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"Embrioni chimera, non mostri Li creo per salvare tante vite"

• da La Stampa - Tuttoscienze del 17 ottobre 2007, pag. 7

di g.bec.

In Italia Stephen Minger ri­schierebbe da due a sei anni di carcere e una sostanziosa multa. Ecco un modo alterna­tivo di salutare un illustre scienziato inglese, ricercatore al King's College di Londra e noto co­me «il padre degli embrioni-chime­ra»: a dargli l'anticonvenzionale benvenuto è stato Marco Cappato, segretario dell'Associazione Luca Coscioni che l'ha invitato a Roma per incontrare ricercatori e politi­ci e spiegare le sue clamorose ri­cerche.

 

Si considera in missione speciale?

«Non la chiamo missione, il conte­sto è più ampio. Voglio dimostrare quanto assurda sia la situazione italiana, dove si possono importa­re linee di staminali, ma non si pos­sono produrre».

 

E se qualcuno provasse a toccare un embrione-chimera - con materiale genetico sia umano sia animale - fini­rebbe in prigione: che effetto le fa?

«Negli incontri qui a Roma ho spie­gato che i governi non devono legi­ferare su questioni scientifiche, ma limitarsi a dare le regole».

 

Come accade in Gran Bretagna con la «Human Fertilisation and Embryology Authority»?

«Sì. L'Authority è un'agenzia indi­pendente, con un "board" ampio, depoliticizzato, composto da per­sone esperte».

 

Qual è il verdetto sulle sue ricerche?

«E' stato riconosciuto che si tratta di studi accettabili e ora sono in at­tesa di due "license applications" per cominciare i test».

 

Avrà luce verde? E quando?

«Sono ottimista, penso entro fine anno. Questa è  una "success story": il governo ha capito che non deve legiferare su questioni del genere e ha lasciato la parola all'Authority e agli esperti: scien­ziati, bioeticisti, avvocati...».

 

Il suo team, e gli altri che in Gran Bre­tagna stanno studiando le staminali, si sono impegnati in una battaglia pubblica: oggi il 61% delle persone è a favore delle ricerche con gli embrio­ni. Pensa che questo modello sia esportabile?

«Certo. Anche in Italia: voi dovre­ste cominciare dalla medicina ri­produttiva. D'altra parte la Cina ha un modello simile al nostro».

 

Che cosa risponde ai critici, che vedo­no negli embrioni-chimera un tuffo nella medicina «mostruosa»?

«Non c'è nulla di mostruoso. Rimuoviamo la parte animale dell'uovo e inseriamo il Dna umano e quindi, di animale, non resta quasi nulla».

 

E il Dna mitocondriale, quello del li­quido in cui il nucleo è immerso?

«Può  essere  ridotto  drastica­mente con sostanze specifiche. Di fatto, coltiviamo un embrione umano».

 

Che per la legge italiana equivale a un crimine.

«E' un errore. In Gran Bretagna, e nel mondo, ci sono tanti embrioni, che sarebbero distrutti comunque, mentre io sono moralmente obbliga­to a mettere in campo le mie capacità per guarire chi è malato».

 

Non la inquietano possibili usi distorti dell'embrione uomo-mucca?

«Ci sono le leggi: se donassi un embrio­ne umano e lo im­piantassi, in Gran Bretagna mi darebbero 20 anni di pri­gione».

 

Ma i suoi embrioni che cosa sono? Esse­ri umani in potenza?

«No, Perché non verranno mai im­piantati».

 

Perché ha bisogno della tecnologia ibrida?

«Usare ovociti animali permette di produrre grandi quantità di cellule embrionali e dobbiamo disporne di molte. Si svuota l'uovo animale e si inseriscono te cellule del paziente malato, poi entro il sesto giorno si forma il blastocisti e in 5-6 mesi si hanno le linee di staminali, con il difetto genetico che scatena la malat­tia che vogliamo studiare: io mi concentro su sindromi degenerative co­me Parkinson, Alzheimer e distro­fia muscolare, ma è evidente che le applicazioni sono più ampie».

 

Le ricadute terapeutiche?

«Ci vorranno almeno 15 anni per ap­prezzarle».

 

Sono molti gli scienziati che seguono la sua strada?

«Sì. In Cina sono state ottenute sta­minali da uova di coniglio, ma sane».

 

Che cosa pensa dei colleghi? Dall'Euro­pa agli Usa c'è chi esprime dubbi.

«Penso che molti non si battano ab­bastanza. In Gran Bretagna gli scien­ziati si fanno senti­re, ma negli Usa tanti preferiscono non farsi coinvolgere. Odiano l'idea di vedere i loro nomi sui giornali». Convincere opinione pubblica e politici è difficile: ha una strategia? «Bisogna creare legami con le asso­ciazioni dei malati e le organizzazio­ni umanitarie. Sono influenti e fan­no la differenza. Anche per voi».


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