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Non è ancora tutto deciso

• da Europa del 22 febbraio 2008, pag. 3

di Mario Lavia

«Ammazza, ‘sto salmone non è «quello di una volta, è così grasso...». Non gli va mai bene niente, a Marco Pannella, nemmeno un povero tramezzino in una deserta buvette di Montecitorio. Però l’espressione degli occhi è quella radiosa di un bambino che l’ha appena fatta grossa. Battute su battute. Proviamo a metterla sul serio: «Allora, Pannella, è finita sul serio questo tormentone col Pd?». «Eeeh, finita... Macché finita! E sennò come facciamo a divertirci?». A Veltroni invece in questi giorni sembra andare bene tutto e ieri mattina era più che soddisfatto, chi gli ha parlato lo descrive come uno che ha tirato un sospiro di sollievo. Stamane il candidato premier vede Emma Bonino e non sarà un incontro formale tanto per apporre le firme su un protocollo d’intesa. L’accordo è fatto ma ora bisogna attuarlo. E non è la stessa cosa. Per farla breve, dopo l’okay radicale alla proposta del Pd (9 parlamentari, Bonino capolista e poi eventualmente ministro, 10 per cento di spazi tv della quota Pd, finanziamenti ai parlamentari radicali in proporzione  al totale dei dem, cariche "apicali" nel gruppo e nelle strutture della camera), è partito un nuovo tormentone: chi, come e perché decide i nomi degli eletti? Nel lodo Bettini si fa riferimento al «gradimento di Walter Veltroni». Un modo para-giuridico per stroncare sul nascere i nomi di Marco Pannella e Sergio D’Elia. «Bettini glielo ha detto, con cortesia e fermezza: Pannella e D’Elia no. Questo i radicali lo sanno», racconta un membro dell’esecutivo Pd. E se il regolamento dei democratici prevede il divieto di candidatura per chi ha avuto una condanna in primo grado, figurarsi per uno che è stato condannato con sentenza definitiva (e per fatti gravissimi): norma alla mano, quindi, D’Elia, ex dirigente di Prima linea condannato a 25 anni (espiati), in seguito presidente di Nessuno tocchi Caino e attualmente deputato della Rnp, non è candidabile, e visto che «le regole valgono per tutti» (Veltroni ieri) il gioco è fatto. Ma siamo sicuri? Qualcuno potrebbe sostenere, per esempio, che chi ha espiato la propria colpa non più sub iudice e dunque potrebbe non ricadere nella tagliola del regolamento. O del codice etico.

 

Come sostiene Pannella, in quel testo «c’è scritto che se uno ha compiuto un percorso di riabilitazione, come ha fatto il nostro D’Elia da 10 anni, può essere tranquillamente ricandidato. E invece loro fanno una deroga non a favore dell’imputato ma contro D’Elia per escluderlo. Vorrei capire che c’è di etico in questo». Ci sono da attendersi dotte dispute giuridiche? Ma - è il caso di dire - il problema è politico: è politicamente opportuno candidare D’Elia? Ed è politicamente opportuno, specie dopo il caso-De Mita, ricandidare Pannella? Antonello Soro lo esclude, secondo lui uri eventuale candidatura del leader radicale «contrasterebbe con il regolamento che abbiamo adottato»: troppe legislature alle spalle.

 

Al loft l’impazienza cresce ogni minuto di più: «Glielo abbiamo detto chiaramente: prendere o lasciare. Se ora loro vogliono riaprire la questione devono sapere che si può anche richiudere...». Ma spiega Marco Cappato: «Abbiamo detto sì alla base dell’accordo, ora dobbiamo discutere insieme ‘a Veltroni i contenuti della campagna elettorale, i candidati...». Non è chiarissimo come si farà, fermo restando che nessuno mette in discussione il diritto del candidato premier di accettare (il «gradimento») i candidati nelle sue liste. I radicali di tutta la vicenda discuteranno presto, già domani; «Abbiamo convocato per sabato e domenica prossimi la riunione congiunta del comitato di radicali italiani e del consiglio generale dell’associazione Luca Coscioni». Veltroni al loft stamane farà alla sua autorevole interlocutrice un discorso semplice: abbiamo discusso pure troppo, se siete d’accordo finiamola qui. È l’auspicio del leader. Altri, nel Pd, prevedono che potrebbe andare a finire male.


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