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Sotto il cielo del Proibizionismo (C'era una volta in America)

27 agosto 2007

di Maurizio Bolognetti

Era il 28 settembre 1988. I parlamentari europei radicali, Marco Pannella, Roberto Cicciomessere e Giovanni Negri, organizzavano con il PRT e il Cora(Coordinamento Radicale Antiproibizionista) uno straordinario convegno sui "Costi del Proibizionismo sulle Droghe". Gli atti di quel convegno, i preziosi interventi, quanto mai attuali, finirono in una splendida pubblicazione. Un libro che lessi, e forse dovrei tornare a leggere. Sulla copertina, curata da Maurizio Turco, la foto del Boss per antonomasia: Al Capone.

 

La scelta, quanto mai felice, di mettere Big Al in copertina conteneva un chiaro riferimento al traffico illegale di alcolici, innescato dalla stretta proibizionista instaurata nel 1919 dal Volstead act. Un proibizionismo che da un lato contribuì ad arricchire le mafie, dall'altro determinò un bagno di sangue per il controllo del mercato degli alcolici. Tra le stragi più sanguinarie determinate dal proibizionismo, quella del 14 febbraio 1929, meglio nota come strage di San Valentino: il commando che trucidò sette uomini aveva come mandate proprio Big Al.

Parlando della strage di Duisburg, quella che è stata già denominata la "Strage di Ferragosto", il giornalista de Il Quotidiano della Calabria, Pino Lombardo, ha scritto: "...nell'ambito della barbara e sanguinaria faida in corso tra le contrapposte cosche dei "Nirta-Strangio" e dei Votta-Pelle" che è anche lotta per la conquista dell'egemonia nel lucrosissimo traffico internazionale di droga..."

 

Il filo rosso del Proibizionismo accumuna dunque i morti ammazzati del febbraio del '29 e dell'agosto 2007. A Chicago negli anni venti, come a Duisburg in questo inizio di XXI secolo, ci si ammazza per controllare un mercato reso appetibile proprio dalla folle scelta Proibizionista.

Il fallimento del proibizionismo sugli alcolici nulla ha insegnato a chi continua a proporre, come soluzione all'uso e all'abuso di droghe, ricette fallimentari, che trasformano un problema socio-sanitario in una questione di ordine pubblico.

 

Il Proibizionismo, con il suo corollario di morti ammazzati e con il fiume di denaro regalato alle narcomafie. Un fiume di denaro che serve a corrompere e ad inquinare i mercati.

La storia del Proibizionismo è storia di fallimenti, e continua ad essere fallimentare. Il potente armamentario delle War on drugs non è servito a ridurre di un solo grammo la quantità di droghe circolanti, non ha ridotto di un solo dollaro o euro i profitti delle narcomafie, profitti paragonabili a quelli di una media potenza industriale. E questo senza contare la follia di leggi che portano all'utilizzo del diritto penale nel caso di crimini senza vittime. Tanto per essere chiari: l'ubriachezza in Italia non viene perseguita dalla legge, ma ad essere perseguita, come è giusto che sia, è la guida in stato di ebbrezza o l'ubriachezza molesta. Il Proibizionismo sulle droghe, invece, ha portato in molte parti del mondo all'approvazione di leggi che prevedono che il mero consumo di droghe sia reato. Con il Proibizionismo abbiamo regalato alle narcomafie la gallina dalle uova d'oro, attribuendo a prodotti che potrebbero valere quanto la cicoria un enorme valore sul mercato della droga proibita, ma, di fatto, libera.

 

Nel convegno radicale del 1988, il sociologo Amato Lamberti affermava: "Il proibizionismo della droga ha creato la mafia internazionale e ne ha fatto una potenza economica capace di influenzare gli andamenti di economie nazionali e gli scambi monetari internazionali...E' il Proibizionismo che consegna alle organizzazioni criminali sia il monopolio che il controllo e la direzione delle dinamiche espansive del mercato delle droghe nel mondo."

 

Tra gli interventi più interessanti di quel convegno tenutosi a Bruxelles, quello del Filosofo spagnolo Fernando Savater, che meriterebbe di essere trascritto per intero, ma del quale mi limiterò a riportare alcuni stralci: "La storia della droga è tanto lunga quanto quella dell'umanità e scorre parallela ad essa...Proibire la droga in una società democratica è qualcosa di ingiusto come proibire la pornografia, l'eterodossia religiosa o politica, la diversità erotica, i gusti alimentari. Inoltre si deve dire che è qualcosa di tanto inutile e dannoso come qualsiasi proibizione...La società esiste per aiutare, nei limiti delle possibilità, gli individui a realizzare i loro desideri e rettificare i loro errori, non per immolarli punitivamente agli idoli della tribù. A volte si fa equivalere la depenalizzazione delle droghe alla legalizzazione del crimine e alla prevaricazione o ai sequestri. Evidentemente niente può essere più distinto, poiché questi delitti hanno come primo obiettivo il danno altrui a proprio beneficio mentre nessuna droga è di per se stessa un male, ma può arrivare ad esserlo per le circostanze del suo uso...Il Compito dello Stato non può che essere che quello di informare nella misura più completa e razionale su ciascuno dei prodotti, controllare la sua elaborazione e qualità e aiutare coloro che lo desiderano o si vedono danneggiati da questa libertà sociale..."

 

Insomma, se lo scopo della Proibizione di alcune sostanze psicotrope è quello di salvaguardare la salute, o meglio di obbligare alla salute, imponendo che esse non possano essere assunte, allora ci si incammina su una china molto pericolosa. Infatti, se è compito dello Stato imporre la salute, allora lo Stato dovrebbe anche ordinarci di fare una adeguata attività motoria e prescriverci la dieta alimentare.

 

Esagero? Non credo. Thomas Jefferson, nelle "Note sullo Stato della Virginia", scriveva: "Se il governo ci prescrive le medicine e le diete, il nostro corpo sarebbe come la nostra anima. Così in Francia una volta l'emetico è stato proibito come medicina e la patata come genere alimentare."

 

Ha ragione Savater: la storia delle droghe è lunga quanto quella dell'umanità, così come è lunga e fallimentare, volendo guardare solo ai nostri ultimi cento anni di storia, la "Guerra alle droghe". Una guerra che reclama quotidianamente le sue vittime, che ha portato all'approvazione di leggi che ledono lo Stato di diritto, che comporta un enorme dispendio di uomini, mezzi, risorse, che potrebbero essere meglio indirizzati, magari in direzione di capillari campagne di informazione.

 

Migliaia di poliziotti, carabinieri, finanzieri sono costretti a dare la caccia ai milioni di consumatori di cannabis e a fronteggiare una criminalità organizzata resa più potente proprio dal narcotraffico. Tutto questo ha un senso?! Non è forse venuto il momento di interrogarsi seriamente sui "Costi del Proibizionismo", sulla necessità di passare dalla liberalizzazione di fatto ad una regolamentazione gestita dallo Stato?!

 

Oggi, in Italia e nel mondo, si contano a decine di migliaia i morti dovuti all'abuso di alcol o al tabagismo, eppure nessuno, in Italia, in Europa o negli Stati Uniti, ha proposto di proibire, o tornare a proibire, l'uso di queste sostanze.

Si è preferito puntare su adeguate campagne di informazione, miranti ad illustrare ai consumatori i danni prodotti dall'uso e dall'abuso. Negli Stati Uniti forse si è preso atto del fallimento della legge Volstead.

 

Sempre nel convegno del 1988, lo psichiatra Thomas S. Szasz affermava: "Se riflettessimo su tali questioni capiremmo che le droghe che vengono accettate(in particolare l'alcool, il tabacco e le droghe che alterano la mente considerate psicoterapeutiche), costituiscono una minaccia ben più grave e causano danni ancora più dimostrabili rispetto a quelli apportati dalle droghe

proibite o cosiddette "pericolose"."

 

A concludere quel convegno, l'intervento di Marco Pannella, che, tra l'altro, affermava: "Ma quello che è vero, invece, è che noi vogliamo ricondurre all'interno della parola e della legge, della legge in senso biblico, in senso evangelico, in senso giuridico, avere nella città, nella polis, leggi umane, leggi che assecondino la responsabilità, e quindi la libertà di ciascuno. Ecco perché, per quanto mi riguarda, preferisco dire antiproibizionismo per quel che nell'immaginario collettivo dei nostri popoli, del nostro tempo significa questo. Il mezzo cinematografico, e poi il mezzo televisivo, ha fatto sì che gran parte dei tre o quattro miliardi di abitanti della terra conoscano le epopee, o conoscano gli avvenimenti di Al Capone o di Chicago e hanno sentito raccontare - perché poi le nostre emigrazioni erano emigrazioni dei ceti popolari - che le mafie nascevano, a volte anche per delle logiche di autodifesa reale in un contesto culturale perverso. Ebbene, l'antiproibizionismo, grazie a questo, parla, credo, a tutte le categorie europee e americane; ci si ricorda vagamente attraverso quei film che cosa significavano i mitra, ed è importante avere nelle parole ancoraggio nell'immaginario e nella storia collettiva della gente..."

 

Già, il cinema! Con "Gli Intoccabili" e quell'affresco di storia americana raccontataci da Sergio Leone, nel 1984, con il suo "C'era una volta in America". Ed è in quest'ultimo film che assistiamo ad una delle scene più famose della storia del cinema, quella in cui i mafiosi fanno il funerale al proibizionismo, dando addio al colossale affare prodotto da una legge tanto inutile quanto produttrice di illegalità e morte.

 

Le parole e l'intervento di Marco Pannella ci riportano di nuovo in America e in Canada ai tempi dei bastimenti che partivano, trasportando le speranze di tanti uomini e donne del nostro Sud, che fuggivano la miseria per andare a cercar fortuna in America. Ma le parole di Marco Pannella ci riportano anche al Proibizionismo dell'America anni venti e all'Ontario Temperance Act. Ed proprio tra Canada e Stati Uniti che si svolge la storia di un emigrante calabrese di Platì, raccontataci da Concetta Guido sulle pagine del Quotidiano della Calabria

E' La storia del calabrese Rocco Perri, che, giunto in Canada sedicenne nel 1903, divenne "Il Boss dei liquori". Perri, come racconta la Guido, resosi conto che sotto il cielo del proibizionismo ci si poteva arricchire, riempì di whisky lo spaccio di alimentari che aveva aperto con i suoi sudati risparmi, diventando, di lì a poco, uno dei più grandi trafficanti di liquori e meritandosi l'appellativo di "Piccolo Cesare canadese".

Una storia tragica e al tempo stesso affascinante quella di Rocco Perri: una storia di miseria ed emigrazione, di ricchezza e di morte, che però è anche storia che racconta tanto dei frutti marci del proibizionismo sulle droghe.

 

Una storia che ci riporta a Duisburg e alla sanguinaria strage consumatasi per la conquista dell'egemonia della ricca torta derivante dal mercato degli stupefacenti.

Storie di ‘ndrangheta, storie di camorre, storie di mafie, storie come quella raccontataci da Roberto Saviano in "Gomorra".

 

Oggi come ieri, oggi più di ieri, c'è bisogno di capire. Ci sarebbe bisogno di un grande dibattito, quello che da sempre noi Radicali cerchiamo di innescare sui "Costi del Proibizionismo sulle droghe".

 

La storia delle disobbedienze civili Radicali con Marco Pannella innanzitutto, e con Rita Bernardini, con i tre giorni inglesi di Marco Cappato, e con tutti coloro che nel corso degli anni hanno dato corpo a questa lotta, nasce per porre all'ordine del giorno del dibattito politico italiano e internazionale la follia delle War on drugs.

 



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