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E alla fine arriva il sì sofferto di Marco ma l’addio al simbolo tormenta il partito

• da La Repubblica del 22 febbraio 2008, pag. 9

di Goffredo De Marchis

Nell’estenuante riunione notturna a Via di Torre Argentina, Pannella ha taciuto per oltre quattro ore. Già questo è un segno di discontinuità. Ovviamente, si è riservato l’ultima parola, quella che conta, e alla fine ha detto sì all’intesa tra radicali e Partito democratico, rinunciando al simbolo ma incassando nove parlamentari, un eventuale ministro, rimborsi elettorali e presenze in tv. Prima però, mentre Pannella ascoltava, il suo partito ha messo in scena tutto il disagio di una decisione difficile. E che forse avrà degli strascichi nei prossimi giorni.

 

Ha parlato anche Sergio D’Elia, l’altra notte. D’Elia è deputato della Rosa nel pugno, ma anche ex terrorista di Prima linea che ha scontato la pena per intero e adesso è pienamente riabilitato. Su di lui, il Pd ha posto un veto invalicabile: lui, e la sua storia, non possono essere ricandidati. D’Elia, con il suo intervento, ha commosso i compagni perché in una comunità come quella radicale che vive di pane, politica e rapporti umani «i sentimenti hanno un ruolo fondamentale», dice la segretaria Rita Bernardini. Ha detto, D’Elia, che lo terrorizzava l’idea di rivivere i giorni che accompagnarono, nel 2006, la sua nomina a segretario della Camera: gli attacchi feroci sul suo passato, le pressioni psicologiche. «Sono pronto a lasciare per evitare tutto questo». Ma la Bernardini adesso dice che se rimane il no alla candidatura «di Marco e di D’Elia, leader della campagna contro la pena di morte, beh allora sì che i radicali s’incazzano».

 

C’è una parte dei radicali che avrebbe voluto andare da sola. Quanto grande e quanto influente lo scopriremo sabato e domenica al comitato nazionale convocato d’urgenza a Roma per ratificare le scelte dei vertici. Per il momento, sul campo ci sono i dubbi di Marco Cappato, segretario dell’Associazione Luca Coscioni: «Io continuo a pensare che ci sono dei rischi in questo accordo. Noi siamo i primi a volere un Partito democratico, ma che sia davvero aperto, libero. E questo è tutto da costruire». Sparirà un simbolo che negli ultimi decenni si è presentato sempre, sia alle politiche sia alle europee (ma non sempre ha avuto degli eletti). «Ma capisco benissimo perché Veltroni non l’abbia voluto - dice Massimo Bordin- . Il Pd punta a una percentuale molto alta. I radicali, con il loro logo, gli avrebbero tolto i voti». Bordin è il direttore di Radio radicale, il quotidiano conduttore della rassegna stampa mattutina "Stampa e regime" e interlocutore unico di Marco Pannella nelle conversazioni radiofoniche. Conosce benissimo il partito e soprattutto il suo leader. «Il travaglio dei militanti probabilmente c’è, la rivolta no. E non credo che l’accordo ci costerà molti voti - spiega- . Ma il futuro è aperto, secondo me: sarà un’ospitalità elettorale o qualcosa di più profondo? La risposta dipende da noi ma anche da Veltroni».

 

Oggi nessuno può garantire che dopo il 13 aprile i radicali confluiranno docilmente nel Partito democratico, così come ha promesso di fare Antonio Di Pietro. «Ma noi, proprio perché abbiamo accettato di non correre con il nostro simbolo, puntiamo a qualcosa di più duraturo di un’intesa elettorale», dice la Bernardini. Per Emma Bonino, che molti considerano la sostenitrice principale del patto con Veltroni, ci sarà un ministero in caso di vittoria e questo forse aiuterà il consolidamento del feeling. Insomma, alla fine i radicali si sono convinti che non si poteva dire di no, ma le battaglie radicali, anche quelle più scomode, non scompaiono. «Abbiamo una quantità di associazioni che continueranno a fare politica. Con le loro idee», avverte Cappato.


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