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Si può staccare la spina a Eluana (lei voleva così)

• da Il Riformista del 10 luglio 2008, pag. 5

di Alessandro Calvi

«Mia figlia sarà finalmente libera», dice il papà. Ma «non so ancora come quel momento potrà avvenire». Dirlo non è affatto facile anche per chi, come Beppino Englaro, per 16 anni si è battuto per ottenere ciò che la Corte di Appello civile di Milano ha stabilito ieri: Eluana Englaro, sua figlia, potrà morire. E con il via libera della giustizia italiana che ha autorizzato l’interruzione del trattamento di alimentazione forzata che tiene Eluana in vita da quando un incidente stradale la ridusse in stato vegetativo permanente.

 

Era il 18 gennaio del 1992. Eluana aveva vent’anni. Eluana, dice il padre, è morta allora. E da allora sono stati 16 anni - «6019 giorni», ripete il padre - di battaglie per «staccare la spina». Ieri, è infine arrivato il "sì". Ed è un "sì" al quale si potrà dare seguito immediatamente, anche se la procura potrebbe impugnare la decisione di ieri. «Andrò avanti per la strada che mi hanno indicato i giudici - ha spiegato il papà di Eluana - Ma la vicenda deve rientrare in una dimensione privata della famiglia». 

 

Sono, la vita e la morte di Eluana, fatti privati che, come tanti altri - come la vicenda di Piergiorgio Welby o quella di Giovanni Nuvoli e, ancora, quella di Luca Coscioni - diventano però anche fatti pubblici, fatti politici. E, come già in passato quando la vita e la morte sono state oggetto di pubblico dibattito, anche ieri la decisione del tribunale ha provocato un durissimo scontro. Da un lato, chi ha sostenuto questa decisione, osservando che ora viene a galla il vuoto legislativo che dovrebbe essere riempito dalla legge sul testamento biologico. Dall’altro, chi ha parlato - come l’associazione Scienza & Vita - di «condanna a morte» e «deriva culturale», sostenendo che sia stato raggiunto - ha osservato il genetista Bruno Dalla piccola - un «livello inaudito di crudeltà».

 

E’ un dibattito inevitabile, d’altra parte, non soltanto per la gravità del tema ma anche perché la sentenza è molto complessa, tutta da leggere. I giudici hanno dato un particolare rilievo a una circostanza: la stessa Eluana, prima dell’incidente e riferendosi a un suo amico entrato in coma, si era sostanzialmente espressa contro la possibilità di una sopravvivenza in stato vegetativo. Inoltre, secondo i giudici «ciascuno, anche se genericamente qualificabile come credente, o più specificamente come credente cattolico, è ben libero, tanto più in uno stato laico che tutela la libertà di coscienza come valore preminente, di condividere o meno, di applicare o meno, nella concretezza della sua esperienza di vita privata e individuale. E del resto è evidente che una professione di appartenenza, più o meno formale o generica, ad una certa confessione religiosa, non implica affatto anche la inesorabilità di una piena condivisione ed osservanza pratica, e in concreto, di tutte le relative regole, anche morali». «Eluana aveva una idea chiarissima della sua vita - ha detto il padre - Sinora è stata protetta da se stessa. Finalmente questa sentenza consente di decidere con lei». E ancora: «Quello di oggi è un precedente non ideologico».

 

Nel provvedimento sono contenute anche indicazioni su come procedere. "Disposizione accessorie cui attenersi in fase attuativa", è il titolo del paragrafo in cui si prescrive che «l’interruzione del trattamento di alimentazione e idratazione artificiale con sondino naso-gastrico, la sospensione dell’erogazione di presidi medici collaterali (antibiotici o antinfiammatori ecc.) o di altre procedure di assistenza strumentale avvengano in hospice o altro luogo di ricovero confacente». Prescrizioni ci sono anche sulla eventualità di proseguire la somministrazione di sedativi o altro e sulla necessità di un «adeguato e dignitoso accadimento accompagnatorio» della persona sino a che «la sua vita si prolungherà dopo la sospensione del trattamento e in modo da rendere sempre possibili le visite, la presenza e l’assistenza, almeno dei suoi più stretti familiari».

 

Si tratta, come è evidente, di una sentenza con cui in futuro si dovranno fare i conti, proprio come la precedente pronuncia della Cassazione con la quale la richiesta della famiglia di Eluana era stata rigettata ma che spiegava che «la vita è un valore supremo tutelato dalla Costituzione» e che la decisione di come vivere e come morire «va lasciata al diretto interessato e non può essere gestita da altri», evidenziando sostanzialmente la necessità di una legge che riempisse il vuoto creato dalla impossibilità per Eluana di pronunciarsi. Una legge, in buona sostanza, sul testamento biologico. Proprio quella che Ignazio Marino, senatore del Pd che nella scorsa legislatura si era battuto per questa legge, è tomato a chiedere. Insieme a lui, Mina Welby, vedova di Piergiorgio, che rivolta al papà di Eluan a ha aggiunto: «spero che ora riesca finalmente a elaborare il suo lutto dopo tanti anni». Di «decisione di buon senso» ha parlato invece Marco Cappato, segretario della associazione Luca Coscioni, mentre il legale della famiglia Englaro, Vittorio Angiolini, ha sostenuto che la sentenza milanese «non si presta ad alcun rischio di deriva eutanasica o di polemiche».

 

Opposta la posizione di monsignor Rino Fisichella, presidente della Pontificia accademia per la vita, che ha definito la decisione dei giudici «di fatto un’azione di eutanasia» di fronte alla quale ha espresso «tristezza» e un «profondo stupore». Altrettanto netto Alfredo Mantovano. «La sentenza della Corte di Cassazione e la decisione della Corte d’Appello - ha detto il sottosegretario all’Interno - hanno scavalcato il Parlamento ed aperto una via, certamente dal punto di vista della struttura sanitaria più comoda e meno costosa: la soppressione del paziente».

 

Ma naturalmente il dibattito è solo all’inizio.



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