Ora il genocidio ruandese, questa africana traÂversata del Male, i cenÂto giorni di follia sanguinaria, ci appare ancor più fondo, più scuro, più insopportaÂbile. Sì, il bilancio era di 800 mila morti, ma a Kigali un albergo era riÂmasto aperto, si chiamava «Hotel delle mille colline» e lì un uomo si era issato al di sopra di questo oceaÂno di ferocia. Un uomo comune, non un rambo o un martire, sempliceÂmente un impiegato cui la Sabena, proprietaria dell'hotel, aveva affidaÂto la gestione. Un uomo che aveva aperto le braccia mentre il mondo chiudeva gli occhi e con umile arseÂnale di furberie, bugie, santa corruÂzione, coraggio impavido aveva salÂvato 1200 rifugiati tutsi, donne vecÂchi bambini, dal massacro.
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Una goccia nel mare dell'orrore certo, ma questo Oskar Schindler africano riscattava gli idealisti, i puÂri, gli amici del genere umano. La viÂta aveva perso contro la morte in quei giorni ruandesi, ma la memoÂria, grazie a quell'uomo giusto, vinÂceva nella sua lotta contro il nulla. Paul Rusesabagina, questo il suo noÂme, faceva il tassista a Bruxelles quando Hollywood l'ha scoperto e trasformato, sembrava quasi suo malgrado, in eroe universale. «Hotel Rwanda», «un film che racconta una storia vera» interpretato magiÂstralmente da Don Cheadle, ha fatto versare lacrime a tutto il mondo, il suo successo ha innalzato a coscienÂza universale la deprecazione della macelleria di Kigali. E ha aiutato la catarsi dell'Occidente, che ha così cessato di battersi il petto per non aver visto e sentito in tempo.
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Son passati 14 anni, commossi anniversari sono stati celebrati, qualÂche colpevole è stato arrestato e giuÂdicato. Paul RuseÂsabagina è stato ricevuto due volte da Bush che gli ha consegnato il Presidential Medal Award, ha tenuto conferenze e scritto l'autobiografia «An ordinary man», classificata un po' frettolosamente tra i classici delÂla letteratura umanista.
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Alfred Ndahiro è un giornalista, consigliere di comunicazione del diÂscusso presidente ruandese Paul Kagame; Privat Rutazibwa è un univerÂsitario. Insieme, convinti che ci sia stata una negligenza verso la verità , hanno condotto un'indagine (divenÂtata un libro pubblicato in Francia da Harmattan) che con puntiglio implacaÂbile, quasi feroce, demolisce la leggenÂda dell'uomo che aveva creato un luoÂgo in cui la speranza potesse sopravviÂvere. Ne esce un ritratto capovolto, di un arrivista meschino che si faceva paÂgare dollaro su dollaro la sua pietà , che trafficava con i responsabili del massacro, che ha ascritto cinicamenÂte a suo merito le circostanze cui solÂtanto si deve la salÂvezza di quei 1200 tutsi. Il suo eroismo sarebbe stato subÂdolamente retroÂspettivo, una icona falsa costruita con l'aiuto del cinema americano. Restiamo, dunque, dopo averlo letto, nudi di fronte al versante atroce dell'umanità . «Bisogna dire la verità sulle vittime, sugli hutu onesti e su quelli che davveÂro si mostrarono eroici e non furono pochi - incalzano i due autori -. Una finÂzione, anche se ben interpretata, con attori eccellenti, non può, non deve faÂre di una menzogna una verità ».
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La controstoria dei due ruandesi deve esser letta con cautela, in Ruanda il diritto all'oblio non sembra esistere. Restano comunque, implacabili, i fatti e le testimonianze. Perché i due autori hanno interrogato i superstiti e coloro che lavoravano nell'albergo. Ciò che gli sceneggiatori di «Hotel Rwanda» non hanno fatto. Ebbene, nulla corrisponde alla «verità » descritÂta dal film. Due esempi. Micheline Uwicyeza, 19 anni allora, cercava aiuÂto con i suoi fratelli: «Abbiamo incontraÂto Rusesabagina alÂla reception, ci ha chiesto 80 dollari a persona, come agli altri che si trovavaÂno già lì. Ha aggiunto che se non avevaÂmo da pagare non ci avrebbe lasciati entrare perché aveva già abbastanza "inyenzi"", scarafaggi (lo spregiativo che gli hutu usavano per designare i tutsi) come noi. Quando è salito nella sua suite uno dei dipendenti dell'alberÂgo, si è impietosito e ci ha fatto scendeÂre di nascosto in cantina...».
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Alexis Vuningoma era invece il reÂsponsabile del ristorante: «Quando Rusesabagina ha preso in mano la siÂtuazione i rifugiati erano già là , richiaÂmati dal fatto che l'albergo era il quarÂtiere generale dell'Onu e lo si riteneva un posto sicuro. Non può sostenere di aver fatto entrare i fuggiaschi. Anzi, ci ordinò di far pagare il cibo le cameÂre e tutti i servizi. Un certo numero di amici suoi aveva diritto a tutto gratuiÂtamente, aveva addirittura compilato una lista». Perché allora i rifugiati delÂl'hotel si sono salvaÂti? Nell'albergo si trovavano funzionari dell'Onu e stranieri, che i registi del massacro temeÂvano come scomodi testimoni. E poi l'«Hotel delle mille colline» fu esibito nelle trattative coÂme la prova che i tutsi non erano stati massacrati. Quei disperati potevano servire anche come ostaggi per sfugÂgire alla vendetta delle milizie tutsi che si avvicinavano alla capitale. SoÂprattutto, al quinto piano era nascoÂsta una unità segreta di comunicazioÂni dell'esercito francese, il principale alleato del governo hutu.