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Ricerca, serve anche ripensare i criteri di assegnazione dei fondi

• da Europa del 3 gennaio 2008, pag. 6

di Piergiorgio Strata

Caro direttore, voglio rispondere e ringraziare personal­mente il presidente della commissione sanità al sena­to Ignazio Marino per le parole di attenzione e apprezza­mento che ha espresso qualche giorno fa sul suo giornale in merito all'iniziativa lanciata insieme all'Associazione Luca Coscioni riguardante l'appello di scienziati e accade­mici al ministro Livia Turco perché i 350 milioni per la ri­cerca siano assegnati secondo criteri scientifici. Finora quell'appello - che ha avuto una bassa eco sui giornali e sulle tv - ha raccolto però la sottoscrizione di oltre 600 ricercatori, scienziati e accademici che stanno chiedendo al ministro di cambiare sistema di assegnazione dei fondi da parte del sistema pubblico.

 

Se è vero che l'economia di un paese dipende dagli investimenti in ricerca è importante dotarsi anche di un sistema di distribuzione delle risorse che sia altamente meritocratico. Il metodo seguito praticamente in tutti i paesi sviluppati è quello detto peer review. Pur con qualche variante, in linea di principio si tratta di emanare un ban­do pubblico su un determinato oggetto di ricerca, nomina­re dall'alto una commissione di esperti con ottime referen­ze scientifiche alla quale assegnare il compito di valutare i progetti, e di stabilire l'entità del finanziamento necessario. Per fare questo i membri della commissione si avvalgono della collaborazione di revisori esterni i quali sono dei superesperti del singolo progetto che, in maniera del tutto anonima, esprimono un giudizio di merito. Alla commis­sione spetta il compito di amalgamare i giudizi ricevuti e di stilare una graduatoria finale. La nomina della commis­sione è il punto più critico ed il risultato finale dipenderà da questa scelta. Inoltre, le regole vogliono che i commissari non possano essere destinatari di finanziamento e che i revisori anonimi ester­ni non solo non possano es­sere scelti tra chi fa domanda di finanziamento, ma nep­pure giudicare progetti di chi ha con loro collaborato in tempi recenti.

 

In Italia, questo metodo è poco diffuso a livello di di­stribuzione di finanziamenti pubblici. Per antica tradizione sono state tramandate nel tempo procedure di diverso tipo. Un modello è quello di affidare la distribuzione dei fondi ad un comitato di persone elette dai destinatari di tali risorse. Il punto debole di questo sistema sta nel fatto che la persona eletta da un raggruppamento disciplinare decide come distribuire le risorse tra i suoi elettori. Pertanto, la decisione è condizionata da almeno due fattori: da una parte manca l'anonimato nel potere decisionale e dall’altra vi è un inevitabile imbarazzo nel distribuire risorse tra chi magari aveva fatto campagna elettorale per il vincitore ri­spetto a quelli che l'avevano fatta per gli sconfitti.

 

Considero come la più grande riforma fatta dal ministro Berlinguer l'avere rotto questo meccanismo almeno a livello universitario e avere in­trodotto il sistema di valutazione tramite reviso­ri esterni anonimi come il Prin.

 

Ancora un altro modello è quello definito progetto strategico. In questo caso, definito un tema di importanza strategica, si chiede ad una persona o ad un gruppo di persone di identificare coloro che possono contribuire allo svolgimento del progetto. Questo viene poi presentato nelle sedi istituzionali per essere approvato. Spesso, anche la persona o le persone incaricate di organizzare il piano diventano destinatari del finanziamento.

 

Tutti questi sistemi soffrono di conflitti di interesse, di mancanza di una reale indipendenza di giudizio e sono soggetti a inevitabili, odiose ed imbarazzanti pressioni esterne. Credo che sia giunto il momento di cambiare rotta e che si imponga l'obbligo per tutti i finanziamenti pubblici di seguire la strada che è ormai in uso in tutti i paesi sviluppati. Anche le Fondazioni bancarie potrebbero adottare un simile rigoroso sistema.

 

Rimane un punto critico: qualunque valutazione può fallire se chi la dirige dall'alto non è in grado o non ha la volontà di controllare e di influenzarne la qualità. In Italia ali inizio degli anni novanta nacque Telethon per iniziativa di Susanna Agnelli. In pochi mesi fu messo in piedi un sistema di peer review con una commissione scientifica che includeva prestigiosi ricercatori stranieri e di valutazoni esterne anonime. Ancora oggi Telethon rappresenta un sistema di riferimento, a dimostrazione che anche nel nostro paese si possono creare cose buone. Ma credo anche che Telethon abbia funzionato bene finora perché a capo dell'organizzazione vi era l'impegno serio di una persona come Susanna Agnelli la quale voleva in tutti i modi che il sistema funzionasse al meglio.


NOTE


co-Presidente Associazione Luca Coscioni


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