Ho letto tutto il suo articoÂlo «Tipi italiani. Il tetraplegico nato tre volte scrive la sua vita con i denti». Una testimonianza preziosa di viÂta di una grande persona. Mi perÂmetta, però, di farle una critica su una sua domanda rivolta a SalÂvatore. La domanda è questa: «Ha seguito i casi di Luca Coscioni e di Piergiorgio Welby che hanÂno chiesto di morire perché non sopportavano la loro infermiÂtà ?». Queste sono parole che mi feriscono e offendono profondaÂmente la memoria di Luca e PierÂgiorgio che non hanno chiesto di morire perché «non sopportavano la loro infermità » ma hanno acÂcettato la loro morte come conclusione del loro ciclo di vita naturale.
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Mi spiego. Luca Coscioni professore ordinario di economia all'Università di Orvieto, si era ammalaÂto nel 1995 di sclerosi laterale amiotrofica, malattia che in pochi anni porta a una paralisi totale del corÂpo, incapacità di deglutire e infine alla paralisi dei muscoli che presiedono alÂla respirazione, con necesÂsità dell'uso di un ventilaÂtore automatico, previa tracheostomia, oltre a renÂdere muti. Luca, si iscrive e diventa presidente di RaÂdicali Italiani e il 20 setÂtembre 2002 fonda l'assoÂciazione che porta il suo nome. Il 20 febbraio 2006 muore, sempliÂcemente «accettando la sua morÂte naturale», nel peggior modo nelle sue condizioni: soffocato.
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A Piergiorgio Welby, copresidente dell'Associazione Luca Coscioni, nel 1962, appena sedicenÂne, era stata diagnosticata la diÂstrofia muscolare, malattia anÂch'essa invalidante con dei perÂcorsi spesso lunghi che fanno viÂvere al malato tutti i gradi di hanÂdicap fino alla insufficienza respiratoria. Piergiorgio nel 1997 aveva accettato il ventilatore autoÂmatico con tracheostomia. Nel 2006 sentì che le ultime risorse lo avevano abbandonato e chiese di staccargli il ventilatore dopo averlo sedato per non sentire il soffocamento e avere una morte serena.
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Negli anni di collaborazione nell'Associazione Luca Coscioni questi due uomini non si sono risparmiati, né si sono mai lamenÂtati della loro infermità . Noi dopo la loro morte abbiamo raccolto il testimone di una eredità impeÂgnativa: «Promuovere la libertà di cura e di ricerca scientifica, l'assistenza personale autogestiÂta e affermare i diritti umani, civiÂli (libertà di parola con strumenÂtazioni di comunicazione, libertà di lettura) e politici (di voto a doÂmicilio dei disabili intrasportabiÂli) delle persone malate e disabiÂli».
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Ecco il motivo per il mio profonÂdo risentimento. Le chiedo di preÂstare attenzione in futuro nell'esprimere nel modo corretto dei concetti così delicati.