«Ammazza, ‘sto salmone non è «quello di una volta, è così grasso...». Non gli va mai bene niente, a Marco Pannella, nemmeno un povero tramezzino in una deserta buvette di Montecitorio. Però l’espressione degli occhi è quella radiosa di un bambino che l’ha appena fatta grossa. Battute su battute. Proviamo a metterla sul serio: «Allora, Pannella, è finita sul serio questo tormentone col Pd?». «Eeeh, finita... Macché finita! E sennò come facciamo a divertirci?». A Veltroni invece in questi giorni sembra andare bene tutto e ieri mattina era più che soddisfatto, chi gli ha parlato lo descrive come uno che ha tirato un sospiro di sollievo. Stamane il candidato premier vede Emma Bonino e non sarà un incontro formale tanto per apporre le firme su un protocollo d’intesa. L’accordo è fatto ma ora bisogna attuarlo. E non è la stessa cosa. Per farla breve, dopo l’okay radicale alla proposta del Pd (9 parlamentari, Bonino capolista e poi eventualmente ministro, 10 per cento di spazi tv della quota Pd, finanziamenti ai parlamentari radicali in proporzione al totale dei dem, cariche "apicali" nel gruppo e nelle strutture della camera), è partito un nuovo tormentone: chi, come e perché decide i nomi degli eletti? Nel lodo Bettini si fa riferimento al «gradimento di Walter Veltroni». Un modo para-giuridico per stroncare sul nascere i nomi di Marco Pannella e Sergio D’Elia. «Bettini glielo ha detto, con cortesia e fermezza: Pannella e D’Elia no. Questo i radicali lo sanno», racconta un membro dell’esecutivo Pd. E se il regolamento dei democratici prevede il divieto di candidatura per chi ha avuto una condanna in primo grado, figurarsi per uno che è stato condannato con sentenza definitiva (e per fatti gravissimi): norma alla mano, quindi, D’Elia, ex dirigente di Prima linea condannato a 25 anni (espiati), in seguito presidente di Nessuno tocchi Caino e attualmente deputato della Rnp, non è candidabile, e visto che «le regole valgono per tutti» (Veltroni ieri) il gioco è fatto. Ma siamo sicuri? Qualcuno potrebbe sostenere, per esempio, che chi ha espiato la propria colpa non più sub iudice e dunque potrebbe non ricadere nella tagliola del regolamento. O del codice etico.
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Come sostiene Pannella, in quel testo «c’è scritto che se uno ha compiuto un percorso di riabilitazione, come ha fatto il nostro D’Elia da 10 anni, può essere tranquillamente ricandidato. E invece loro fanno una deroga non a favore dell’imputato ma contro D’Elia per escluderlo. Vorrei capire che c’è di etico in questo». Ci sono da attendersi dotte dispute giuridiche? Ma - è il caso di dire - il problema è politico: è politicamente opportuno candidare D’Elia? Ed è politicamente opportuno, specie dopo il caso-De Mita, ricandidare Pannella? Antonello Soro lo esclude, secondo lui uri eventuale candidatura del leader radicale «contrasterebbe con il regolamento che abbiamo adottato»: troppe legislature alle spalle.
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Al loft l’impazienza cresce ogni minuto di più: «Glielo abbiamo detto chiaramente: prendere o lasciare. Se ora loro vogliono riaprire la questione devono sapere che si può anche richiudere...». Ma spiega Marco Cappato: «Abbiamo detto sì alla base dell’accordo, ora dobbiamo discutere insieme ‘a Veltroni i contenuti della campagna elettorale, i candidati...». Non è chiarissimo come si farà , fermo restando che nessuno mette in discussione il diritto del candidato premier di accettare (il «gradimento») i candidati nelle sue liste. I radicali di tutta la vicenda discuteranno presto, già domani; «Abbiamo convocato per sabato e domenica prossimi la riunione congiunta del comitato di radicali italiani e del consiglio generale dell’associazione Luca Coscioni». Veltroni al loft stamane farà alla sua autorevole interlocutrice un discorso semplice: abbiamo discusso pure troppo, se siete d’accordo finiamola qui. È l’auspicio del leader. Altri, nel Pd, prevedono che potrebbe andare a finire male.