Uno degli aspetti più apÂpassionanti della mia profesÂsione è quello di trovarmi spesso in situazioni che hanÂno a che fare - in modo quasi paradigmatico - con l'impeÂgno politico che mi lega ai raÂdicali da ormai più di trentaÂcinque anni. Ma mi ci è sempre voluto un po' di tempo prima di capirlo. E’ successo fin dai tempi della battaÂglia sull'aborto, quando il Partito Radicale con l'Mld (Movimento di liÂberazione della donna) orgaÂnizzava la disobbedienza ciÂvile   mettendo su quella straordinaria esperienza del self help e delle autodenunce che portarono all'arresto del ginecologo di Firenze GiorÂgio Conciani, ma anche del segretario del Pr Gianfranco Spadaccia che se ne assunse la piena responsabilità politiÂca e militante. Era il mese di gennaio del 1975. Il 26, sul palco del Teatro Adriano a Roma, davanti a migliaia di persone, arrestarono Adele Faccio. Fu una giornata indiÂmenticabile: conobbi il gineÂcologo belga Willy Peers, inÂvitato dai radicali perché imÂpegnato per la legalizzazione dell'aborto in Belgio. Era il medico che mi aveva fatto nascere (con il metodo allora pionieristico del parto indoÂlore). Emma Bonino fu arreÂstata nel mese di giugno.
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Ero iscritta all'Università Cattolica di Roma e vivevo una strana contraddizione che mi creava non pochi diÂsagi. Organizzammo alla CatÂtolica un affollatissimo dibatÂtito con studenti, medici e inÂsegnanti cui parteciparono Pannella e Adriano Bompiani. Partì la raccolta di firme per il referendum abrogativo degli articoli del codice penaÂle che criminalizzavano l'aÂborto. Il ricordo della forza trainante di quel movimento mi appare oggi come quello di un'onda inarrestabile.
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Nel '78, quando fu apÂprovata la Legge 194, mi lauÂreai. E potei finalÂmente iscrivermi alla specializzazioÂne in Ginecologia alla Sapienza (scoÂprendo, lo dico sempre, ben altre forme di serviliÂsmo). Cominciai a lavorare all'Aied (Associazione italiana eduÂcazione demografica), fondata nel '53 da un gruppo di giornalisti, scienziati e uomini di cultura, tra i quali Luigi de Marchi. Ancora temi radicali: conÂtraccezione, informazione sessuale, sterilizzazione volontaria. Ma anche prevenÂzione delle malattie sessualÂmente trasmesse, corsi nelle scuole, trasferte negli ospeÂdali in altre regioni dove vi erano solo medici obiettori di coscienza (sembra increÂdibile, ma è una situazione che esiste ancora oggi).
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Negli anni Ottanta mi deÂdico principalmente al mio lavoro. Pendolare a 100 chiÂlometri da Roma. Levatacce, treno o macchina, per dieci anni. Mi allontano dalla miliÂtanza attiva, ma resto tenaceÂmente legata alla «mia famiÂglia radicale». È possibile!! Fino all'incarico all'Ospedale S.Filippo Neri di Roma, nel '92, dove conosco Luigi Montevecchi e con lui la mia pasÂsione per la chirurgia endoscopica.
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Nel 2000 scopro una traÂsmissione su Radio Radicale che mi interessa particolarÂmente: è fatta benissimo, da Cinzia Caporale. Si occupa di bioetica. Ed ecco che si riaÂpre il mondo! Cinzia è fissata sulla  discussione  della legge sulla fecondazione assistita (ancora non si chiama «procreazioÂne»). Trovo l'arÂgomento poco attraente, mi chiedo  per quale motiÂvo le donÂne debbaÂno «volere un figlio a tutti i coÂsti», faccio parte di quei gineÂcologi che di fronte alla coppia sterile tiÂrano fuori gli indirizzi utili, dove inviarle. Ma piano piano comincio a capire.
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Conosco Luca Coscioni. Il suo sguardo penetranÂte, il suo viso simpatico e intelligente sono irresiÂstibili. Maria Antonietta, i suoi genitori, sua sorelÂla, perfino chi si occupa di lui nell'assistenza... sono tutti belli! Non mi vergogno di diÂre che è lui che fa capire a me - ginecologa - il senso della battaglia sulla legge 40. CapiÂsco quale insulto rappresenti la legge 40, sia per i medici che per i pazienti infertili, ma capisco anche l'alÂtro senso, quello per cui «il maÂlato ha il diritto civile di avvalersi del progresso della ricerca scientifica affinchè il diritto alla salute, alla guarigione o comunque alla riduzione della sofferenÂza, vengano rispettati e non violati da una legge-dogma di Stato che in nome della feÂde blocca, sbarra la libertà di fare ricerca, di scoprire il mondo della vita e della natura».
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Ma Luca fa di più: al primo conÂgresso costitutivo dell'associazione cui da il suo nome, nel dicembre 2002, mi chiede di entraÂre a far parte della giunta. Il mio coinvolgimento è sancito, io voglio stare con lui, e con loro. Loro sono le persone nuove che si aggiunÂgono ai miei radicali di semÂpre. E stavolta sono malati con storie incredibili di coÂraggio, di dignità , di tenacia, di forza, dalle quali noi "saÂni" veniamo trascinati fino all'entusiasmo. Sono Severino Mingroni, Sabrina Di Giulio, Antonio Tessitore, Davide Cervellin, AlessanÂdro Frezzato, Rosma Scuteri, e i tanti di cui non mi vengono i nomi. E loro sono anche i professori, i ricercatori, gli scienziati, i medici, gli avvoÂcati e tutti quei professionisti che decidono di scendere in campo per far parte di queÂsto organismo ibrido in nome della lotta per il rispetto del proprio lavoro e dell'amore per la ricerca scientifica. Un gruppo che sappia tradurre politicamente tutte queste aspirazioni, iscrivendosi nella tradizione delle battaglie raÂdicali. Mi trovo nuovamente a condividere un'esperienza che per me rappresenta la sintesi delle cose che sono la mia vita: la medicina e l'imÂpegno militante per rendere sensate le leggi umane che regolano le nostre vite.
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Ma ho ancora delle cose da capire. Nel 2006 scoppia il caso Welby. Ancora una volta, di fronte al tema eutaÂnasia, mi sento un po' a disaÂgio. Non tanto nel comprenÂdere la richiesta di chi si troÂva nelle condizioni estreme e non più   sopportabili, quanto riguardo al ruolo del medico nell'accedere alla riÂchiesta. E ancora una volta, grazie alla formidabile batÂtaglia di Piergiorgio, si dipana la matassa della conÂfusione, del  preÂgiudizio, della difÂfidenza. Ho la forÂtuna di conoscere Piergiorgio nei suoi ultimi giorni. E Mina. E Mario Riccio. E Ignazio Marino. Grazie a loro tutta questa battaglia ha acquistato ai miei occhi il suo senso. E deÂvo dire che la folla dei funeÂrali di Welby mi ha aperto gli occhi sul fatto che c'è tanta gente che, quel senso, lo aveva capito bene.
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Esistono cose di cui non si è particolarmente convinÂti, di cui si sente parlare senÂza provare nessun interesse fino al giorno in cui capita di viverle personalmente. È alÂlora che si diventa capaci di capire, che l'atteggiamento mentale cambia e che si scoÂpre il senso delle questioni che sembravano le più estraÂnee a noi. Io oggi vorrei dire a chi legge di non aspettare troppo tempo per capire. Entrare nell'associazione Luca Coscioni può rappreÂsentare una straordinaria opportunità di conoscere le persone che sono riuscite a fare delle proprie storie lo strumento per far capire agli altri. Quelle persone, a Salerno (dove si terrà il prossiÂmo congresso dell'associaÂzione, ndr), ci saranno.Â