Caro direttore, le confesso che la lunga intervista di Stefano Lorenzetto a Salvatore Conese, «Il tetraplegico nato tre volte scrive la sua vita con i denti» (Il Giornale, 3 febbraio), mi ha insieme turbata e commossa. Forse turbata è poco; sono anche indiÂgnata. Conese racconta di un inferÂmiere «sempre di pessimo umore» che lo tratta come «un burattino inanimato. Mi teneva legato nel letÂto perché non cadessi»; quando chiede assistenza, gli risponde di arrangiarsi, e un giorno gli scandiÂsce: «Tu devi crepare qui, bastarÂdo!». Per non dire dell'incredibile dinamica del tentato suicidio, da come emerge dal racconto dello stesso Conese.
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Immagino, spero, che l'ufficio stampa del ministero della Salute abbia segnalato al ministro Livia Turco l'intervista. Immagino, speÂro, che il ministro voglia e possa intervenire tempestivamente, per accertare le responsabilità di quanÂto viene denunciato.
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È anche avvilente che il padre di Conese abbia dovuto fare ricorso a quella che viene definita con un euÂfemismo «la risolutezza che viene dalla disperazione» per poter far entrare il figlio nell'ascensore conÂdominiale. Un episodio tutt'altro che isolato, temo. Un episodio che la dice lunga sul livello di attenzioÂne e cura che questo paese riserva, anche nelle apparenti «piccole» coÂse, ai tanti che sono inchiodati sulÂla sedia a rotelle e non sono comunÂque in grado di muoversi in autonoÂmia.
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Lorenzetto chiede a Conese cosa gli manchi di più; e lui risponde: «Una ragazza». Si solleva in queÂsto modo una questione che i più preferiscono ignorare: la problematicità  che certamente riveste il teÂma della sessualità e diÂsabilità che non deve esÂsere da una parte segreÂgata in un luogo di trinÂcea, dove a pagare sono sempre e solo i disabili; e dall'altra risolta con un «intervento tecnico specialistico»; come è accaduto ad un ragazzo di Oxford con una grave forma di distrofia muÂscolare «accontentato» nel desiderio di «fare sesso almeno una volta nella vita». Quello della sessualità è il riconosciÂmento di un diritto imÂprescindibile, di tutte le persone, che la società civile e politica non può permettersi di non ricoÂnoscere: è il diritto di vivere l'esperienza della conoscenza del proprio corpo, all'interno di una relazione o individualmente, nelle situazioni più complesse, atÂtraverso una educazione sessuale non repressiva. È compito delle istiÂtuzioni promuovere una politica di sostegno e di aiuto che consenta la piena e libera affermazione della persona. Oggi, troppo spesso, quel che viene fatto riguardo alla sesÂsualità è esattamente il contrario. Lorenzetto cita poi i casi di Piergiorgio Welby e di Luca Coscioni, mio marito, «che hanno chiesto di morire perché non sopportavano la loro infermità ». Posso capire la necessità di sintesi giornalistica, ma la questione è molto più complessa.
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Sia Luca che Piergiorgio sono staÂti dei militanti e dei dirigenti politiÂci del Partito Radicale e dell'AssoÂciazione Luca Coscioni e hanno lotÂtato con tutte le loro forze per conquistare diritti negati: «Dal corpo del malato al cuore della politica», era la loro parola d'ordine, uno slogan che era molto più di uno slogan. Significa: libertà di ricerca scientifica, in Italia negata per le imposizioni di chi vuole che sia reaÂto quello che considera peccato.
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Significa rispetto della volontà del paziente sia quando si chiama Salvatore Conese che decide cosa e come è meglio per la sua vita, non importa quale sia il sacrificio e il «prezzo» che la stessa richiede; o quando si chiama, si richiama quella di Luca e Piergiorgio, che sfiÂniti nella fase terminale della maÂlattia ma coscienti, manifestarono la volontà , il primo, di non subire e, il secondo, di non subire più, la ventilazione meccanica invasiva.
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Significa testamento biologico, una legge che tutti i paesi civili si sono dati, e che solo in Italia non si riesce a varare, bloccata da veti ideologici al Senato, e ora dalla criÂsi di governo.
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Quel «dal corpo del malato al cuore della politica» sarà il bariÂcentro del congresso dell'Associazione Luca Coscioni che dal 15 al 17 febbraio prossimi terremo a Salerno. Spero, caro direttore, che vorrà seguire i nostri lavori e darÂne informazione: affronteremo e dibatteremo temi e questioni che, ne sono certa, sono di interesse coÂmune, al di là delle opinioni che possiamo coltivare.
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A Conese auguro che il suo Il fioÂre dell'agave abbia fortuna, e tutta la forza e l'energia in questa sua lotta. Ma vorrei anche dirgli che la lotta diviene ancora più difficile, quando quella forza e quell'enerÂgia un malato sente di non averla più, e chiede di non essere condanÂnato a soffrire, e «resistere» suo malgrado.