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Luca mi insegnò il valore della libertà di ricerca

• da Il Riformista del 4 gennaio 2008

di Mirella Parachini

Uno degli aspetti più ap­passionanti della mia profes­sione  è  quello  di trovarmi spesso in situazioni che han­no a che fare - in modo quasi paradigmatico - con l'impe­gno politico che mi lega ai ra­dicali da ormai più di trenta­cinque anni. Ma mi ci è sempre voluto un  po'  di  tempo prima di capirlo. E’ successo fin dai tempi della batta­glia sull'aborto, quando  il  Partito Radicale con l'Mld (Movimento di li­berazione della donna) orga­nizzava la disobbedienza ci­vile    mettendo su quella straordinaria esperienza del self help e delle autodenunce che portarono all'arresto del ginecologo di Firenze Gior­gio Conciani, ma anche del segretario del Pr Gianfranco Spadaccia che se ne assunse la piena responsabilità politi­ca e militante. Era il mese di gennaio del 1975. Il 26, sul palco del Teatro Adriano a Roma, davanti a migliaia di persone, arrestarono Adele Faccio. Fu una giornata indi­menticabile: conobbi il gine­cologo belga Willy Peers, in­vitato dai radicali perché im­pegnato per la legalizzazione dell'aborto in Belgio. Era il medico che mi aveva fatto nascere (con il metodo allora pionieristico del parto indo­lore). Emma Bonino fu arre­stata nel mese di giugno.

 

Ero iscritta all'Università Cattolica di Roma e vivevo una strana contraddizione che mi creava non pochi di­sagi. Organizzammo alla Cat­tolica un affollatissimo dibat­tito con studenti, medici e in­segnanti cui parteciparono Pannella e Adriano Bompiani. Partì la raccolta di firme per il referendum abrogativo degli articoli del codice pena­le che criminalizzavano l'a­borto. Il ricordo della forza trainante di quel movimento mi appare oggi come quello di un'onda inarrestabile.

 

Nel '78, quando fu ap­provata la Legge 194, mi lau­reai. E potei final­mente iscrivermi alla specializzazio­ne in Ginecologia alla Sapienza (sco­prendo, lo dico sempre, ben  altre forme di servili­smo). Cominciai a lavorare all'Aied (Associazione italiana edu­cazione  demografica), fondata nel '53 da un gruppo di giornalisti, scienziati e uomini di cultura, tra i quali Luigi de  Marchi. Ancora temi radicali: con­traccezione, informazione sessuale, sterilizzazione volontaria. Ma anche preven­zione delle malattie sessual­mente trasmesse, corsi nelle scuole, trasferte negli ospe­dali in altre regioni dove vi erano solo medici obiettori di coscienza (sembra incre­dibile, ma è una situazione che esiste ancora oggi).

 

Negli anni Ottanta mi de­dico principalmente al mio lavoro. Pendolare a 100 chi­lometri da Roma. Levatacce, treno o macchina, per dieci anni. Mi allontano dalla mili­tanza attiva, ma resto tenace­mente legata alla «mia fami­glia radicale». È possibile!! Fino all'incarico all'Ospedale S.Filippo Neri di Roma, nel '92, dove conosco Luigi Montevecchi e con lui la mia pas­sione per la chirurgia endoscopica.

 

Nel 2000 scopro una tra­smissione su Radio Radicale che mi interessa particolar­mente: è fatta benissimo, da Cinzia Caporale. Si occupa di bioetica. Ed ecco che si ria­pre il mondo! Cinzia è fissata sulla   discussione   della legge sulla fecondazione assistita (ancora non si chiama  «procreazio­ne»). Trovo l'ar­gomento poco attraente, mi chiedo   per quale moti­vo le don­ne  debba­no «volere un figlio a tutti i co­sti», faccio parte di quei gine­cologi che di fronte alla coppia sterile ti­rano fuori gli indirizzi utili,  dove inviarle. Ma piano piano comincio a capire.

 

Conosco Luca Coscioni. Il suo sguardo penetran­te, il suo viso simpatico e intelligente sono irresi­stibili. Maria Antonietta, i suoi genitori, sua sorel­la, perfino chi si occupa di lui nell'assistenza... sono tutti belli! Non mi vergogno di di­re che è lui che fa capire a me - ginecologa - il senso della battaglia sulla legge 40. Capi­sco quale insulto rappresenti la legge 40, sia per i medici che per i pazienti infertili, ma capisco anche l'al­tro senso, quello per cui «il ma­lato ha il diritto civile di avvalersi del progresso della ricerca scientifica affinchè il diritto alla salute, alla guarigione o comunque alla riduzione della sofferen­za, vengano rispettati e non violati da una legge-dogma di Stato che in nome della fe­de blocca, sbarra la libertà di fare ricerca, di scoprire il mondo della vita e della natura».

 

Ma Luca fa di più: al primo con­gresso costitutivo dell'associazione cui da il suo nome, nel dicembre 2002, mi chiede di entra­re a far parte della giunta. Il mio coinvolgimento è sancito, io voglio stare con lui, e con loro. Loro sono le persone nuove che si aggiun­gono ai miei radicali di sem­pre. E stavolta sono malati con storie incredibili di co­raggio, di dignità, di tenacia, di forza, dalle quali noi "sa­ni" veniamo  trascinati fino all'entusiasmo. Sono Severino Mingroni, Sabrina Di Giulio, Antonio Tessitore, Davide Cervellin, Alessan­dro Frezzato, Rosma Scuteri, e i tanti di cui non mi vengono i nomi. E loro sono anche i professori, i ricercatori, gli scienziati, i medici, gli avvo­cati e tutti quei professionisti che decidono di scendere in campo per far parte di que­sto organismo ibrido in nome della lotta per il rispetto del proprio lavoro e dell'amore per la ricerca scientifica. Un gruppo che sappia tradurre politicamente tutte queste aspirazioni, iscrivendosi nella tradizione delle battaglie ra­dicali. Mi trovo nuovamente a condividere un'esperienza che per me rappresenta la sintesi delle cose che sono la mia vita: la medicina e l'im­pegno militante per rendere sensate le leggi umane che regolano le nostre vite.

 

Ma ho ancora delle cose da capire. Nel 2006 scoppia il caso Welby. Ancora una volta, di fronte al tema euta­nasia, mi sento un po' a disa­gio. Non tanto nel compren­dere la richiesta di chi si tro­va nelle condizioni estreme e non più    sopportabili, quanto riguardo al ruolo del medico nell'accedere alla ri­chiesta. E ancora una volta, grazie alla formidabile bat­taglia di Piergiorgio, si dipana  la matassa della con­fusione,  del   pre­giudizio, della dif­fidenza. Ho la for­tuna di conoscere Piergiorgio nei suoi ultimi giorni. E Mina. E Mario Riccio. E  Ignazio  Marino. Grazie a loro tutta questa battaglia  ha  acquistato  ai miei occhi il suo senso. E de­vo dire che la folla dei fune­rali di Welby mi ha aperto gli occhi sul fatto che  c'è tanta gente che, quel senso, lo aveva capito bene.

 

Esistono cose di cui non si è particolarmente convin­ti, di cui si sente parlare sen­za provare nessun interesse fino al giorno in cui capita di viverle personalmente. È al­lora che si diventa capaci di capire, che l'atteggiamento mentale cambia e che si sco­pre il senso delle questioni che sembravano le più estra­nee a noi. Io oggi vorrei dire a chi legge di non aspettare troppo tempo per capire. Entrare nell'associazione Luca Coscioni può rappre­sentare una straordinaria opportunità di conoscere le persone che sono riuscite a fare delle proprie storie lo strumento per far capire agli altri. Quelle persone, a Salerno (dove si terrà il prossi­mo congresso dell'associa­zione, ndr), ci saranno. 

NOTE


ginecologa e membro di giunta dell'Associazione Luca Coscioni
Pubblichiamo questo articolo tratto da "Agenda Coscioni” mensile dell'Associane Luca Coscioni


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