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Barile Paolo - 1 marzo 1978
REFERENDUM ORDINE PUBBLICO COSTITUZIONE: (4) Realtà politica e realtà costituzionale nelle attuali tendenze legislative in materia di referendum e ordine pubblico
di Paolo Barile

SOMMARIO: Due questioni vengono essenzialmente affrontati nel corso del convegno, quella dell'istituto del referendum che progetti di legge comunisti, socialdemocratici, democristiani sottopongono a revisioni più o meno decise e il disegno di legge governativo in tema di ordine pubblico. Questi due temi vengono affrontati in relazione ai principi stabiliti dalla Carta Costituzionale.

("REFERENDUM ORDINE PUBBLICO COSTITUZIONE", Rispondono i giuristi. Atti del convegno giuridico organizzato dal gruppo parlamentare radicale - A cura di Ernesto Bettinelli e Luca Boneschi - Tascabili Bompiani, marzo 1978)

Dopo la grossa relazione fatta dal professor Rodotà io direi che a questo punto dovremmo scendere più al concreto, e lo faccio volentieri, sia perché la relazione di Rodotà è una relazione molto approfondita sul piano politico generale (ma che forse non ha ricordato più concretamente i singoli problemi che si pongono davanti a noi su questi temi); e poi perché io non sono un uomo politico, a differenza di Rodotà, e mi limito a fare il costituzionalista.

Il tema di oggi è: i progetti di limitazione dei referendum e le nuove norme sull'ordine pubblico sono compatibili con il modello costituzionale? Evidentemente il discorso che qui si vuole che io faccia è un discorso che parte dal lato costituzionale.

La presenza mia e di Rodotà a questo convegno evidentemente è una presenza critica sotto ogni aspetto e nei confronti di tutti; direi che sia lui che io, e a maggior ragione i relatori che ci seguono, sono perfettamente liberi ed esprimono il loro parere personale, nel senso che lo esprimono proprio come uomini della strada. Almeno per quello che mi riguarda, io non sono neanche iscritto a nessun partito.

Il rilievo costituzionale dei due istituti, referendum e ordine pubblico (inteso come quel potenziale limite del quale la Costituzione non ha voluto parlare, ma che peraltro esiste poi in Costituzione sotto varie forme), è molto diverso, perché mentre del referendum parla soltanto un articolo della Costituzione, viceversa dei possibili limiti di ordine pubblico parlano molti articoli. Tutti gli articoli sulle libertà personali, praticamente, parlano o fanno intendere che può esistere un limite di ordine pubblico.

Allora, cominciando dal referendum, l'istituto cioè in cui più che il rilievo direi la disciplina costituzionale è meno accurata, meno approfondita, io vorrei riprendere un accenno che ha fatto ora Rodotà: è questo un istituto di rottura degli equilibri fra corpo elettorale e suoi rappresentanti, oppure no? Sono entrambi organi della sovranità popolare, e non dovrebbero, in astratto, insieme volere una cosa e volere il contrario di quella cosa. Quindi il referendum nasce, dice Rodotà, soprattutto come una sorta di riprova del nove; allorquando si dubita della corrispondenza fra corpo elettorale e Parlamento in una determinata occasione, allora si sfida il Parlamento nelle piazze portando la bandiera del no ad una legge (vecchia o nuova) votata a suo tempo (o poco tempo prima) dal Parlamento. Esempio tipico di questo referendum-riprova del nove è stato il referendum sul divorzio, la sfida contro la legge poco prima approvata dal Parlamento. In questi casi che cosa occorre, dal punto di vista della politica co

stituzionale o della sociologia giuridica? Occorre da un lato una ragionevole probabilità dell'accoglimento del punto di vista di coloro che sollecitano il referendum, perché altrimenti lo sforzo di raccolta delle firme sarebbe evidentemente uno sforzo di che non avrebbe molto senso; dall'altro occorre una grossa spinta etico-politica, una spinta di ragguardevole entità che il partito radicale ha dimostrato più di una volta di avere. Questo è il primo aspetto del referendum.

Il secondo aspetto, quello su cui Rodotà (mi pare) ha fatto pesanti riserve, è il referendum usato in funzione di stimolo contro l'inerzia parlamentare. Mi sembra che egli abbia detto, all'inizio del suo discorso, che non è stato concepito dai costituenti come stimolo contro l'inerzia o per sanare fratture, contro un Parlamento che si incanta e non riesce ad andare avanti. D'altra parte però, in fatto, il referendum in Italia viene oggi adoperato anche in questa seconda funzione, di stimolo contro l'inerzia parlamentare (esempio: il referendum sull'aborto). Anche qui occorre, però, a mio parere, che sussistano gli stessi requisiti di previsione di valore della sfida; evidentemente i promotori del referendum a questo hanno a suo tempo pensato. Del resto lo stesso Rodotà ha ammesso che almeno come stimolo complessivo il referendum possa essere considerato (ad esempio il diritto di famiglia è stato approvato in un certo modo ``avanzato'', proprio perché si erano manifestate certe esigenze in modo referendario -

nel '74 c'era stata la consultazione sul divorzio). Anche le previsioni della legge sull'aborto erano andate su certi binari, proprio grazie a questo precedente. Certamente anche gli 8 referendum richiesti dal partito radicale e che stanno per essere esaminati dalla Corte costituzionale hanno questo secondo carattere.

Io domanderei a questo punto ai nostri amici radicali: il successo che essi hanno avuto in tema di raccolta delle firme è indubbio e sta ancora una volta a dimostrare la loro serietà e il loro impegno morale; però le firme sono cose diverse dai sì; è pensabile in questo momento che ci sia una maggioranza che voglia, attraverso questi 8 referendum o alcuni almeno di essi, produrre vuoti paurosi nell'ambito del nostro ordinamento (lasciamo stare i patti lateranensi sui quali ci sarebbe molto da dire, ma lì il vuoto c'è già probabilmente; pensiamo invece all'ordinamento militare)? Pensiamo un momento che di questi otto referendum quelli che producono un grosso effetto dilacerante dovessero riuscire; a questo punto il Parlamento il giorno dopo che fa? Deve fare leggi di emergenza, decreti di stato d'assedio? Deve a questo punto prendere la Costituzione e farne che cosa? Perché questo è veramente il rischio grosso; è un interrogativo che io pongo. Seconda osservazione, sempre in relazione al comportamento presumi

bile dei votanti. Credono i nostri amici radicali che, dopo la vittoria nella raccolta delle firme, ci possa essere una simile vittoria nella raccolta dei sì, nel momento in cui, probabilmente, tutti i partiti dell'arco costituzionale sostanzialmente si schiereranno contro, (non so se nella loro totalità), perché preoccupati di quello che potrà accadere ai loro gruppi parlamentari nelle Camere l'indomani? Terzo interrogativo: stanno per essere sottoposte ai cittadini otto materie insieme, sulle quali votare, più l'aborto, nove. Non credete che questo sia un pasticcio, non so quanto educativo dal punto di vista politico? Ma, soprattutto, ancora un'ultima osservazione: i nove referendum, per il solo fatto che si devono fare, provocheranno certe conseguenze. Certe conseguenze che si manifesteranno soprattutto nel blocco di certe priorità, che indubbiamente oggi esistono. Per esempio, parliamo, al solito, dell'economia. E' chiaro che i nove referendum bloccheranno il Paese per un lungo periodo e necessariamente

queste priorità, queste cose che si devono fare e che non si riescono a fare, andranno ancora più in là. Quale vantaggio generale si potrà avere a questo punto per la politica del Paese? Quale vantaggio generale per rafforzare (o non indebolire) le nostre istituzioni?

E allora veniamo ai rimedi proposti per il referendum. Alcuni direi che qui non interessano (almeno in questo momento non mi interessano), riguardano il futuro, cioè i tre anni prima dei quali non si può fare un referendum su una legge, il milione di firme anziché il mezzo milione, il quorum di maggioranza assoluta, proposti in uno dei progetti del Partito comunista; li lascerei quindi da parte perché sono questioni delle quali avremo tempo di discutere successivamente. Il problema che qui sta alle costole è quello del passaggio da progetti di legge a leggi di alcuni di questi provvedimenti, prima ancora che si dia luogo ai referendum. Questo direi che è il problema.

Dunque c'è un primo gruppo di proposte che ora non interessa. C'è un secondo gruppo di rimedi di cui è certamente dubbia, quanto meno, l'opportunità. Alludo all'art. 5, all'art. 6 e all'art. 10 del progetto del Partito comunista italiano. L'art. 5 è quello, già ricordato da Stefano Rodotà, che prevede l'intervento del Presidente della repubblica per ritardare i referendum quando vi sia pendente all'esame delle Camere qualche proposta che attenga più o meno alla materia oggetto dei referendum. L'art. 6 vorrebbe introdurre il nuovo istituto della sospensione di una legge ordinaria. Con l'art. 10 si vorrebbe far sì che in luogo della dizione della abrogazione, del richiamo all'``abrogazione'' da parte del Parlamento (che paralizza il referendum) si adottasse il concetto delle cosiddette ``sostanziali modifiche''.

Consideriamo anzitutto queste norme sotto il profilo della costituzionalità e cominciamo dall'ultima citata, l'art. 10: l'introduzione di una disposizione che permetta la non effettuazione del referendum, qualora alla legge da sottoporre al referendum stesso siano apportate dal Parlamento sostanziali modifiche, in luogo della semplice abrogazione di cui parlano le norme attuali. Direi che l'incostituzionalità di questo articolo non la vedo. Il principio è già nella legge del 1970; il principio dell'abrogazione, non mi pare che si sia pensato che fosse incostituzionale, o irrazionale per contrasto col concetto di referendum. Direi anzi che è logico che un referendum non venga più indetto su una norma che viene abrogata, che non c'è più. In luogo di parlare di abrogazione, data l'incertezza sull'abrogazione totale o parziale ecc. si dice nel progetto del PCI: sostanziali modifiche. ``Sostanziali modifiche'' non è che sia un concetto che vada più in là, ma è certamente un concetto che va più in là di quello del

la semplice abrogazione "tout court" di cui si parlava prima. Anche dell'art. 10 però ho l'impressione che qui non interessi molto parlare, perché dovrebbe essere sicuramente inapplicabile ai nove referendum. Su questo punto c'è stato un intervento di Terracini su ``Panorama'', il quale prospettava l'ipotesi che alcune di queste norme si volessero far entrare in vigore subito, ma è stato smentito dall'on. Colonna, sull'``Unità'' del 7 ottobre 1977.

Esaminiamo ora l'art. 5, che contiene un potere nuovo da affidare al Presidente della repubblica. Ho l'impressione che con difficoltà si potrebbe ritenere conforme al modello costituzionale. Perché? Perché dagli artt. 75 e 87 della Costituzione si trae nettamente l'impressione che il potere di indizione del referendum, che la Costituzione affida al Presidente della repubblica, si concreta in atti dovuti. Questo potere di veto temporaneo che gli si vorrebbe affidare, da un lato sarebbe altamente discrezionale, e dall'altro introdurrebbe, modificando gravemente il modello costituzionale, un altro organo nel rapporto tra Camere e corpo elettorale. L'art. 6, quello della sospensione della legge, mi pare veramente difficilmente sostenibile sotto l'aspetto della costituzionalità. Si legge in un articolo recente sull'``Unità'': ``Sotto questo profilo la proposta di sospendere l'effettuazione del referendum per sei mesi, quando il Parlamento abbia al proprio esame la modifica sostanziale o l'abrogazione delle leggi

in questione, rappresenta un limite al diritto dei promotori del referendum, o non piuttosto una valorizzazione della loro iniziativa dandole un esplicito significato di stimolo critico verso l'azione delle Camere?'' Ho l'impressione che ciò sia piuttosto difficile a sostenersi, soprattutto perché è del tutto sconosciuto al nostro modello costituzionale (ancora una volta) l'istituto della ``sospensione'' della legge. E poi, quale sarebbe l'organo competente ad operare una tale sospensione?

Qual è l'altro ``marchingegno'' che è stato proposto? E' quello di cui hanno dato notizia i giornali di qualche giorno fa; sembrava che dovesse essere contenuto in quel decreto legge approvato dal Governo sulle elezioni amministrative, poi invece abbiamo visto che non c'era. E' una proposta di cui ``La Stampa'' ha dato notizia un po' dettagliatamente: al rinvio delle elezioni di novembre dovrebbero accompagnarsi due disegni di legge che manderebbero a monte i referendum conquistati con tante fatiche dai radicali col pretesto che d'ora in poi i referendum non si dovranno più fare in annate elettorali. ``La Stampa'' aggiunge che oggi una cosa del genere ci fa pensare a Krusciov. (Krusciov diceva che le elezioni sarebbero una bella cosa se si sapesse in anticipo che si vincono). Ci si deve domandare se un progetto del genere sarebbe o no incostituzionale. Qui la risposta è piuttosto difficile. C'è stato un articolo di Bettinelli sul ``Corriere della Sera'' del 4 ottobre che si conclude in questo modo: ``quando

si arriva al punto di giudicare negative o pericolose le competizioni elettorali, presupposto "sino qua non" di ogni forma pure embrionale di democrazia, si rischia di essere vicini a una soglia di non ritorno''. Ecco, sembra veramente ai partecipanti a questo convegno che un intervento del genere, cioè il raggruppamento di tutte le elezioni, elezioni amministrative, politiche e anche referendarie, in un modo più razionale (in questa nostra Italia in cui si va continuamente alle urne, anche per i quartieri e per le scuole primarie e secondarie), debba essere considerato addirittura come una sorta di attentato al nostro sistema? Sembra che sia veramente così estraneo al nostro modello costituzionale, oppure no? Questo è l'altro interrogativo, e l'ultimo, che io pongo in materia di referendum.

Per l'ordine pubblico l'accordo programmatico è molto dettagliato. Vi vorrei leggere brevemente, il capitolo I in cui si parla appunto dei problemi dell'ordine e della sicurezza pubblici. C'è un preambolo, e poi c'è un paragrafo intitolato ``Le misure di prevenzione''; a questo proposito si legge che si proporranno alcune misure legislative a termine, indicandosi come termine finale l'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, o comunque al massimo due anni; e si afferma che le misure proposte riguardano: "primo", una modifica dell'art. 4 della legge Reale, per consentire alla polizia di accompagnare nei suoi uffici le persone che rifiutano di declinare le proprie generalità o nei cui confronti esistono sufficienti indizi di false dichiarazioni sulla identità personale, o di essere in possesso di documenti di identità falsi. Tale accompagnamento è previsto esclusivamente ai fini dell'identificazione e non può consentire che la persona sospetta sia trattenuta negli uffici di polizia oltre le 24 o

re. Qui l'osservazione del Partito radicale è già materializzata nel ``libro bianco'' [vedi appendice: n.d. 2]: questo tipo di accompagnamento (di quelli che rifiutano di farsi identificare) sarebbe in sostanza un fermo, tanto è vero che dura 24 ore. E allora non si capisce perché un fermo di polizia, cioè di prevenzione, debba essere ammesso per un reato come quello di cui all'art. 651 del codice penale (rifiuto di declinare le proprie generalità), che ha carattere contravvenzionale.

La seconda proposta è una modifica dell'art. 18 della legge Reale, per ampliare la portata dell'applicabilità delle misure di prevenzione nei confronti di persone che pongano in essere "atti preparatori", ``obbiettivamente rilevanti'' (si è aggiunto), "diretti a commettere" gravissimi reati. E qui si fa un elenco, probabilmente non tassativo, ma comunque riconducibile ad atti di terrorismo, eversione, sequestro di persona, rapina a mano armata, e associazione ai fini del traffico di droga. Su questo punto esiste una riserva della DC a comprendere in questa ipotesi anche le frodi valutarie. La osservazione del Partito radicale è che l'ordinamento penale vigente già prevede e punisce il tentativo, art. 56. Che differenza c'è fra tentativo e atti preparatori diretti a commettere gravissimi reati? Gli atti preparatori vogliono evidentemente riferirsi alla sfera che va dalla ideazione del delitto al tentativo (sentiremo Bricola se condivide questa idea), e quindi si riferiscono necessariamente ad atti di per sé n

on idonei od equivoci, la cui valutazione è affidata alla polizia. Si contesta anche che si versi, in questo caso, nelle ipotesi dei casi eccezionali di necessità e di urgenza di cui parla l'art. 13 della Costituzione, e così la critica è generale.

Si propone poi la modifica del secondo comma dell'art. 4 della legge Reale per consentire alle forze di polizia la perquisizione, senza la preventiva autorizzazione dell'autorità giudiziaria, dei cosiddetti ``covi eversivi'', con la specificazione del contenuto di tale espressione. La critica del Partito radicale è la seguente: i cosiddetti covi eversivi non vengono specificati, ma, poiché la perquisizione alla ricerca di armi e esplosivi e simili è già consentita dall'ordinamento vigente, è facile prevedere che il concetto di covo eversivo non sarà posto in relazione alla presenza di armi, ma verrà esteso ad inaccettabili previsioni di attività politiche eversive, colpendo così irrimediabilmente il sistema costituzionale delle libertà politiche. Credo che il Partito radicale potrebbe tranquillizzarsi a vedere come si è comportato il Procuratore della repubblica di Roma De Matteo, nel momento in cui si è tentato di applicare la legge che permetteva la chiusura di quattro covi eversivi dei neofascisti, moment

o a cui è successo immediatamente, il giorno dopo, l'intervento di De Matteo che ne ha dissequestrati due dicendo che non esistevano le condizioni della legge. A questo punto Cossiga ha detto: ``Occorrerà intervenire ancora sulla magistratura con nuove leggi più severe, ecc.'' E' tutto un rincorrersi fra leggi severe e leggi ancora più severe, e magistrati che talvolta sono severi, talvolta non lo sono. Alle modifiche, agli emendamenti legislativi non è che io creda molto.

La penultima proposta contenuta in questo accordo fra i partiti è la seguente: modifica della normativa vigente in tema di intercettazioni telefoniche, per consentire: 1) che l'autorizzazione possa essere data dal magistrato, anche oralmente; 2) che venga eliminato il limite massimo di durata di 45 giorni; 3) che le intercettazioni possano essere eseguite anche attraverso strumenti in dotazione agli uffici di polizia; 4) che siano utilizzabili anche le notizie su reati diversi ottenute in questo modo, purché si tratti di reati che prevedono il mandato di cattura obbligatorio. Su questi punti le critiche del Partito radicale sono molto dettagliate e li investono tutti.

Infine, l'ultima disposizione riguarda la modifica alla normativa in tema sempre di intercettazioni telefoniche, per consentire una forma di intercettazione preventiva relativa a persone indiziate di atti preparatori di gravi reati. Questo è il "pendant" dell'altra norma che abbiamo visto prima in relazione a quel fermo delle persone indiziate di questi atti preparatori di gravi reati. Si dice, in maniera per la verità un po' contraddittoria, che questa intercettazione dovrà essere autorizzata dal magistrato, ma le registrazioni poi, non si sa bene perché, non avranno valori ai fini processuali, salvo espressa convalida dell'autorità giudiziaria. E anche su questo si appuntano le critiche degli amici radicali.

Questo è il gruppo di norme sull'ordine pubblico, di cui ha fatto una difesa d'ufficio piuttosto eloquente il ministro Bonifacio. La tesi di Bonifacio è che questo non sia un fermo di polizia, perché il fermo di polizia offriva alla polizia il potere di assoggettare a sé un cittadino sulla base di semplici sospetti, mentre qui si parla appunto di ``atti preparatori''. La polizia, d'altra parte - sostiene Bonifacio - può già arrestare un cittadino nel caso di flagranza; si tratta di un allargamento di questa competenza, di una competenza transitoria della polizia che poi torna al magistrato. Una difesa molto più ampia si legge viceversa nel n. 38 del 1977 di ``Rinascita''. In un intervento di Spagnoli si propugna l'introduzione del requisito della flagranza, perché possa farsi luogo al fermo. Anche da parte dei proponenti ci sono delle difficoltà, evidentemente. C'è poi un'altra difesa, molto eloquente, fatta da Luciano Violante, sempre nello stesso numero di ``Rinascita'', in cui si parte dall'ammissione che

la legge Reale è stata una legge fallimentare; si ammette che l'aspetto più delicato del potenziamento delle misure di prevenzione è costituito appunto dall'arresto di coloro che pongono in essere atti preparatori, ecc. Si aggiunge: la disciplina è analoga a quella dell'arresto in flagranza, dell'arresto cioè, da parte della polizia, di chi sta commettendo un reato. E poi si precisa che questo tipo di arresto è finalizzato all'applicazione di una misura di prevenzione. E questo è il punto più importante, che finora forse non è stato trattato. Cioè, questo tipo di normativa non dovrebbe fare corpo a sé, ma essere finalizzato alle misure di prevenzione di polizia, che risultano da una vecchia legge del 1956, ampliate poi, nei confronti della mafia, da una legge successiva del 1965. Quindi il fine di queste misure dovrebbe portare all'applicazione appunto di una misura di ``classiche'' di prevenzione, che sono: la diffida, la sorveglianza speciale, il divieto di soggiorno in un Comune, l'obbligo di soggiorno i

n una determinata località. E' il processo che è chiamato ``processo di prevenzione''.

Quindi a questo punto io ho l'impressione che ci si debba porre, come costituzionalisti, ancora una volta di fronte al problema della legittimità costituzionale, di quelle famose leggi di prevenzione di polizia, leggi che, ricordo, nacquero nel dicembre del 1956, dopo che la Corte costituzionale aveva annullato le precedenti leggi fasciste sul confino di polizia, che erano state modificate solo in punti secondari dopo la Liberazione; la Corte le aveva annullate in quanto non erano misure applicate dal magistrato e solo per questo motivo. Allora la nuova disciplina del 1956 stabilì che queste misure potevano continuare a sussistere (vennero precisati in maggiori dettagli), a patto che venissero applicate attraverso un processo regolare. In questo modo, attraverso quella che fu chiamata la giurisdizionalizzazione di queste misure di prevenzione di polizia, esse tornano ad avere cittadinanza nel nostro diritto. Questa legge fu infinite volte impugnata davanti alla Corte costituzionale, insieme con quella del 19

65 che estendeva alla mafia il processo di prevenzione. Tali norme furono molte volte portate alla Corte costituzionale, ma la Corte ha sempre dichiarato che erano costituzionalmente legittime, sempre, con grande fermezza, anche, mi pare, in una sentenza del 1977. Così ci sarebbe un giro di vite alla prevenzione. Che direbbe la Corte costituzionale se domani venisse impugnata una legge del genere, che fa parte anch'essa del gruppo delle misure di prevenzione? La sola differenza, secondo me, che sussiste fra una legge quale quella che qui si prevede e di cui vi ho dato notizia, e le vecchie leggi del '56 e del '65 è una maggiore precisione della prima. La legge del 1956 sapete quali categorie indicava? Indicava cinque categorie di persone a cui possono essere applicate queste misure di prevenzione. Sono: 1) gli oziosi e i vagabondi abituali; 2) coloro che sono abitualmente e notoriamente dediti a traffici illeciti; 3) coloro che, per la condotta e il tenore di vita, debba ritenersi che vivano abitualmente, an

che in parte, con il provento di delitti o con il favoreggiamento, o che, per le manifestazioni cui abbiano dato luogo, diano fondato motivo di ritenere che siano proclivi a delinquere; 4) coloro che per il loro comportamento siano ritenuti dediti a favorire o sfruttare la prostituzione o la tratta delle donne (cioè in tutti i casi in cui non si raggiunge la prova che un individuo è un magnaccia, allora a questo punto gli si applica la misura di prevenzione: questa è la sostanza) o la corruzione dei minori, od esercitare il contrabbando, ovvero esercitare il traffico illecito di sostanze tossiche, stupefacenti, ecc.; infine, "quinta categoria", in cui possiamo ritenere tutti noi tranquillamente dal primo all'ultimo, coloro che svolgono abitualmente ``altre attività contrarie alla morale pubblica e al buon costume''. A questo fu aggiunta la categoria contenuta nella legge del '65 in quanto essa ``si applica agli indiziati di appartenere ad associazioni mafiose'', e in questo modo si riesce a mandare al confin

o qualche mafioso. Ma questa è la vecchia legge. La nuova, probabilmente, rispetto alla vecchia sarebbe più dettagliata. Quindi mi domando: la Corte costituzionale ha resistito alla critica (fra l'altro ben portata avanti in dottrina da uno degli attuali giudici costituzionali, da Leopoldo Elia) della violazione dell'art. 13 della Costituzione (perché non basta rispettare il meccanismo processuale, sosteneva Elia, dell'art. 13, perché si possa dire che una legge è conforme a Costituzione; bisogna anche rispettare l'art. 13 dando, a questa legge, un fine che sia costituzionalmente legittimo). Non si può interpretare l'art. 13 come un ``vuoto di fini'', affermava Elia. Allora, se, nonostante questa critica, la Corte costituzionale ha lasciato passare queste due leggi anteriori, mi domando se farà cadere questa legge nuova, nella quale, viceversa, il vuoto di fine non c'è. Se il fine questa volta esiste, (gli ``atti preparatori''), allora non abbiamo più una semplice ``pena del sospetto'', come accade per quell

e sei categorie che vi ho letto, ma abbiamo o potremmo avere una legge che prevede una prevenzione per questi atti, che sono intermedi fra il tentativo e il nulla.

Certo è che ho l'impressione che queste misure non bastino, occorrerebbe qualche cosa di più, occorrerebbe soprattutto quella mobilitazione civile della quale tante volte si è parlato e si continua a parlare sui giornali, anche se in realtà i giornalisti e i direttori forse non fanno abbastanza quello che noi si richiederebbe e si è richiesto tante volte che facessero, cioè che veramente spingessero le persone verso questo tipo di mobilitazione civile. Io ancora non vedo, nei comunicati delle direzione dei partiti di sinistra il richiamo, non semplicemente alla emarginazione degli evasori, ma anche alla vera e propria lotta; così che la società civile si possa difendere anzitutto da sola, senza dover contare troppo su leggi che sono e saranno sempre imperfette, e su magistrati che sono e saranno sempre uomini come tutti noi.

 
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