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Fede biotech

• da Il Foglio del 17 ottobre 2007, pag. II

di Piero Vietti

“Mi considero un agnostico nei confronti delle cellule: non ho prevenzioni su nessuna delle direzioni in cui andare per cercare il tipo di cellule di cui ho bisogno”. Chi parla è Stephen Minger, direttore del laboratorio di Biologia delle cellule staminali del King’s College di Londra, noto per le sue ricerche sugli embrioni ibridi. Invitato dall’Associazione Luca Coscioni, ha parlato lunedì pomeriggio agli studenti dell’Università della Sapienza, e ieri a Palazzo Marini ha incontrato l’intergruppo parlamentare “Coscioni- Welby”. Il tema, scottante, era quello della legislazione inglese che permette la creazione di embrioni ibridi uomo-animale. Studioso di malattie nervose, il professor Minger, di fronte alla difficoltà di individuarne le cause, si è impegnato a trovare “il modo di aggiustarle”. Nel suo discorso di ieri ha così illustrato come “le cellule staminali adulte abbiano vantaggi e svantaggi: sono difficili da espandere, e creano solo il tessuto da cui sono prelevate”. Quelle embrionali non hanno questi limiti secondo lo scienziato inglese che ha aggiunto che “per i tessuti pancreatici o per curare i morbi di Alzheimer o Parkinson servono solo cellule embrionali. Ma occorre una mente aperta per affrontare questi temi: bisogna essere agnostici e pragmatici”. Dal 2001, anno della legge britannica che permette di derivare cellule embrionali umane, lui lavora su questo. Non bisogna però pensare, ammonisce Minger, che la legislazione inglese sia troppo permissiva: “E’ molto ferrea: ha istituito una banca embrionale e prevede controlli stretti da parte dell’authority”. I problemi legati all’utilizzo di queste cellule sono, a sentire ciò che dice, solo legati al numero di embrioni disponibili: “Troppo pochi. La nostra tecnica di togliere il nucleo all’ovocita e quindi inserirvi tessuto cellulare di un’altra persona potrebbe portare risultati con un alto numero di ovociti a disposizione”. Ecco perché si vogliono utilizzare ovociti animali. A sostegno di questo, Minger ha spiegato che questa tecnica ha già avuto successo in Cina, dove un gruppo di scienziati ha creato sei linee cellulari a partire da un coniglio. A chi ricordava che dopo quel caso nessuno al mondo – nemmeno gli stessi scienziati cinesi – è più riuscito a ripetere l’esperimento con successo, Minger non ha risposto, e si è detto “non preoccupato” dal fatto che nei mitocondri delle nuove cellule rimangano tracce di Dna animale: “La maggior parte dei mitocondri è umana, al massimo può esserci una diminuzione dell’Atp (la molecola chiave del metabolismo della cellula ndr.), ma è una perdita che considero marginale”. Infine una critica alla nostra legge 40 e l’auspicio che “con la banca di embrioni inglese, i ricercatori italiani possano creare linee cellulari, esportarle, metterle in banca e riprenderle pagando le spese di spedizione”.

Prima di Minger ha preso la parola Emily Jackson, membro dell’Hfea, l’Autorità per la fertilità e l’embriologia britannica che monitora le sperimentazioni sugli ibridi. Con un contributo video, Jackson ha mostrato come questa decisione sia stata presa dopo una consultazione pubblica fatta con normali cittadini informati sulla questione e chiamati a esprimersi sulla opportunità o meno di continuare la ricerca. Non mancano accuse ai media da parte degli organizzatori, che sul tema fanno solo sentire, secondo loro, la voce della chiesa: ieri mattina in compenso, non c’era nessuno scienziato critico di Minger, così come lunedì all’Università – cosa forse più grave, ha detto qualcuno, trattandosi di un incontro con degli studenti. L’unica voce critica è stata quella di Assuntina Morresi, membro del Comitato nazionale di bioetica, che ha posto diverse domande a Minger e Jackson. “La clonazione terapeutica – ha detto – ha un’efficacia sugli animali valutabile tra l’uno e il due per cento, e tra uomini non è mai avvenuta. Se la tecnica non funziona tra due esemplari della stessa specie, come si può pensare che avvenga per l’uomo con una cellula con mitocondri animali? Perché si trascurano gli studi di Robert Lanza, uno dei massimi esperti in materia, che sostiene che in questo tipo di ibridi i due patrimoni genetici, umano e animale, non si ‘parlano’ e bloccano la crescita delle cellule? Come ritenere poi possibile che si curino malattie neurodegenerative, alla cui base c’è un’alterazione del mitocondrio, con cellule già alterate?”. Minger ha detto che le malattie che studia non dipendono prevalentemente dai mitocondri. “E’ quel ‘prevalentemente’ che preoccupa – ha ribadito Morresi – così come il fatto che si parli di geni in termini numerici e non qualitativi per dire che la presenza di Dna animale non è significativo”. Morresi ha citato il parere chiesto a uno studio legale dall’Hfea su chi dovesse esprimersi sulle ricerche. “Si sa che il parere diceva che ‘probabilmente’ questo potere spetta all’Hfea, ma non è mai stato pubblicato”. Jackson e Minger non hanno però risposto alle domande, riservandosi di farlo per iscritto tra qualche giorno.


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