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Archivio Partito radicale
Corvisieri Silverio, Corleone Franco, Panebianco Angelo, Strik Lievers Lorenzo, Teodori Massimo - 1 ottobre 1978
RADICALI O QUALUNQUISTI?: (17) In nome del carisma contro il »regime
di Silverio Corvisieri

SOMMARIO: Un saggio sulla natura e le radici storiche del nuovo radicalismo e un confronto sulla questione radicale con interventi di: Baget-Bozzo, Galli, Ciafaloni, Tarizzo, Galli della Loggia, Lalonde, Alfassio Grimaldi, Are, Asor Rosa, Corvisieri, Orfei, Cotta, Stame, Ungari, Amato, Mussi, Savelli.

(SAVELLI editore, ottobre 1978)

Indice:

Parte prima

I Politica e società (1376)

II Radicali sotto accusa (1377)

III Il Pr come partito bifronte (1378)

IV Radicalismo e socialismo (1379)

V Radicalismo o marxismo, convivialità o tecnofascismo (1380)

Parte seconda

Un confronto sulla questione radicale (1381 - 1397)

In nome del carisma contro il »regime

di Silverio Corvisieri

(»Paese sera , 27 gennaio 1978)

Pannella ha dunque ritirato le dimissioni da deputato, così come aveva fatto Emma Bonino. L'»ammucchiata dei partiti , per usare una espressione che gli è cara, questa volta - con l'eccezione del Pci e del Pdup-Manifesto - si è precipitata a favorire il suo disegno: campioni dell'anticomunismo viscerale come Costamagna (per non parlare dei due gruppi fascisti) e personaggi come il socialdemocratico Reggiani, famoso come strenuo difensore di Tanassi, hanno fatto da coro al discorso del presidente del gruppo democristiano, Piccoli, tutto teso a contrapporre una Dc, impegnata nel difendere la libertà di tutti, a un Pci (non lo ha detto ma era sottinteso) pronto a prevaricare le minoranze. In poche altre occasioni avevamo visto i bianchi di Montecitorio così pieni di democristiani: accadde quando tentarono di respingere la legge sull'aborto o di salvare Gui e Tanassi.

Del resto nella lettera di dimissioni indirizzata a Pietro Ingrao, il "leader" radicale, accanto a una comprensibile avversione per il carattere extraparlamentare della crisi di governo, esprimeva critiche non alla Dc e al suo governo ma al »monopartitismo imperfetto . Per questa via dimenticava e nascondeva due cose, entrambe sgradite al partito di maggioranza: 1. in un certo senso la extraparlamentarità della crisi questa volta era un fatto positivo perché non legata a manovre di palazzo di questo o di quel partito ma alla grande giornata di lotta operaia del 2 dicembre e alla proclamazione di uno sciopero generale da parte delle confederazioni sindacali (com'è noto la Dc insiste nel parlare di »oscura crisi voluta dal Pci ); 2. il »monopartitismo , sia pure imperfetto, di cui parla Pannella, veniva incrinato proprio dalla decisione delle sinistre tradizionali di ritirare la fiducia ad Andreotti.

Più in generale mi sembra che tutta l'azione politica di Pannella parta dal presupposto che non ha più senso riferirsi alle linee di demarcazione tra fascismo e antifascismo e, all'interno dell'antifascismo, tra quello effettivo del movimento operaio e quello formale dei partiti conservatori. Lo schema cui sembra ispirarsi il "leader" radicale è quello che vede nei partiti dell'arco costituzionale non un'alleanza, per quanto criticabile, ma un blocco antidemocratico e contrapposto ai »diversi , e cioè a tutti gli esclusi dal blocco, ivi compresi i Plebe e gli Almirante. Più volte egli ha paragonato l'attuale regime a quello fascista e il Parlamento ad una pura copertura della camera dei fasci e delle corporazioni del ventennio mussoliniano.

Tutto il patrimonio di cultura, organizzazione, capacità di lotta e di gestione che il movimento operaio ha accumulato prima nella Resistenza, poi nella lotta contro il centrismo e, infine nella grande stagione iniziata nel '68, per Pannella non esiste non conta. Egli tutt'al più si riferisce ai »veri socialisti e ai »veri comunisti che in realtà sarebbero dei radicali inconsapevoli e che per una qualche misteriosa ragione ancora non se ne rendono conto. Appiattendo questa realtà nella famosa notte che fa grigie tutte le vacche egli finisce col sottovalutare le caratteristiche reali della Dc e, persino, col negare l'assoluta necessità di isolare i neofascisti.

Di qui una lunga catena di errori che trasformano quasi tutte le iniziative pannelliane in realtà politiche utilizzabili dalla Dc e, in particolare, dalla destra Dc, per rafforzare le sue posizioni. Il caso più clamoroso è forse quello dei referendum che, proposti a grappoli e sulle questioni più diverse, sono diventati una delle carte in mano a Moro e Zaccagnini per costringere le sinistre a un atteggiamento più arrendevole o a pagare lo scotto di una battaglia confusa, contraddittoria e quindi perdente.

Quel che più preoccupa, comunque, non sono i singoli episodi della politica radicale e neanche lo schema di interpretazione del quadro politico italiano, ma è proprio la concezione generale della democrazia e, quindi, del terreno su cui avanzare in una lunga prospettiva storica. Le battaglie di Pannella, anche quelle condotte per obiettivi giusti, erano basate sull'invito alla delega a un capo carismatico o, al più, a ristretti gruppi di militanti. Le larghe masse al massimo venivano invitate a firmare o a dare il proprio voto. Sia che si trattasse di digiuni che di manifestazioni »sul marciapiede di stampo anglosassone, sia che si trattasse di dimissioni (dal Parlamento, da cariche di partito, o da altro ancora) o di "performances" televisive, era sempre chiaro un sottinteso: non c'è bisogno di grandi partiti popolari, i sindacati servono a poco, e a che "pro" affaticarsi tanto a far vivere una rete capillare di organismi associativi, a piegarsi alle infinite esigenze dei diversi livelli di coscienza e di

disponibilità alla mobilitazione delle masse popolari? Ci penso io col mio digiuno, ci pensiamo noi, pochi, ma coraggiosi e illuminati.

Non sarò certamente io a sottovalutare il ruolo delle minoranze d'avanguardia. Ma questo ruolo è importante soltanto se costantemente ispirato all'esigenza di cessare al più presto di essere di minoranza; se punta ogni sua carta sulla mobilitazione, l'organizzazione, la presa di coscienza di grandi masse di lavoratori, di donne, di giovani. L'obiezione principale che rivolsi alla richiesta radicale di firmare per gli otto referendum non era, come banalmente fu detto, che erano troppi ma che, così concepiti, non mettevano in condizione settori consistenti delle masse popolari di condurre in prima persona una battaglia seria contro le leggi da abrogare. E in realtà chiunque abbia fatto anche un piccolo e privato sondaggio tra i firmatari dei referendum non ha trovato pressoché alcuno che si ricordasse anche soltanto i titoli delle leggi da annullare: non parliamo poi di una conoscenza precisa di queste leggi. Tutto il contrario, ad esempio, di quanto avvenne, sempre per restare in materia di referendum, con la

campagna sul divorzio o con quella sull'aborto.

La concezione pannelliana della democrazia si riallaccia, con una riverniciata di americanismo e di sessantottismo da rotocalco, ai pilastri della tradizione borghese; al centro non stanno né le classi né le masse organizzate, ma l'individuo. E' insistente e molto coerente il continuo richiamo di Pannella ai parlamentari perché si considerino singoli rappresentanti di tutto il popolo ignorando di appartenere a precisi schieramenti politici e quindi a precise forze sociali. Alla originale concezione del partito liberale della sua gioventù, Pannella ha soltanto aggiunto una pratica politica che definirei "iperistituzionale": egli infatti usa quasi tutte le forme extra-parlamentari di lotta, con preferenza per quelle sperimentate negli anni sessanta dai movimenti non-violenti americani, ma sempre puntando a un risultato concreto all'interno delle istituzioni e, paradossalmente, mostrando una fiducia nelle istituzioni che non hanno neanche coloro i quali ne sono i veri gestori.

Quel che oggi è in gioco, e certamente non per colpa del solo Pannella ma per una lunga e ostinata azione di grosse forze interne e internazionali, è il livello raggiunto dalle masse popolari nella loro capacità di unirsi, di lottare giungendo fin sulla soglia del governo. Sono convinto della necessità di scongiurare un pericolo »interno al movimento operaio, e cioè quello della caduta nella subalternità che fu tipica dei socialisti negli anni del cento-sinistra, ma, egualmente convinto sono della minaccia che incombe per le iniziative, varie e complesse, di chi vuole non soltanto logorare, ma proprio far arretrare, e clamorosamente, l'"insieme" della sinistra.

La linea di difesa da questo attacco (che viene anche da alcuni settori estremisti che hanno finito coll'unire i loro colpi a quelli della conservazione e della reazione) deve essere tracciata sul terreno della democrazia autentica: sulla capacità di "tenere e sviluppare" l'organizzazione forte, capillare e ricca di diversità, delle masse popolari.

 
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