A nessuno piace morire soffrendo
|
• da Il Riformista del 21 dicembre 2007, pag. 1
L'idea di aprire un dibattito sull'eutanasia è cerÂtamente un alto omaggio alla memoria di PiergiorÂgio Welby a un anno dalla sua morte, e anche a quella di Luca Coscioni che ha dato vita alla assoÂciazione dove Piergiorgio ha riconosciuto il terreno politico più fertile per coltivare la rivendicazione di un diritto civile. Non c'è tanto da discutere, come riÂleva anche Trailo, sul fatto che una legalizzazione dell'eutanasia sia compatibile con l'ordinamento costituzionale vigente. Chi scrive sa anche, in quaÂlità di storico della medicina, che non ha alcun fonÂdamento la tesi per cui la difesa della vita ad ogni costo sarebbe una sorta di marchio d'origine della deontologia medica occidentale: solo una conoscenza parziale o strumentale delle origini e della storia del giuramento ippocratico può indurre a sostenere che abbia ancora qualche valore. Anche solo simboliÂco. Sul piano filosofico e dell'etica applicata gli unici argomenti contro la liceità morale e legale dell'euÂtanasia sono solo di natura dogmatica e discendoÂno dal principio dell'indisponibilità del bene vita come valore assoluto. Un principio che può e deve valere per chi lo condivide, ma che in una democraÂzia liberale non dovrebbe essere imposto come norma di stato. Non ci sono prove di abusi in nesÂsuno dei paesi che hanno legalizzato l'aiuto a moÂrire, suicidio assistito o eutanasia. Né per quanto riÂguarda la Svizzera dove è depenalizzato. Anzi, i daÂti dell'indagine Eureld dimostrano che i paesi coÂme Olanda e Belgio, dove l'eutanasia è legalizzata, praticamente non esistono casi di pazienti che venÂgono aiutati a morire contro la loro volontà . MenÂtre l'Italia, insieme a Svezia e Danimarca, è tra i paesi dove è più alta la percentuale di eutanasie clandestine. In Italia, e il dato se fosse generalizzabile sarebbe terribile, circa la metà dei medici che hanno risposto al questionario Eureld dicono di aver praticato l'aiuto a morire senza parlarne con il paziente terminale. Anche i dati raccolti dall'OrdiÂne dei medici sono abbastanza indicativi: quasi l’ % dei medici italiani dice che almeno in un caso ha aiutato un paziente a morire (sono circa trecenÂtomila i medici in Italia!) e la maggioranza relativa è favorevole ad aiutare a morire i pazienti in conÂdizioni terminali e che ne facciano esplicita.  Nella società italiana sono senÂza alcun dubbio largamente diffusi, e lo saranno sempre di più con l'inÂvecchiamento ulteriore della popoÂlazione, valori decisamente laici per quanto riguarda le scelte di fine viÂta. E non solo quelle. Insomma, quasi a nessuno piace morire ranÂtolando e soffrendo in modo insopÂportabile, cioè perdere quelle capaÂcità di autocontrollo che sono la sostanza della dignità personale. AnÂche l'amore per i propri cari, a diÂspetto di chi pensa solo male delÂl'eutanasia, induce spesso a non voÂler prolungare una situazione in cui all'angoscia della morte o al dolore fisico si somma la percezione della sofferenza dei famigliari. Questi valori laici, che sono considerati imÂportanti già per la maggioranza della popolazione italiana, più che la tutela di una vita in senso astratÂto, ancora non sembrano però inÂfluenzare il voto politico: un fatto su cui fanno grande affidamento gli esponenti politici e i partiti che si pongono come riferimento per i valori della chiesa cattolica. E che può mettere seriamente a rischio il cammino del Pd. Non so dire però, francamente, quanto sia strategico puntare sulla legalizzazione delÂl'eutanasia per i malati terminali, mentre è in corso una battaglia per le direttive anticipate. Da persona che ha studiato abbastanza il proÂblema sotto il profilo della bioetica, ritengo che ci si debba rendere conÂto che l'eutanasia è solo una delle scelte che si dovrebbero poter faÂre in condizioni di fine vita. Pur dandogli la stessa rilevanza delle altre, rimane una e peraltro circoÂscritta alla persone in piena coÂscienza. Mentre le direttive anticiÂpate di trattamento possono coÂprire aspetti assai più ampi e posÂsono prevenire situazioni di soffeÂrenza personale e disgregazione familiare, destinate a diventare un carico sociale sempre più gravoso, dove non è disponibile la coscienÂza per agire. In tal senso, un paese davvero civile dovrebbe dotarsi sia del cosiddetto testamento bioÂlogico, sia di una legge per l'eutaÂnasia volontaria. Ma il primo e più importante passo, perché di più ampia portata, per migliorare la qualità del morire è una buona legge sulle direttive anticipate. Â
|
|
|
|