertà degli individui e dei popoli , proprio nel momento in cui si postulava l'apertura di una discussione con i comunisti in vista di una possibile e necessaria alleanza.

Infine, nella quarta proposta di dichiarazione, dedicata alla »politica per la pace , si prendevano le distanze dalla tradizionale politica estera occidentale delle sinistre democratiche e si polemizzava con coloro che non erano sufficientemente attenti »ai movimenti e classi dirigenti, idee e partiti che hanno una profonda vocazione autoritaria e bellicista . Il distacco dal modo in cui forze di ispirazione liberale concretavano la loro politica internazionale appariva netto: »coloro che hanno rappresentato per decenni l'idea e la volontà liberali sembrano colpiti da una disperata logica rinunziataria e di abbandono; il mondo occidentale, in una errata preoccupazione di efficacia nella competizione che lo confronta al mondo orientale e afro-asiatico, sempre più cerca di difendersi attraverso una politica di potenza che si esprime con il colpevole sostegno a regimi e classi dirigenti fascisti, clericali e reazionari . Venivano quindi indicati in positivo una serie di obiettivi: »la federazione europea da per

seguirsi immediatamente attraverso elezioni dirette; il disarmo atomico e convenzionale dell'intera area continentale europea con la conseguente abolizione degli eserciti nei paesi di quest'area; la pace separata e congiunta con le due Germanie; la conseguente denuncia del patto militare Nato e dell'Ueo; la proclamazione del diritto all'insubordinazione e alla disubbidienza civile...; la federazione o comunque la comune organizzazione di tutti i movimenti socialisti, popolari e rivoluzionari... nell'Europa occidentale .

All'inizio del 1961 la prospettiva del centro-sinistra era quasi cosa fatta, e il Partito Radicale vi si inseriva in pieno. La sinistra radicale si presentò al secondo congresso del partito (maggio 19619 avendo approfondito e sviluppato nel dibattito precongressuale le proprie tesi. Pannella, pur auspicando soluzioni unitarie del congresso, ribadiva »che quel che ci divide non sono solo diversità di metodo, ma anche diverse valutazioni sulla sostanza della battaglia politica che conduciamo e sulla funzione della nostra autonomia nell'ambito della lotta della sinistra italiana contro il clericalismo, i nazionalismi di vario tipo, i padroni del vapore e la manomissione classista dello Stato ; (37) Pergameno indicava due direttive di politica immediata per i radicali: »Primo, iniziare la battaglia per la federazione europea con l'unione dei partiti del centro-sinistra in Europa; secondo, tentare di realizzare in Italia un governo psdi, Pri, Psi e Radicali con appoggio esterno dei comunisti ; (38) e Mario Cattan

eo, denunziando lo scivolamento delle posizioni del Pr verso la collaborazione con la Dc, chiedeva »noi vogliamo una politica di alternativa, di opposizione, vogliamo preparare un'alleanza di sinistra democratica in questa direzione: né Dc né Pci (39) accentuando la funzione autonoma dei radicali nel proporre soluzioni per i problemi.

Quel secondo e ultimo (del primo partito) congresso radicale non solo si concluse senza soluzioni unitarie, come chiedeva la sinistra, ma con l'esclusione di quest'ultima, anche come minoranza, dall'organo centrale, il consiglio nazionale, grazie a un gioco di votazioni organizzate dalla maggioranza. (40) Tali avvenimenti interni, oltre a quelli della scena politica del paese, accelerarono il processo d'organizzazione del gruppo in corrente, prima forse di quanto il gruppo stesso fosse preparato a fare. A ottobre 1961 uscì il primo numero di »Sinistra Radicale , (41) bollettino mensile di informazione politica che fu pubblicato per un intero anno. Il primo editoriale si apriva con una secca dichiarazione: »No al centro-sinistra, un no definitivo, severo ma chiaro (42) che voleva essere in negativo il programma politico. Quel rifiuto si inquadrava in una visione europea che individuava nell'opposizione tra benessere materiale da un lato e sviluppo delle risorse democratiche per ribellarsi dall'altro, l'alter

nativa di fronte alle sinistre. »Lentamente , proseguiva l'editoriale »artificialmente, vengono posti al centro della vita politica obiettivi tecnici a soluzione obbligata, per seppellire quelli "politici" che i radicali hanno avuto il merito di imporre all'attenzione del paese; si assumono per fini, strumenti che possono servire idee e finalità contrapposte . (43)

L'attenzione del gruppo era rivolta ai fenomeni nuovi in sviluppo in Europa che si opponevano alla depoliticizzazione e tecnicizzazione della politica. Tra questi ebbero particolare rilievo le nuove opposizioni francesi a cui »Sr dedicò ben tre servizi d'apertura: Jacques Vergès, difensore degli algerini, presentava nel n. 2 la proposta di una »Norimberga per i crimini colonialisti ; il n. 3 era aperto da un editoriale di Vercors sul modo di essere »partigiani nella nuova situazione, scritto per la nuova rivista »Partisans sequestrata; e nel numero 6 era riprodotta, dopo gli accordi di Evian, un'intervista con quel Francis Jeanson che era stato a capo delle reti di insubordinazione durante la guerra coloniale. L'attenzione alla nuova sinistra francese aveva ragioni soggettive oltre che oggettive: Marco Pannella, in quel periodo residente in Francia, (44) era in contatto politico con gli ambienti dei nuovi resistenti e costituiva quindi il canale attraverso cui veniva trasmessa al gruppo italiano una parti

colare sensibilità per lo scontro cruciale in atto oltralpe, uno scontro che assumeva valore per l'intera Europa e offriva significativi indizi sulle posizioni e sugli atteggiamenti dell'intera sinistra.

Insieme con l'occhio rivolto al quadro europeo, »Sr sviluppava il tema del disarmo e del pacifismo che allineavano il gruppo italiano ad analoghe iniziative di altri paesi (Cnd inglese e Comitato dei cento, antinucleari americani, pacifisti svizzeri) e rendevano più netta la differenziazione sia dal lealismo atlantico dei radicali del »Mondo , sia dai generici atteggiamenti neutralistici propri, fino a un certo tempo, dei socialisti e dei loro simpatizzanti. Le proposte internazionali del gruppo venivano ripetutamente espresse da Giuliano Rendi che fungeva in quel periodo da nome di punta per quei temi sia nell'approfondimento della posizione che nella sua pubblicizzazione in iniziative politiche esterne. »Si combatte per la pace oggi scriveva Rendi »da un lato impegnandosi per il disarmo e per la distensione, dall'altro per la lotta al colonialismo e lo sviluppo del potere sovranazionale dell'Onu e dell'ammissione della Cina a esso... L'obiettivo centrale perciò è un piano di disarmo, atomico e convenzion

ale, sul piano europeo, dai confini dell'Unione Sovietica alla Manica . (45)

Alla proposizione di una linea politica facevano riscontro anche iniziative specifiche o proposte dei rappresentanti della sinistra radicale: essi partecipavano alla prima marcia della pace tenutasi in Italia (Perugia-Assisi, settembre 1961) e poi alla marcia dei Cento Comuni (Camucia-Cortona, marzo 1962); si facevano parte promotrice della Consulta Italiana per la pace in cui convergevano insieme con il Movimento per la pace di ispirazione comunista e il gruppo pacifista nonviolento raccolto intorno ad Aldo Capitini; costituivano un proprio »Comitato per il Disarmo Atomico e Convenzionale dell'Area Europea ; erano parte attiva al convegno nazionale sui problemi del disarmo (Firenze, maggio 1962) in cui Giuliano Rendi tenne una delle relazioni insieme a quelle di Lucio Libertini, Velio Spano, Aldo Capitini, Paolo Vittorelli e Giovanni Favilli; andavano a Mosca per il Convegno Mondiale per il Disarmo generale e la Pace, e a Oxford come membri della Confederazione internazionale per la pace e il disarmo che ra

ggruppava movimenti pacifisti, antiatomici e di nuova sinistra dell'Occidente.

Proprio sui temi della pace e del disarmo, in quegli anni all'ordine del giorno della scena internazionale, la sinistra radicale tentava un rapporto unitario con l'intera sinistra e in particolare con i comunisti, pur sostenendo una propria posizione autonoma che riprendeva in Italia quella di analoghe iniziative eterodosse di altri gruppi e movimenti occidentali. L'atteggiamento dei radicali di fronte al Pci, si basava sulla ricerca di momenti di convergenza su iniziative specifiche, con l'intenzione di conservare al massimo l'autonomia e di esplicitare le ragioni critiche di diversità sui singoli temi delle posizioni radicali da quelle comuniste.

Tale politica dell'unità critica a sinistra veniva concretamente sostenuta, oltre che nelle organizzazioni e iniziative per la pace (Consulta Italiana per la Pace), anche in quelle per scuola (Adesspi), per l'università (Ugi), e nella politica degli enti locali (Lega dei Comuni Democratici, in cui erano entrati, accanto a socialisti e comunisti i radicali Piccardi e Villabruna, in contrasto con il gruppo del »Mondo ). Più in generale, mentre nel paese si andava realizzando il primo governo di centro-sinistra (Fanfani, 10 febbraio 1962), la sinistra radicale enunciava l'ipotesi strategica del rapporto con i comunisti e la natura che esso avrebbe dovuto assumere: »Nel suo precario equilibrismo la vita politica italiana non offre in realtà differenti sbocchi a una autentica ripresa di sviluppo liberale. Di fronte a una nuova Ungheria, di fronte al ricatto atomico, noi sappiamo bene qual è il nostro posto; e lo sanno bene anche i comunisti. Ma portino avanti questi ultimi il processo di destalinizzazione e il ri

fiuto della politica dei blocchi, fino alle estreme conclusioni, e noi, come diceva Salvemini, ``colpiremo uniti''. C'è di più: noi affermiamo che spetta a noi democratici, non meno che ai comunisti, il compito di portare avanti questo processo di avvicinamento della democrazia politica del comunismo e di ricondurre la tematica essenziale ai valori storici dell'Europa occidentale. Questo processo, difficile e dialetticamente complesso, è per noi già cominciato. Voler affermare che la meta è lontana è solo un modo per allontanarla e negarla . (46)

L'iniziativa verso l'esterno si accompagnava, per la sinistra radicale, all'azione all'interno del Partito Radicale il quale, dopo il congresso del maggio 1961, si andava progressivamente dividendo e disgregando. Nel novembre 1961 i due gruppi di maggioranza presenti nella direzione e nella segreteria entravano in conflitto, rivolgendo gli uni (facenti capo a Leone Cattani) l'accusa al maggior esponente degli altri (il segretario nazionale Leopoldo Piccardi) di eccessivo dinamismo a sinistra. Così commentava »Sinistra Radicale ponendosi fuori da quel dissidio: »Il dissenso di fondo più che in termini politici si è manifestato sul terreno della competizione e delle incompatibilità personali. La direzione si sta dividendo fra una posizione di accentuato filo-socialismo e una posizione di attenuato lamalfismo senza che da una parte e dall'altra si riesca a definire al di là delle preoccupazioni tattiche e di schieramento (valide ma relative) le ragioni di una consistente autonomia del Partito Radicale . (47)

Nel frattempo la sinistra, che si muoveva in difesa del partito, conquistava la maggioranza in alcune situazioni locali, come a Roma, dove entrava a far parte degli organi dirigenti, e a Milano. (48) Facendo leva sul cosiddetto »caso Piccardi , intervenuto dopo e non prima l'accentuarsi dei contrasti tra i due gruppi maggioritari, il portavoce dei moderati Leone Cattani assumeva nel febbraio 1962 la segreteria del partito, mentre il prestigioso Ernesto Rossi abbandonava dopo oltre un decennio la sua rilevante collaborazione al »Mondo . I direttori dei settimanali ritenuti espressione dell'ambiente radicale, Mario Pannunzio del »Mondo e Arrigo Benedetti dell'»Espresso si erano dimessi dal partito dando il via al processo di liquidazione che trovava il culmine il 25 marzo 1962 con l'abbandono del partito dello stesso segretario nazionale Leone Cattani.

Allorché furono indette le elezioni comunali di Roma, per il 10 giugno successivo, la sinistra ormai quasi sola nel partito se ne assunse interamente la rappresentanza presentando una lista di bandiera il cui peso politico era sostenuto da Marco Pannella, Giuliano Rendi, Gianfranco Spadaccia, Massimo Teodori e Angiolo Bandinelli. (49) Dopo qualche mese, nell'autunno 1962, anche Bruno Villabruna (che nel frattempo aveva assunto la segreteria), Leopoldo Piccardi e gli altri esponenti del suo gruppo che erano rimasti formalmente nel partito, si ritirarono; e alcuni di essi diedero vita, sotto l'impulso di Ernesto Rossi, al »Movimento Salvemini .

Nel corso di alcuni mesi (marzo-ottobre 1962) si erano praticamente ritirati quasi tutti coloro che avevano costituito il Partito Radicale nel 1955: i piccardiani, i laici moderati che tentarono senza alcun seguito un'»Unione Radicale degli Amici del Mondo , il gruppo dei giovani non di sinistra (Rodotà, Ferrara, Jannuzzi, De Mauro, Mombelli, Craveri), Ernesto Rossi e Eugenio Scalfari e, insieme a loro, la maggior parte dei soci attivi nazionalmente e localmente. La sinistra radicale, da sola, si assunse il compito di ereditare la sigla radicale con il simbolo del berretto frigio.

Nell'editoriale del suo ultimo numero »Sinistra Radicale così indicava il problema che si poneva al gruppo sotto l'emblematico titolo »Che fare? : »Mentre gran parte di coloro che l'hanno condivisa rifluiscono oggi su posizioni moderate e finiscono per adattarsi al ruolo di tecnici di questo o quel gruppo di centro-sinistra, mentre molti altri, scoraggiati da tanti abbandoni, si allontanano da un così originale impegno politico, per quanto ci riguarda noi non siamo disposti alla rinuncia. Nell'esprimere la volontà di continuare sulla linea radicale, non ci nascondiamo il fatto che noi stessi siamo stati coinvolti nella crisi del partito, e che non abbiamo soluzioni già pronte per proseguire... Crediamo infatti, di fronte alle nuove chiusure che la situazione politica italiana sembra presentare e nel grave quadro europeo che si va sempre meglio delineando, che minoranze ``laiche'' attive e decise, schierate sui grandi problemi "civili" oltre che economici, "morali" oltre che tecnici "ideali" oltre che realis

ti, possono giocare un grande ruolo rivoluzionario insieme alle forze tradizionali della sinistra proletaria e socialista . (50)

"Note"

1 Intervento di Leo Valiani al II Congresso nazionale del Partito, Roma, 23-24 giugno 1956, in "il Partito Radicale e la situazione politica", a cura del Pr, 1956, p. 30.

2 "Ibidem, p.32.

3 Basti ricordare qui soltanto i titoli dei maggiori »Convegni del ``Mondo'' : "La lotta contro i monopoli" (marzo 1955), "Petrolio in gabbia" (luglio 1955), "Processo alla scuola" (febbraio 1956), "I padroni dell città" (aprile 1956), "Atomo e elettricità" (gennaio 1957), "Stato e Chiesa" (aprile 1957), "Stampa in allarme" (febbraio 1958), "La crisi della sinistra" (aprile 1959), "Verso il regime" (febbraio 1959), "Le baronie elettriche" (marzo 1960).

4 Da "Un programma radicale", a cura dell'ufficio stampa del Pr, pubblicazione per le elezioni del 20 giugno 1956.

5 Ernesto Galli della Loggia, "Ideologie, classi e costume", in "Italia contemporanea 1945-1975", a cura di Valerio Castronovo, Einaudi, Torino pp. 414-415.

6 La lista dell'"Alleanza radical-repubblicana" (presentatasi con il simbolo foglia d'edera Pri-Pr) ottenne 405.782 voti pari all'1,4% arretrando rispetto all'1,6% conquistato dal solo Pri nelle elezioni politiche del 1953. Tra i sei deputati eletti non risultò nessun radicale nonostante che fosse risultato chiaro, dall'analisi dei voti di preferenza, il contributo di quest'ultimi soprattutto nei grandi centri urbani come Roma, Milano, Torino, dove i candidati del Pr risultavano in testa alla lista (a Roma, i primi dei non eletti).

7 Per un'idea del numero e della qualità dei firmatari del manifesto radicale, vedi »Per un partito moderno , editoriale del »Mondo del 24 gennaio 1956, in occasione del I convegno nazionale, 4 e 5 febbraio 1956, a cui facevano seguito una lettera di Guido Calogero e una di Leopoldo Piccardi. In quella lista di aderenti e in altre successive erano talvolta inseriti d'ufficio anche nomi di intellettuali non iscritti al partito ma considerati parte dell'ambiente radicale.

8 Nella relazione politica della giunta esecutiva al I congresso nazionale del Pr (Roma 27 febb.-1· marzo 1959) si poteva leggere: »...Da ciò deriva la nostra costante opposizione ai governi di coalizione che si sono susseguiti e in cui nessuno è riuscito a condizionare il predominio della Dc... La vittoria della Dc, per quanto non assoluta, ha notevolmente rafforzato il pericolo della sua trasformazione in regime. Perciò tutte le nostre istanze sono rimaste valide, da quelle di un'intransigente opposizione all'invadente clericalizzazione, fino al restauro dell'impero della legge, minato dalla crescente espansione del sotto governo clericale, fino alla necessità di combattere e modernizzare tutta la nostra struttura economica... [La maggioranza autonomista del Psi], abbandonate le lusinghe dell'apertura a sinistra, si è dichiarata decisa a operare sulla linea di un'alternativa che raccolga nell'esercizio dell'opposizione costituzionale, le forze capaci di affrontare e risolvere i grandi problemi della vita n

azionale . Ciclostilato a cura del Pr, 1959.

Vedi anche: Anonimo, »I radicali e gli altri , nel »Mondo , 10 marzo 1959, in cui si afferma che i radicali dovevano restare saldi nelle loro posizioni »per rovesciare o almeno ridurre di molto il potere della Dc, per creare un largo fronte fra le forze democratiche di sinistra laica e socialista, per avversare ogni convergenza fra le opposizioni costituzionali e quelle sovversive .

9 "Prospettive di una politica economica", convegno organizzato da: »Il Mondo , »L'Espresso , »Critica Sociale , »Mondo operaio , »Nord e Sud , »Il Ponte , Roma, 28-29 ottobre 1961.

10 Nelle elezioni amministrative del novembre 1960, a eccezione di Torino dove la lista autonoma con il simbolo radicale elesse a consigliere comunale Bruno Villabruna, nelle altre città principali furono eletti 51 consiglieri comunali e 1 consigliere provinciale in liste di alleanza Psi-Pr. A Roma furono eletti i radicali Leopoldo Piccardi, Antonio Cederna e Arnoldo Foà; a Milano, Eugenio Scalfari, Alessandro Bodreo, Sergio Turone e Elio Vittorini.

11 Il »caso Piccardi , fu sollevato dal gruppo dei radicali che si raccoglieva nel »Mondo , in seguito alla notizia contenuta nel libro dello storico Renzo De Felice ("Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo") della partecipazione a due convegni italo-tedeschi in cui si toccavano temi razziali svoltisi negli anni 1938-1939. Il modo di partecipazione del Piccardi (se come relatore o no) è rimasto sempre controverso; Ernesto Rossi e Ferruccio Parri presero a più riprese le difese del Piccardi sostenendo che egli aveva fornita la »documentazione di non aver partecipato alla redazione della nota relazione ( su "Razza e Diritto", N.d.A.) e di non averla sottoscritta .

12 Giovanni Ferrara, "La gioventù radicale", »il Veltro , anno VIII, febbraio-aprile 1964, n. 1-2, p. 131.

13 Basti pensare al numero di riviste fondate in questo periodo: »Ragionamenti (1957), »La città futura (1956), »Tempi Moderni (1959), »Passato e Presente (1958), »Officina (1955), »Opinione (1956), »Rendiconti (1956).

14 L'espressione »stanza dei bottoni , che divenne simbolica di una politica, fu usata per la prima volta da Pietro Nenni parlando al Colosseo di Roma, nell'ottobre 1962, a proposito del centro-sinistra: »Da ciò, il problema di chi presiederà alla politica di piano, di chi sarà "nella stanza dei bottoni", ora che con l'accrescersi delle prerogative dello Stato nel campo economico i bottoni sono enormemente aumentati di influenza e di numero .

15 Dal dépliant di presentazione del Convegno degli amici del »Mondo "Verso il regime", Roma, Teatro Eliseo, 31 gennaio-1· febbraio 1959.

16 Anonimo, »Morte e resurrezione , »Il Mondo , 31 marzo 1959.

17 Adolfo Battaglia, »Il governo del piano , »Il Mondo , 3 ottobre 1961.

18 "La strada giusta", introduzione al dibattito congressuale, »Tribuna Radicale , febbraio 1961, a cura dell'ufficio stampa del Pr, Roma.

19 Eugenio Scalfari, »Sviluppare il programma , in »Tribuna Radicale , cit.

20 Cfr. Paolo Pavolini, »Un paese immaturo , »Il Mondo , 3 giugno 1958, in cui aveva commentati così i risultati delle elezioni politiche: »il nostro popolo vota per i partiti che afferma detestare, per i padroni che odia, per i fascisti che teme, per la setta sterile dei comunisti con i quali non ha nulla in comune .

21 Paolo Pavolini, »Bilancio Positivo , in »Tribuna Radicale , cit.

22 Vittorio De Caprariis, »Una svolta politica , »Il Mondo , 2 gennaio 1962.

23 Federico Gozzi [Vittorio De Caprariis], "Il tema dominante", »Il Mondo , 6 febbraio 1962.

24 "Ibidem".

25 Vedi in particolare gli interventi ne »Il Corriere della Sera di Antonello Trombadori ("Il Pci replica a Pannella: troppo vittimismo", 14 dic. 1976), Francesco Compagna ("Pannella e l'eredità di Pannunzio", 20 dic. 1976), Augusto Premoli ("Pannella e il Pci", 29 dic. 1976)

in seguito all'intervento di Marco Pannella ("Perché ce l'avete con noi", 12 dic. 1976).

26 Vedi: "Per le origini di ``Quaderni Rossi'' e ``Quaderni Piacentini'' di Franco Fortini, in »Aut Aut , n. 142-143, luglio-ottobre 1974.

27 Per quest'analisi vedi Massimo Teodori, "Storia delle nuove sinistre in Europa (1956-1976)", Il Mulino, Bologna, 1976, in particolare i capp. 1 e 2.

28 Dell'originale gruppo della sinistra radicale erano passati attraverso esperienze di politica universitaria: Marco pannella (pres. Unuri), Giuliano Rendi, Gianfranco Spadaccia (pres. Ugr Roma e vicepresidente Orur) e, se pure più giovane, Massimo Teodori (Goliardi Autonomi di Roma e consiglio goliardia Ugi), Franco Roccella (pres. Ugi) e Sergio Stanzani (pres. Unuri), Giuseppe Ramadori, Giuseppe Picca, Andrea Torelli, Giuseppe Loteta a Roma.

29 Tra la generazione radicale universitaria di coloro che non facevano parte della sinistra radicale c'erano: Stefano Rodotà, Lino Jannuzzi (poi senatore del Psi dal 1968 al 1972), Gerardo Mombelli (poi presidente Unuri), Tullio De Mauro (poi nel 1970 consigliere regionale indip. di sinistra nel Lazio), Piero Craveri, Umberto Dragone (poi esponente del Psi di Milano), Claudio Simonelli (poi cons. region. Psi Piemonte), Aldo Gandolfi (poi cons. region. Pri in Piemonte), Giovanni Paladini (Venezia), Sergio Bartole (Trieste), Giovanni Ferrara (poi nella direzione del Pri), Paolo Ungari (pres. Unuri, poi Democrazia Liberale e Pri).

30 Marco pannella, "Replica del presidente al VII Congresso dell'Unuri", Roma, aprile 1957, ciclostilato.

31 Marco Pannella, "Relazione del presidente al VII Congresso dell'Unuri", Roma, aprile 1957, ciclostilato.

32 Brunello Vigezzi, "L'unione Goliardica Italiana", »Il Veltro , anno VIII, nn. 1-2, febbraio-aprile 1964, p. 228.

33 Giorgio Festi, citato in Vigezzi, "op. cit.", p. 229.

34 "Un articolo del radicale Pannella: la ``sinistra democratica'' e il Pci", »Il Paese , 22 marzo 1959. L'articolo lungamente e politicamente contrattato sarebbe dovuto uscire come fondo, e fu preceduto da questa nota: »Abbiamo invitato l'esponente radicale Marco Pannella, il cui nome era emerso nei resoconti del recente congresso radicale per alcune tesi originali sostenute circa il ruolo del suo partito nel quadro della sinistra italiana, a esporci il suo pensiero sull'attuale situazione politica... .

35 Anonimo, "L'alleanza dei cretini, »Il Mondo , 7 aprile 1959.

36 "Progetto di risoluzione sulla politica del Partito Radicale", presentata dai consiglieri nazionali Marco Pannella e Giuliano Rendi, Roma, 19-20 novembre 1960, ciclostilato.

37 Marco Pannella, "Soluzione unitaria", in »Tribuna Radicale , a cura dell'ufficio stampa del Pr, Roma, maggio 1961.

38 Silvio Pergameno, "Le due direttive", in »Tribuna Radicale , a cura dell'ufficio stampa del Pr, Roma, febbraio 1961.

39 Mario Cattaneo, "Ritornare alle origini", in »Tribuna Radicale , a cura dell'ufficio stampa del Pr, Roma, marzo 1961.

40 La maggioranza del Pr, costituito da gruppo Piccardi-Scalfari e dal gruppo Cattani, fece confluire una parte di voti su una lista di giovani formata da Jannuzzi, Ferrara, De Mauro, Rodotà, Craveri e Mombelli per fargli attribuire i posti del consiglio nazionale spettante alla minoranza, e di fatto eliminando dalla rappresentanza la minoranza di sinistra. Questa vide eletta soltanto Roccella, grazie ai voti dei delegati siciliani, e i regionali Teodori e Gardi.

41 »Sinistra Radicale , bollettino mensile di informazione politica diretto da Giuliano Rendi, è stato pubblicato nei seguenti numeri: 1 (ottobre 1961), 2 (nov. 1961), 3-4 (gen. 1962), 5 (febb. 1962), 6 (marzo 1962), 7 (magg. 1962), 8 (ott. 1962). Hanno firmato i principali articoli: Manlio Gardi, Marco Pannella, Max Salvadori, Jacques Vergès, Giuliano Rendi, Vercors, Ernesto Rossi, Elio Vittorini, Gianfranco Spadaccia, Francis Jeanson, Massimo Teodori.

42 Marco Pannella, "Una politica di abdicazione". »Sinistra Radicale , n. 1, ottobre 1961.

43 "Ibidem".

44 Marco Pannella. leader del gruppo di sinistra radicale, soggiornò a Parigi come giornalista dal 1959 al 1962. Il giornale »Sinistra Radicale era di fatto condotto da un gruppo formato da Giuliano Rendi, Gianfranco Spadaccia, Massimo Teodori e Angiolo Bandinelli.

45 Giuliano Rendi, "Per il disarmo europeo, eliminare gli eserciti", in »Sr , n. 6, marzo 1962.

46 "Un programma radicale", fondo, »Sr , n. 3-4, gennaio 1962.

47 "Un dibattito non esplicito nella direzione del Pr", in »Sr , n. 2, novembre 1961. p. 3.

48 La lista della sinistra che conquistò la maggioranza della sezione romana nel gennaio 1962 era composta da Mauro Mellini, Roberto Mazzucco, Giuseppe Ramadori, Massimo Teodori, Gianfranco Spadaccia, Franco Roccella, Giuseppe Loteta, Angiolo Bandinelli. A Milano, Luca Boneschi e Mario Cattaneo furono eletti nel comitato direttivo della sezione per la sinistra.

49 E' interessante notare che quelle elezioni comunali del 10 giugno 1962 a Roma furono le uniche elezioni, insieme alle altre comunali romane del 1956, che videro una autonoma lista radicale con il simbolo del berretto frigio. La lista ottenne poco più di un migliaio di voti.

50 "Che fare?", fondo, »Sr , n. 8, ottobre 1962.

 
Argomenti correlati:
storia
i nuovi radicali
rossi ernesto
piccardi leopoldo
psi
pri
sinistra
laicismo
unuri
antimilitarismo
pannella marco
il mondo
stampa questo documento invia questa pagina per mail