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Azione penale, non facciamone un totem

• da L'Unitŕ del 1 luglio 2008, pag. 27

di Rita Bernardini * e Giuseppe Rossodivita**

Su l’UnitĂ  di domenica, l’amico Furio Colombo nell’ambito di un suo articolo titolato «Berlusconismo», scrivendo del Presidente del Consiglio e del ritorno ai toni "incattiviti" del suo primo Governo, delle leggi di utilitĂ  e convenienza personale, dell’attacco avanzato dal Premier ai suoi giudici di Milano, dell’informazione, la solita, disperante, del solito Bruno Vespa, autore di un eloquente articolo che sembrava piuttosto scritto dall’Avv. Ghedini, ha aperto il confronto con la proposta di legge costituzionale depositata dalla delegazione Radicale eletta con il Pd e relativa all’abolizione della cosiddetta obbligatorietĂ  dell’azione penale, dicendosi contrario seppur riconoscendo l’argomento come meritevole di attenzione e discussione. Proviamo ad iniziarla, allora, questa discussione, partendo proprio dal nucleo centrale del discorso di Furio Colombo, secondo il quale in questa Italia, in un Italia caratterizzata da un’emergenza democratica, l’obbligatorietĂ  dell’azione penale resta l’unica garanzia che potenti e prepotenti, soprattutto sul versante politico e di affari, non restino impuniti.

Si tratta, in effetti, della medesima considerazione che spinse i Costituenti ad approvare all’unanimitĂ  l’art. 112 della Costituzione che recita: «Il Pubblico Ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale», sul presupposto, poi rivelatosi clamorosamente sbagliato, che la norma avrebbe assicurato l’indiscriminata applicazione della legge penale nei confronti di tutti. La storia recente che i Costituenti si erano appena lasciati alle spalle può rendere comprensibile il loro entusiasmo e la conseguente unanimitĂ , posto che il principio, in termini del tutto astratti dalla realtĂ  delle cose e ove fosse applicato per regolamentare l’azione di un elaboratore elettronico, anzichĂ© di un uomo, sarebbe esente da critiche. La questione è, però, che il legislatore, nel porre regole e norme, non può prescindere dall’osservazione della realtĂ  che deve andare a disciplinare e nella nostra realtĂ , nella nostra storia, se è vero che da ultimo dobbiamo confrontarci con svariati anni di "Berlusconismo", è altrettanto vero che dobbiamo confrontarci anche con almeno cinque decenni in cui l’obbligatorietĂ  dell’azione penale ha dato, nei fatti, una pessima prova di sĂ©, talmente pessima che, difatti, non ha impedito al Paese di trovarsi, oggi, in quella condizione di emergenza democratica sulla cui analisi conveniamo.

Caro Furio, i potenti e prepotenti è da sessant’anni che sono impuniti (noi Radicali abbiamo un archivio straordinario di documenti per le nostre denunce sul e del "Caso Italia", sull’illegalitĂ  dell’informazione televisiva, vero cancro del Paese da ben prima dell’avvento di Berlusconi, sulle migliaia di firme false raccolte costantemente dai partiti politici per presentarsi alle elezioni, e altro ancora) con una aggravante, però, che una democrazia avanzata non può permettersi: l’assenza, sempre e comunque, di qualsiasi barlume di responsabilitĂ  (civile, professionale, disciplinare, politica) da parte di coloro che tutto questo hanno consentito. L’applicazione della legge penale nei confronti di tutti è un obiettivo irrealizzabile, allora occorre quanto meno garantire che nel momento dell’esercizio o del non esercizio dell’azione penale, vi sia un "qualcuno" che se ne assuma la responsabilitĂ . A fronte dell’enorme e ingestibile mole di notizie di reato, il potere di selezionare ciò che deve essere perseguito e ciò che non deve essere perseguito non può essere disgiunto da un’assunzione di responsabilitĂ , altrimenti diventa arbitrio. I meccanismi codicistici, interni al processo penale ed immaginati per arginare prassi elusive del principio dell’obbligatorietĂ  dell’esercizio dell’azione penale per il Pubblico Ministero (controllo giurisdizionale sulle richieste di archiviazione, avocazione delle indagini) mostrano, alla prova quotidiana dei fatti, un’indiscutibile e radicale inefficacia, mentre, all’esterno del processo, sono state sempre piĂą spesso giustificate deroghe di dubbia legittimitĂ  costituzionale, operate indirettamente ed irresponsabilmente da organi dotati di altre competenze o dal legislatore ordinario con strumenti del tutto inadeguati, come da ultimo, quello di emendamenti sospensivi di alcuni processi in corso, in base all’anzianitĂ  del "fatto-reato" ed alla pena edittale, attualmente in fase di approvazione in sede di conversione di decreti legge. Pur di non affrontare il "totem" dell’obbligatorietĂ  dell’azione penale nel corso degli anni si è politicamente tollerato il formarsi di "principi", in seno alla giurisprudenza del Consiglio Superiore della Magistratura (Sentenza del 20 giugno 1997 o ancora sul caso della Circolare del Procuratore Maddalena) che, sul presupposto per il quale la domanda di giustizia penale è superiore alla capacitĂ  degli uffici giudiziari di esaminare tutti i procedimenti pendenti, hanno sancito il diritto di cittadinanza nel sistema dei cosiddetti "criteri di prioritĂ ". Criteri di prioritĂ  determinati e stabiliti - senza che vi sia sul punto alcun esercizio di responsabilitĂ  - dal Procuratore della Repubblica o, in difetto, addirittura dal singolo Sostituto Procuratore; il tutto, a contrassegnare l’illegittimitĂ  di questa giurisprudenza consiliare, come è stato da piĂą parti autorevolmente rilevato, in totale assenza di un qualsiasi fondamento legislativo che attribuisca questo delicatissimo potere selettivo in capo al Pubblico Ministero: mero arbitrio, dunque. Occorre allora trovare soluzioni, magari nascoste nello stesso articolo 112 della Costituzione, ma occorre provarci, semmai proprio partendo dal dibattito dei Costituenti che prese avvio da un articolo proposto dal progetto Calamandrei che recitava «L’azione penale è pubblica e il Pubblico Ministero ha l’obbligo di esercitarla in conformitĂ  alla legge, senza poterne sospendere e ritardare l’esercizio per ragioni di convenienza». Solo il nucleo centrale della disposizione, come si può notare, fu trasfuso nell’attuale formulazione dell’art. 112 della Costituzione. Le preoccupazioni - tutt’altro che prive di significato e possibili conseguenze per il legislatore ordinario - si concentrarono infatti nel sopprimere il carattere pubblico dell’azione penale, che altrimenti avrebbe costituito in materia un monopolio del Pubblico Ministero a detrimento di eventuali possibili azioni penali sussidiarie esercitate da parte di altri soggetti, ed il divieto di sospensioni o ritardi. La consapevolezza del fatto che la via maestra della riforma costituzionale può essere particolarmente impervia non deve rappresentare un ostacolo, semmai deve far riflettere anche su possibili riforme da operare con legge ordinaria, il che sarebbe pur praticabile partendo da tre ordini di considerazioni che appaiono, sostanzialmente anche se non tutte unanimemente, condivise. La prima è quella per cui l’art. 112 Costituzione stabilisce che il Pubblico Ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale, ma non che l’azione penale è obbligatoria. La dottrina prevalente, così come la giurisprudenza della Corte Costituzionale (Sentenze nn. 22/1959; 114/1982) ammettono la possibilitĂ  di condizionamenti all’azione penale - il che è dimostrato dalla costituzionalmente legittima presenza nel sistema processuale delle diverse condizioni di procedibilitĂ  - ancorchĂ© l’ammissibilitĂ  di detti condizionamenti non è a sua volta riconosciuta come totalmente incondizionata. La seconda è quella per cui una discrezionalitĂ  ben indirizzata non sarebbe in contrasto neppure con l’art. 3 della Costituzione e sarebbe sicuramente piĂą rispettosa - garantita da una effettiva responsabilitĂ  politica da parte del titolare del potere di condizionamento dell’azione penale - del "dinamico" valore dell’eguaglianza piuttosto di una obbligatorietĂ  inutile perchĂ© arbitrariamente ed irresponsabilmente aggirata. La terza è quella per cui non essendo costituzionalmente previsto il monopolio del Pubblico Ministero nell’esercizio dell’azione penale, potrebbero essere immaginati correttivi che, come le azioni popolari, istituti di democrazia diretta che trovano fondamento nel principio della sovranitĂ  popolare, determinerebbero, con la base dell’art. 102 della Costituzione, una forma di partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia (in Spagna l’azione popolare è espressamente riconosciuta a livello Costituzionale - art. 125 - e la figura piĂą importante è proprio rappresentata dall’azione penale popolare). E chissĂ , forse proprio la possibilitĂ  di esercitare l’azione popolare in materia penale potrĂ  evitare, per il futuro, che potenti e prepotenti restino ancora impuniti. Di questo e altro parleremo, speriamo insieme a Furio Colombo, in un importante convegno internazionale di due giorni che stiamo organizzando per il prossimo 29 e 30 settembre come Gruppo Liberale del Pe, come Radicali Italiani e come Comitato Radicale per la Giustizia "P. Calamandrei".

 


NOTE


* deputata Radicale-PD, membro della Commissione Giustizia** Presidente del Comitato Radicale per la Giustizia “P. Calamandrei”


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