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Una moratoria, tre vittorie

• da L'Unità del 19 dicembre 2007, pag. 1

di Furio Colombo

Diciamo la verità: Roma avrebbe dovuto suonare le campane come si fa nei giorni di gran festa. Per fortuna al Colosseo si sono accese le luci per dare l’annuncio a chi ancora non lo sa, a chi non ha seguito giornali radio e telegiornali.

Per fortuna la gente del mondo lo sa: l’Italia testarda e neppure spalleggiata (o spalleggiata con distrazione) dall’Europa, ha fatto ciò che le armi non fanno: ha cambiato le carte in tavola nella storia del mondo.

Noi sappiamo benissimo - e lo sanno coloro che leggono questo giornale - che alle spalle dell’Italia, che si è fatta avanti con l’immagine e il prestigio del suo governo, della sua diplomazia, e di ciò che sa far meglio - discorsi di pace e non di potenza - c’è il Partito Radicale e l’ossessione insieme tragica e festosa di Marco Pannella.

C’è l’impegno accanito del Partito Radicale (Radicali italiani, Partito transnazionale, l’organizzazione radicale “Nessuno tocchi Caino” Radio Radicale, i convegni, le conferenze stampa di Pannella, a cui i giornalisti vanno, se vanno, con un sospiro e se scrivono più di venti righe il loro giornale, anche se ha sessanta pagine, se le inghiotte lasciando solo un po’ di colore) un impegno che attraverso gli anni e alcune brucianti sconfitte, non è finito e non si è allentato mai, non si è mai concesso distrazioni o vacanze.

Ora dobbiamo dire che un buon governo, che deve avere capito e creduto in quel che faceva, e non solo un favore ai Radicali, ha messo l’immagine e il prestigio del Paese Italia davanti all’ostinato progetto, ha scosso l’apatia un po’ incosciente dell’Europa, ha lavorato bene a far crescere giorno per giorno il numero dei Paesi grandi e piccoli che hanno detto sì e hanno lavorato bene a rendere possibile il gruppo degli astenuti, che hanno impedito la levitazione dei no e hanno allargato l’immagine dell’Italia come Paese serio, impegnato, credibile.

Dunque l’Italia Paese e l’Italia governo hanno vinto uno splendido gioco d’azzardo, il più difficile se si pensa al mondo in cui viviamo, all’epoca che stiamo attraversando: la vita contro la morte, la vita contro il boia, la vita contro la giustizia come vendetta. Come non riconoscere merito a questo governo italiano per qualcosa che prima non era mai accaduto nonostante l’impegno valoroso di alcuni diplomatici italiani (penso all’Ambasciatore Fulci alle Nazioni Unite negli anni Novanta) nonostante l’impegno formale, però molto meno tenace di quest’ultimo episodio, finalmente coronato di successo. Il fatto è che - come in uno strano teatro d’avanguardia - alle spalle di questo governo il cui successo va riconosciuto e lodato, ci sono - come c’erano fin dall’inzio - i Radicali, e sopratutto i tre ostinati protagonisti di più di un decennio di testarda e ripetuta battaglia, anzi una vera e propria guerra della non violenza: Marco Pannella, Emma Bonino, Sergio D’Elia. C’è una lezione - in questa vittoria - su ciò che vale quel partitino. Sarebbe meglio, d’ora in poi, prenderlo sul serio, visto che la loro tenacia ha messo in scena, come eroe del momento, il Paese Italia, cittadini e governo.

Però perché non trarne anche una lezione morale e politica, in un Paese in cui, a causa della frivolezza esibizionistica creata dai talk show della televisione, ogni promessa evapora, ogni impegno finisce, ogni cosa già fatta, e magari quasi finta, viene abbandonata per farne un’altra o meglio per annunciarne un’altra che magari non si farà?

La circostanza straordinaria su cui abbiamo la fortuna e l’orgoglio di riflettere, ci dice che la lezione radicale di oggi non dovrebbe andare perduta anche per coloro che non condividono impegni e battaglie di quel partito. È la persuasione che le cose non accadono da sole, che la meticolosa volontà che si rinnova sempre, si rafforza coi digiuni, si conferma ricominciando da capo, mentre gli altri politici alzano gli occhi al cielo prima e dopo partecipare all’ennesimo e un po’ umiliante passaggio televisivo. È la capacità di cogliere, in un paesaggio confuso e contraddittorio, la cosa più importante, in questo caso la pena di morte. E la visione: saper vedere, e saper spiegare. Quante cose tremende porta con sé la pena di morte accettata come normale, dal disprezzo dei più deboli alla violazioni sistematiche dei diritti umani. E quante cose la pena di morte si porta via quando scompare.

La crudeltà nelle carceri, ma anche verso le carceri. La tendenza a dimenticare sia l'affollamento che la intollerabile condizione di vita, sono tutti fenomeni che viaggiano al seguito di una civiltà che crede nel diritto di uccidere e nella quale diventa più facile e più naturale vedere nella guerra una soluzione, una virile via d’uscita.

C’è un’altra lezione in questo evento ottenuto con tanta tenacia dai Radicali e tanto (finalmente) impegno di governo e di diplomazia: è la lezione del senso dei limiti che rende possibile l’impossibile. È la stessa cultura che proponeva - con realistica intelligenza - di rimuovere Saddam Hussein (aveva quasi accettato) piuttosto che distruggere l’Iraq e la sua gente. Innocenti inclusi.

In questo caso l’idea è la moratoria. Niente viene imposto a nessuno, non si mettono le mani nelle leggi degli altri, non si fa la parte dei buoni. Il successo grandioso è questo: avere chiesto e ottenuto da tutti i Paesi del mondo di fermare il boia e di pensare. Serve la pena di morte?

Non è un caso se proprio in questi giorni, per l’esattezza tre giorni fa, il popoloso Stato americano del New Jersey, uno dei più importanti anche dal punto di vista economico e politico, negli Usa, ha dichiarato all’improvviso la fine della pena di morte. Nessuno negherebbe, negli Stati Uniti che stanno cambiando, l’influenza e la spinta della moratoria italiana.

Mentre scriviamo le campane non suonano. Nonostante questa straordinaria vittoria della vita e della civiltà che si oppone alla morte come pena legale. Temono forse di celebrare le stesse persone che si sono strette intorno e Luca Coscioni, a Piergiorgio Welby, le stesse che si intestardiscono sul testamento biologico e mìnel rispetto per le coppie di fatto). Ma anche senza campane il
New York Times potrà dire che oggi l’Italia è meno confusa, meno triste, e con un po’ di orgoglio.

Merito di un buon impegno di governo. Merito dei radicali.



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