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«Welby aveva il diritto di morire»

• da Il Mattino del 19 ottobre 2007, pag. 7

di Pasquale Faiella

La sera del 20 dicembre dello scorso anno Piergiorgo Welby visse serenamente le sue ultime ore prima di farsi staccare il ventilatore che da dieci anni pompava aria nei suoi polmoni. «L’esperienza della morte vissuta con modalità di assoluta quotidianità e semplicità, come un momento apparentemente uguale a tanti altri». Una considerazione che appare in uno dei principali passaggi della sentenza, depositata ieri, dal gup del Tribunale di Roma, Zaira Secchi, sulle motivazioni del proscioglimento di Mario Riccio, l’anestetista che aiutò Welby a morire.

 

Sessanta pagine in cui il giudice spiega che era un diritto per Welby rifiutare la terapia, e un adempimento del dovere, secondo l’articolo 51 del codice penale, quello dell’anestesista Mario Riccio, prosciolto dall’accusa di omicidio del consenziente, di «staccare la spina».

 

«Il diritto al rifiuto dei trattamenti sanitari - si legge ancora nella sentenza - fa parte dei diritti inviolabili della persona di cui all’articolo 2 della Costituzione e si collega strettamente al principio di libertà e di autodeterminazione riconosciuto all’individuo dall'articolo 13 del dettato costituzionale». Il giudice sottolinea «il riconoscimento dell’esistenza di un diritto alla persona di rifiutare o interrompere le terapie mediche discendente dal secondo comma dell’articolo 32 della Costituzione secondo il quale ”nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizioni di legge”».

 

Ma il giudice è molto chiaro, nelle sue motivazioni, anche nel stabilire dei paletti alla singola vicenda: «Il rifiuto di una terapia salvavita - scrive il gup - può essere revocato in qualsiasi momento e quindi deve persistere nel momento in cui il medico si accinge ad attuare la volontà del malato». Sembra quasi riferirsi a casi attuali (come quello di Eluana Englaro) il gup quando poi spiega che: «È necessario che il rifiuto sia reale e, segnatamente, sia compiutamente e chiaramente espresso e non sia desumibile semplicemente dalle condizioni di sofferenza o dalla gravità del male». «Sia il rinvio della Cassazione su Eluana Englaro che, ancor più, la cristallina sentenza su Piergiorgio Welby - ha commentato l’europarlamentare radicale, Marco Cappato, segretario dell’associazione Luca Coscioni - confermano che in Italia esiste già un diritto, garantito dalla Costituzione, a decidere in piena libertà e responsabilità sulle proprie cure, eventualmente anche per la loro sospensione».


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