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La Cei: curare sempre Ma sul caso Englaro c’è la fronda cattolica

• da Libero del 15 ottobre 2008, pag. 14

di Caterina Maniaci

La vita umana è un bene inviolabile e indisponibile e non può mai essere legittimato e favorito l’abbandono delle cure, come pure ovviamente l’accanimento terapeutico. La Cei ha ribadito ieri il concetto con forza, sgombrando il campo da ogni equivoco e rivolgendosi, indirettamente, a quanti, negli ultimi tempi, hanno prospettato "aperture" della Chiesa nei confronti del testamento biologico, o comunque rispetto al tema dell’eutanasia. Come è avvenuto da parte del cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano, che qualche giorno fa è intervenuto sul caso di Eluana Englaro.

 

In particolare, riferendosi alle trasfusioni che famiglia e sanitari concordano di non praticare a Eluana, ha dichiarato che devono essere i medici a decidere. Proprio mentre questa vicenda continua a suscitare dibattiti e polemiche e il Parlamento esamina un disegno di legge sulle «dichiarazioni anticipate di trattamento», la Conferenza episcopale italiana tiene a ricordare, in un messaggio stilato in occasione della trentunesima Giornata nazionale per la vita (1 febbraio 2009), la propria posizione sul tema degli "stati di sofferenza" irreversibili.

 

IL RICHIAMO DELLA CEI

«C’è chi», si legge nel messaggio del Consiglio episcopale permanente, «vorrebbe rispondere a stati permanenti di sofferenza, reali o asseriti, reclamando forme più o meno esplicite di eutanasia. Vogliamo ribadire con serenità, ma anche con chiarezza, che si tratta di risposte false: la vita umana è un bene inviolabile e indisponibile, e non può mai essere legittimato e favorito l’abbandono delle cure, come pure ovviamente l’accanimento terapeutico, quando vengono meno ragionevoli prospettive di guarigione». La strada da percorrere, in conclusione, «è quella della ricerca, che ci spinge a moltiplicare gli sforzi per combattere e vincere le patologie -anche le più difficili – e a non abbandonare mai la speranza».

 

Nel messaggio, intitolato significativamente "La forza della vita nella sofferenza", la Cei affronta diversi temi di bioetica. I vescovi ribadiscono il loro favore nei confronti delle cure palliative, fanno appello a non abbandonare i malati e tornano a esprimere il no nei confronti dell’aborto.

 

Ma c’è, dentro la Chiesa stessa, chi prende posizioni diverse. Come quelle del cardinale Tettamanzi e, anzi, si spinge anche più in là. E il caso di don Goffredo Crema, di Cremona, 74 anni, cappellano dell’azienda «Cremona-solidale». Il sacerdote è uno dei 267 cattolici che hanno firmato un documento-appello per chiedere che venga sospesa l’alimentazione artificiale a Eluana, documento che contiene una forte critica nei confronti dei vertici ecclesiastici e della loro presa di posizione rispetto alla questione.

 

In un’intervista al quotidiano Il Giorno, don Crema spiega le sue posizioni sostenendo addirittura che «se la vita è un dono, io posso anche rifiutarlo. Se la vita è un giogo, un peso, una realtà triste, io la posso rifiutare». Il sacerdote, tra l’altro, appoggia decisamente le dichiarazioni dell’arcivescovo di Milano, definendolo «un moralista nel senso positivo, alto», le cui parole «si discostano un po’ dalla linea di Roma, anche se Roma si è aperta, per esempio, sulla questione del testamento biologico».

 

Del resto, nella diocesi lombarda sono molti ad avere una posizione «un po’ discostata» rispetto al Vaticano. Anche don Gino Rigoldi, fondatore della "Comunità Nuova", associazione di cui don Rigoldi è presidente e che ha come scopo l’inserimento sociale dei ragazzi usciti dalla detenzione. O don Virginio Colmegna, presidente della Casa della Carità, molto apprezzato dalla sinistra radicale.

 

Tornando al messaggio dei vescovi, la Cei, prima ostile ad una legge sulla fine della vita, ha poi mostrato un atteggiamento più interlocutorio, nel corso dell’estate, dopo una sentenza dei tribunale di Milano sul caso di Eluana Englaro. I giudici hanno accettato la richiesta del padre di staccare la spina della giovane donna e i vescovi italiani hanno capito che, con l’attuale silenzio legislativo, la prospettiva dell’eutanasia poteva essere più concreta. La magistratura, anzi, aveva campo libero per incursioni su questo terreno tanto delicato. I vertici della Chiesa hanno allora iniziato a svolgere una defilata opera di convincimento dei parlamentari cattolici di entrambi gli schieramenti per arrivare, pragmaticamente, ad una legislazione che escluda però la "dolce morte" o qualsiasi principio di "autodeterminazione".

 

LEGGE SÌ O NO

Il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, ha parlato, di recente, di una legge che, «riconoscendo valore legale a dichiarazioni inequivocabili, rese in forma certa ed esplicita», dal paziente, «dia nello stesso tempo tutte le garanzie sulla presa in carico dell’ammalato, e sul rapporto fiduciario tra lo stesso e il medico».

 

«Preferisco non parlare di testamento biologico ma di fine vita, perché la vita non è a disposizione di nessuno», ha aggiunto monsignor Giuseppe Betori. E ora arriva il messaggio del Consiglio permanente dei vescovi italiani. «Per tutta risposta alle ingiustificate strumentalizzazioni di questi ultimi tempi sulle presunte aperture della Chiesa in materia di testamento biologico e di eutanasia, la Cei fa piena ed inequivocabile chiarezza», afferma Isabella Bertolini (Pdl). Plaudono al messaggio della Cei anche Rocco Buttiglione, Luca Volonté (Udc) e Alfredo Mantovano (PdL). Critica, invece, l’associazione Luca Coscioni, vicina ai radicali.

 

 



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