Trovo assai istruttiva, quanto all'assurdità o peggio dei tempi, la polemica sul bando dei radicali da parte del Partito democratico. Un po' per lealtà , un po' perché se ne aspettavano molto meno che gli altri commensali (con quella formula pannelliana, i Capaci di tutto contro i BuoÂni a nulla) i radicali sono stati i più fedeli partecipi della vicenda del governo Prodi, e i meno inclini agli ultimatum e ai calcoli di botteguccia. Emma Bonino si è guadaÂgnata, come ogni volta che le venga affidaÂto un incarico di fiducia - come il soldato Nemecsek, pronto a immergersi nella vasca dei pesci rossi, se la consegna è quella - l'apprezzamento di tutti gli osservatori in buona fede. Ai radicali si deve in misura decisiva il più prestigioso dei rari meriti di cui il governo può andar fiero, il voto all'OÂnu per la moratoria sulla pena di morte. Ai radicali è stato fatto il torto evidente - e coÂme tale riconosciuto in pubblico da alcuni fra i più autorevoli giuristi, in privato da tutti - di sottrarre i seggi in Senato che la lettera della legge, cioè la legge, assegnava loro, capaci oltretutto di dare al governo quella infima maggioranza che ne avrebbe protratto l'esistenza. In una esperienza goÂvernativa lungo la quale le cose buone soÂno state realizzate non grazie ma nonostanÂte o contro la coalizione di governo, e la consumazione di una maggioranza si è bruÂciata fino alla mortificazione e al rigetto di un intero popolo, e l'opposizione è cresciuÂta come un pallone gonfiato senza prendeÂre alcuna iniziativa degna di memoria, e anzi dando prove intestine di meschinità madornale e sbandierando dalla prima ora fantastici proclami di illegittimità del risulÂtato elettorale, i radicali hanno fatto la loro parte costruttivamente facendosene un punto d'onore, come gli ultimi giapponesi di una guerra perduta. Nel corso di questa esperienza, e già alla sua vigilia, hanno amÂpiamente dissipato una rischiata confusioÂne fra l'americanismo, che rivendicano, e il bushismo, e fra il liberismo, che rivendicaÂno, e la legge della giungla. Vantando a raÂgione una estraneità ai vizi castali, e anzi una primogenitura nella denuncia della partitocrazia, si tengono alla larga dalla cresta d'onda demagogica, Hanno auspicato costantemente e vigorosamente indulto e amnistia, e non se ne sono pentiti ipocritaÂmente quando piovevano pietre forcaiole. Hanno sostenuto, con l'esempio della vita e della morte di militanti e dirigenti politici che dalla loro solidarietà hanno tratto e soprattutto dato forza, da Luca Coscioni a Piergiorgio Welby, battaglie tra le più esÂsenziali per una nobile idea della politica. Quanto all'aborto, solo una confusione fra la dolorosa libertà di scelta personale delÂle donne e l'infamia delle demografie coerÂcitive di stato può ricacciare su trincee opÂposte e accanite persone accomunate da un intimo amore per la vita. I radicali sono laiÂci, ma questo non dovrebbe guastare in nesÂsun partito, tanto meno nel Partito demoÂcratico. Qualcuno di loro sarà anche mangiapreti, ma i preti contemporanei hanno a loro volta appetito da vendere. Insomma, la mia opinione è che l'idiosincrasia per i raÂdicali sia una brutta malattia, che per giunÂta vede loro come ammalati dal cui contaÂgio guardarsi. Ora, in un serio partito che voglia fare da sé, ed essere davvero aperto, l'unico veto accettabile è quello contro chiunque voglia imporre veti alla parteciÂpazione altrui. I radicali non lo fanno. QueÂsta almeno è la mia opinione.
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