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Stanzani Sergio - 22 aprile 1989
35· Congresso di Budapest(1) Relazione del primo segretario
Sergio Stanzani

I. IL CONGRESSO A BUDAPEST.

LA SPERANZA DI UNA PRIMAVERA DI DEMOCRAZIA E DI LIBERTA'.

SOMMARIO: Nel primo capitolo della relazione presentata dal Primo segretario del Partito Radicale al Congresso di Budapest, Sergio Stanzani commenta favorevolmente il comportamento delle autorità ungheresi che, a differenza di quelle jugoslave, hanno autorizzato lo svolgimento del congresso radicale nel loro paese: è la dimostrazione che in Ungheria la "cortina di ferro" è caduta.

(35· Congresso del Partito Radicale, Budapest 22-26 aprile 1989)

Quando un anno fa, al Congresso di Bologna, decidemmo che il primo Congresso transnazionale del partito radicale avrebbe avuto luogo fuori d'Italia, non avremmo potuto immaginare che ci sarebbe stato possibile celebrarlo qui a Budapest.

Io voglio salutare, con gioia sincera, questo fatto straordinario: il fatto che l'annunciarsi, speriamo questa volta non effimero e non tragicamente illusorio, di una nuova primavera di libertà e di democrazia, il riaprirsi dello Stato e del Partito Comunista d'Ungheria al pluralismo culturale, politico e sociale ed all'esigenza di ricostruire lo Stato di diritto, abbia consentito proprio al nostro partito, che da tanti anni ha scelto di essere il partito della democrazia e della nonviolenza, il partito dell'obiezione di coscienza e dei diritti umani, il partito dei refusnik e del diritto alla vita ed alla libertà, di riunirci qui a Budapest.

Abbiamo scelto di essere un partito transnazionale, anche formalmente ed organizzativamente: un partito di esperienza e di storia esclusivamente italiane, ma che non si era mai definito italiano e che aveva avuto iscritti e dirigenti - perfino un segretario - non italiani, è oggi divenuto, in poco più di un anno, un partito di italiani e di ungheresi, di spagnoli e di sloveni, di portoghesi e di catalani, di sardi e di romeni, di belgi e di baschi, di serbi e di croati, di francesi e di polacchi, di bourkinabé e di israeliani, di turchi e di senegalesi.

Siamo legati alle nostre rispettive patrie, lingue e culture, ma vogliamo anche conquistare una patria comune, riconoscerci - oltre le frontiere - in una patria di comuni valori e ideali: una patria più alta, in cui possa affermarsi un nuovo diritto comune, un nuovo diritto delle genti.

Qui a Budapest ci troviamo perciò a casa nostra, ci troviamo nella nostra patria. E a tanta maggior ragione. Perché se per i nostri fratelli magiari i fatti del 1956 hanno lasciato a lungo una ferita non rimarginata nella loro vita e nella loro storia, per tutti noi quei fatti hanno rappresentato una ferita non rimarginata della nostra coscienza e della nostra memoria. Quei carri armati che, con la pretesa di combattere una controrivoluzione, stroncavano nel sangue e con la repressione le libere scelte del Popolo, delle sue istituzioni, dello stesso Partito comunista ungherese, riproponevano la scissione ed approfondivano la lacerazione fra ragione e potere, fra socialismo e libertà.

Oggi noi salutiamo questa speranza: che la cortina di ferro, oggi caduta, non solo nella scenografia del nostro Congresso, ma anche nelle coscienze, nelle volontà del Popolo e delle istituzioni ungheresi, possa cadere definitivamente ovunque fra le due Europe e che quella scissione possa felicemente ricomporsi nel segno della democrazia.

Ma esprimiamo anche la speranza, amici e fratelli ungheresi, che da Budapest questa vostra primavera, riconquistando al vostro paese ed al socialismo la democrazia, possa varcare le vostre frontiere ed estendersi ovunque in Europa, per rafforzare e rinnovare le stanche ed anchilosate democrazie reali dell'occidente, che hanno il torto di chiudersi in se stesse, nella difesa e nella gestione di un benessere che rischia di rivelarsi illusorio.

Rivolgiamo pertanto un ringraziamento alle autorità politiche e governative della Repubblica Popolare Ungherese per averci consentito, in coerenza con i loro recenti orientamenti e le loro decisioni, di tenere qui a Budapest il primo Congresso di un partito transnazionale e di un partito non comunista.

Siamo qui con tutte le nostre bandiere. Sono le bandiere della tolleranza laica e della nonviolenza gandhiana, del socialismo liberale e libertario, dell'intransigenza democratica e del garantismo liberale.

Ma siamo qui anche con grande e vera umiltà. Siamo protagonisti di un secolo tragico - ho personalmente un'età che mi ha permesso di conoscere direttamente la tragedia finale del fascismo e del nazismo e indirettamente quella dello stalinismo - per sapere quanto sia delicata e difficile la strada delle riforme e della libertà. Non siamo qui, dunque, per dare lezioni a nessuno. Siamo qui per mettere a confronto la nostra difficile ricerca ed esperienza con la vostra. Non siamo qui neppure con la presunzione di portarvi aiuto, anzi siamo qui per chiedervelo. Il successo e lo sviluppo positivo di questa vostra primavera è davvero essenziale per tutti noi, per l'Europa e per il mondo.

Vi diciamo dunque soltanto che nostre sono le vostre speranze e nostri i vostri problemi. Sappiamo che i vostri sforzi si svolgono in un situazione fragile come il cristallo, ma vi auguriamo che le tristi esperienze del passato vi aiutino a rendere come il cristallo, resistenti e duri, i vostri tentativi.

Ringrazio tutti coloro che, dalle istituzioni politiche ufficiali o dalle diverse espressioni del pluralismo politico, culturale e sociale, hanno accettato di partecipare a questo Congresso. Come ringrazio tutti coloro che sono venuti dalla Polonia e dalla Cecoslovacchia, dalla Russia o dalla Jugoslavia e che per la prima volta possono - in un foro comune - parlare e mettere a confronto i loro diversi problemi e le comuni speranze.

 
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