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Archivio Partito radicale
Ciccioni Adriano, Corsini Gianfelice, Fiorelli Renato, Novelli Ivan, Pietrosanti Paolo - 24 aprile 1984
DIBATTITO PRECONGRESSUALE: ADRIANO CICCIONI

SOMMARIO: Con un intervento precongressuale (XXX Congresso del Pr - Roma - 31 ottobre/4 novembre 1984) redatto collettivamente da Adriano Ciccioni, Gianfelice Corsini, Renato Fiorelli, Ivan Novelli, Paolo Pietrosanti, ci si chiede se la continuità storica dell'antimilitarismo radicale non si sia interrotta nella attuale e non nuova incapacità del partito di essere adeguato alle pur grandi battaglie parlamentari per la vita, per la riduzione dei bilanci della difesa; e ancora, perché altri sono i depositari delle speranze di disarmo e di pace - e addirittura di nonviolenza - di milioni di persone. Castellina, il Pci, i suoi satelliti; con le loro truffe, le loro iniziative strumentali sono infatti i referenti italiani dell'intero pacifismo europeo. E' necessario quindi che il Pr torni ad essere il partito dell'antimilitarismo quotidiano perché ognuno abbia la possibilità di scegliere tra il sedicente pacifismo del Pci e la politica di pace e antimilitarista dei nonviolenti.

(NOTIZIE RADICALI 70, 24 aprile 1984)

La storia dell'antimilitarismo in Italia è la storia stessa del Partito radicale e di gran parte delle sue lotte. Dalle prime marce degli anni sessanta, agli arresti per obiezione di coscienza; dalla conquista del servizio civile, all'elezione dell'"insoumis" Jean Fabre alla segreteria del partito; dalla raccolta di oltre 600.000 firme per i referendum abrogativi di tribunali e codici militari alle battaglie parlamentari contro le spese militari, alle pubblicazioni e attività dell'Irdisp.

Il tutto, almeno negli ultimi anni, strettamente e giustamente legato al quadro della lotta contro lo sterminio per fame.

Ma occorre chiederci se questa storia, questa continuità non sia arrestata. Arrestata nella attuale e non nuova incapacità del partito di essere adeguato alle pur grandi battaglie parlamentari per la vita, per la riduzione dei bilanci della difesa. Arrestata nella illogica e disarmante sporadicità delle rare iniziative intraprese. Arrestata nel trascurare o affrontare con ritardi colpevoli situazioni spesso assai importanti, lotte e battaglie vincenti in grado di crescere.

La storia del Partito radicale è anche in buona parte la storia della politica nonviolenta in Italia e in Europa. E anche qui c'è da chiederci se non rischiamo di gettare via anch'essa come roba vecchia, magari da recuperare ogni tanto solo per abitudine; di non intenderla più, quindi, come successione di fatti da rinnovare di continuo, ma di viverla come un'ideologia un po' stantia.

Altri, attualmente e da troppi anni, sono i depositari delle speranze di disarmo e di pace - e addirittura di nonviolenza - di milioni di persone. Castellina, il Pci, i suoi satelliti; con le loro truffe, le loro iniziative strumentali sono i referenti italiani dell'intero pacifismo europeo.

L'essere assente da tutto non è certo il modo migliore per il partito di imporre le proprie idealità, il proprio antimilitarismo che peraltro non può consistere nella riproposizione diretta di iniziative di dieci o cinque anni fa.

Il partito da troppo tempo non è in grado di imporre sedi o occasioni di confronto "diretto" con il panorama pacifista, né di trasmettere iniziativa politica, nonviolenta e antimilitarista; non è stato nemmeno in grado di realizzare i minimi impegni che il Congresso di Rimini si è dato a proposito dell'obiezione fiscale, come momento di lotta nonviolenta e davvero pacifista, individuale ma anche collettiva.

E in questo consente il consolidarsi incontrastato dell'immagine pacifista del Pci, che è invece guardiano della logica dei blocchi, dell'ordine dello sterminio, del riarmo purché lottizzato...

L'unica speranza di inversione di tendenza, di disarmo credibile, di nuova politica è riposta nel Partito radicale; purché torni ad essere il partito della nonviolenza creata, non rammentata; purché torni ad essere il partito dell'antimilitarismo quotidiano.

Almeno, occorre rendere al paese la possibilità di scegliere tra il sedicente pacifismo del Pci e la politica di pace e antimilitarista dei nonviolenti.

In buona sostanza, quindi, il partito ha bisogno di tornare ad esistere in quanto tale. E se è probabile che ciascuno di noi, dei radicali, abbia la propria pur piccolissima parte di responsabilità, per quanto ci riguarda ce la assumiamo fino in fondo. Siamo, insieme a molti altri, impegnati a far sì che l'urgente riorganizzazione del partito passi attraverso una riconquista della nonviolenza e della pratica quotidiana dell'antimilitarismo, dell'impegno diretto, fisico anche, di tutti noi; convinti come siamo, che non si può essere nonviolenti perché lo si è stati il giorno prima, ma perché ogni giorno si decide di esserlo.

Ci impegnamo a fare in modo che in congresso questi siano i temi centrali su cui impostare la attesa ricostruzione del partito: certo, nella piena consapevolezza della quasi totale chiusura degli spazi democratici del paese.

Soltanto parole abbiamo espresso? Nessuna proposta seria, concreta? Niente affatto. Tutto ciò è di per sé una proposta; non di limitato momento. Come renderla concreta? E poi, a cosa deve tendere e quali obiettivi deve porsi, per essere credibile, una politica antimilitarista? Ne parleremo, lo decideremo al congresso; dal quale speriamo escano, finalmente, organi dirigenti realmente impegnati in questa direzione.

 
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