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Se tre suicidi al giorno vi sembran pochi

• da Il Riformista del 19 ottobre 2007, pag. 3

di Carlo Troilo

A un anno e mezzo dall'inizio del­la legislatura, in un quadro politico co­sì turbolento da rendere possibile an­che un ritorno anticipato alle urne, nessuna delle principali questioni eti­camente sensibili - unioni di fatto, te­stamento biologico, eutanasia, revisio­ne della legge 40 - sembra prossima a trovare una soluzione legislativa. Que­sta situazione di empasse totale si deve soprattutto ai veti della Chiesa e alla obbedienza della maggioranza delle forze politiche, per convinzione ma più spesso per opportunismo, alle sue di­rettive. Ma in parte essa è dovuta a er­rori di comportamento delle forze laiche che si battono per quelle leggi, er­rori come quelli commessi in materia di unioni di fatto (l'insistenza nel voler presentare un ddl del governo, per di più reso pasticciatissimo dall'improbo tentativo di mettere insieme i punti di vista dei ministri Pollastrini e Bindi).

 

Un discorso simile si può fare sulla eutanasia. In questo caso converrebbe mettere in fila alcuni dati di fatto e poi pensare alla soluzione legislativa reali­sticamente perseguibile.

 

Primo: da 5 o 6 anni innumerevoli sondaggi mostrano come sia netto e cre­scente, soprattutto dopo la drammatica vicenda di Pier Giorgio Welby, il consen­so della maggioranza degli italiani (an­che dei cattolici) sulla eutanasia, almeno nel caso dei malati terminali nel pieno delle loro capacità intellettuali.

 

Secondo: hanno suscitato notevole impressione i dati Istat sui suicidi di ma­lati terminali, che io stesso ho "scoperto" e reso noti circa un anno fa: circa 1.000 l'anno (3 al giorno), oltre ai tanti che non sono ufficialmente rilevati dalle forze dell'ordine e trasmessi all'Istat.

 

Terzo: malgrado tutto ciò, parlare di eutanasia significa ancora violare un tabù: una violazione che appare più grave se ci si muove con proposte di legge che abbracciano anche altri temi, come il testamento biologico, e che re­cano solo le firme di parlamentari del­la Rosa nel pugno, forte­mente critici con l'ingerenza della Chiesa su questi temi. Converrebbe    dunque, con grande pragmatismo, la­sciare che seguano il proprio iter parlamentare le norme più complesse sul testamen­to biologico e sulla eutanasia - naturalmente continuando a impegnarsi per la loro approvazione - e concentrarsi subito su un tema circo­scritto ma scottante: la possibilità del sui­cidio assistito per i malati terminali. Co­me avvenuto in passato per la abolizione delle norme sull'adulterio o sul "delitto d'onore" (e non si trattava di temi mar­ginali), basterebbe agire direttamente sul codice penale, proponendo la modi­fica dell'articolo 480, che punisce l'aiuto al suicidio con la reclusione da 5 a 12 anni. Si tratterebbe di aggiungere due articoli che da un lato dichiarino «non punibile» il medico che aiuta attivamente a morire il malato   terminale, dall'altro stabiliscano una serie di con­trolli e di garanzie per accer­tare che il richiedente sia pienamente compos sui e che non vi siano condizionamenti, al fine di evitare possi­bili usi impropri della norma.

 

Il relativo ddl dovrebbe essere fir­mato da parlamentari che rappresentino il più ampio e trasversale arco di forze politiche, compresi alcuni dei 40 già iscritti alla Associazione Luca Coscioni e dovrebbe essere sostenuto con grande determinazione, perché non si può igno­rare, su un tema così importante, la vo­lontà della grande maggioranza degli italiani. Per sostenere questa riforma del codice penale andrebbero ricordati sen­za posa e con durezza i mille suicidi l'an­no, le interminabili sofferenze di Welby e di Nuvoli e quelle di Eluana Englaro, che da 15 anni attende di poter morire: si tratta di una realtà intollerabile, che un paese civile non può lasciare immutata. I cattolici, convinti che la vita è un dono di Dio e solo Dio può decidere come e quando riprenderla, offrano pure le pro­prie sofferenze per conquistarsi il regno dei cieli: noi li rispettiamo. Ma non pre­tendano di costringere i non credenti al­la inaccettabile alternativa tra le prolun­gate e inutili sofferenze del malato ter­minale e l'orrore del suicidio: rispettino il loro dramma e la loro volontà. 


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