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"Io, malata come Welby deciderò sulla mia vita"

• da La Repubblica del 11 luglio 2008, pag. 7

di Caterina Pasolini

«Io sono libera anche su questa sedia a rotelle, con le gambe che non ne vogliono più saperne di camminare, col respiro che un giorno comincerà a mancare. Sono libera e voglio restarlo, voglio una legge sul testamento biologico che mi assicuri che sarò io a decidere che fare quando diventerà insopportabile questa vita che amo nonostante tutti i limiti. Perché io ho la stessa malattia di Welby, la distrofia muscolare che blocca giorno dopo giorno tutti i muscoli, e come lui voglio decidere come e se curarmi. Se accettare che un domani mi buchino la gola per respirare, che mi attacchino ad una macchina che gonfi i polmoni oppure no e chiuderla lì».

 

Elisabetta Giromella ha 56 anni portati con grinta e passione, dosi massicce di spirito polemico «sa sono toscana e il sangue non è acqua» e gocce di ironia che punteggiano il racconto di una vita difficile vissuta intensamente. Niente pietismi mentre, capelli lunghi scuri che le incorniciano il volto magro, si racconta ragazzina ferita e rabbiosa per la malattia che a 12 anni la colpisce, i «giorni in cui anche scrivere sulla lavagna diventa una fatica» perché le braccia sono all’improvviso senza forze.

 

Come si è sentita?  «Vittima di un’ingiustizia, ero adolescente, difficile capire una malattia che neanche si sapeva come andava a finire, ma non ho smesso di lottare, ho studiato, ho fatto una vita normale fino a quando ho potuto. Insegnando alle elementari, lavorando as cuola. Niente matrimonio, non me la sono sentita di impegnare qualcuno conoscendo il mio destino, ma non mi sono privata di nulla. Amore compreso». 

 

Da 15 anni sulla sedia a rotelle.

«Sì e la malattia va avanti, mica mi aspetta. Io però non mi fermo anche se ovviamente non ho potuto fare, come sognavo, la paleontologa. Mi occupo di handicappati, di eliminare le barriere architettoniche, del progetto della regione Toscana che destina fondi per dare una vita autonoma e indipendente alle persone come me oltre ad impegnarmi con l’associazione Coscioni. Perché la storia di Luca o Piergiorgio è come la mia, perché la voglia, il diritto di decidere del proprio destino è la stessa. Perché la costituzione dice che non posso essere obbligata a subire cure che non voglio».

 

È religiosa?

«Credo in qualcosa che regoli il tutto anche se non sono cattolica in senso stretto. Credo nella libertà, nella vita, ma l’esistenza deve essere degna di essere vissuta e questo lo può decidere solo chi soffre, chi è malato, non altri. Per questo sono a favore al testamento biologico, le mie volontà su carta nel caso in cui un giorno non abbia fiato e voce per dirle ai medici». 

 

Come giudica la sentenza su Eluana?

«Lei aveva detto a suo padre che una vita così non l’avrebbe sopportata e la capisco. C’è voluto un tribunale e sedici anni perché rispettassero le sue volontà».

 

E a chi dice che nessuno può decidere sulla vita?

«Rispondo che ognuno è libero di fare quello che vuole: soffrire, farsi curare o no, lasciare un testamento o evitare. Il punto è tutto lì: la libertà sulla propria vita che è un diritto personale, non cedibile».



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