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La giustizia e la politica litigano pure su Eluana

• da Il Riformista del 18 dicembre 2008, pag. 9

di Alessandro Calvi

Primo: «Il decreto è definitivo»; firmato: Filippo Lamanna, giudi­ce della corte di appello di Milano. Secondo: «Eluana arriverà presto a Udine»; firmato: Claudio Riccobon, amministratore delegato della ca­sa di cura che dovrebbe accogliere la ragazza. Terzo: l'atto di indiriz­zo del ministro Sacconi secondo il quale non è possibile interrompe­re nutrizione e idratazione nelle strutture pubbliche e private, «non è vincolante» e «manca dei più elementari requisiti formali»; firmato: i legali di Beppino Englaro.

È una risposta chiarissima quella inviata ieri al governo dagli avvocati di famiglia della ragazza da 17 anni in stato vegetativo persistente, dal giudice che scrisse il decreto che autorizzava l'interruzione della nutrizione e della idratazione, e dalla clinica "Città di Udine" nella quale si sarebbe dovuto dar corso a quel decreto. «La situazione di diritto è uguale a prima dell'intervento del ministro», ha spiegato l'avvocato Vittorio Angiolini. La lettera di Sac­coni è «un atto diversivo», «non vincolante e senza prescrizione di obblighi o doveri per le Regioni». Non c'è bisogno di «alcuna impugnativa» perché non può produrre effètti giuridici sulla esecuzione dei pronunciamenti della magistratura a proposito dell'in­terruzione dei trattamenti a Eluana, spiegano rassicurando i sanitari.

 

Quella lettera, ha detto ancora Angiolini, non è stata «neppure pubblicata in forma ufficiale e soprattutto sottoscritta dal ministro in carenza di qualunque base legislativa attributiva di corrispondente po­tere, non è perciò atto amministrativo vincolante, mancando al ri­guardo anche dei più elementari requisiti formali». «Il decreto - ha detto da parte sua Filippo Lamanna - non ha bisogno di alcuna ulteriore certificazione di esecutività». Il ministero, hanno concluso i legali, «non ha potere sull'accreditamento». Ma questa era una risposta alle esternazioni di ieri del ministro che aveva avvertito: «Comportamen­ti difformi da quei principi determinerebbero inadempienza, con le conseguenze probabilmente immaginabili».

 

Nel frattempo riesplodeva lo scontro politico. Benedetto Della Vedova (Pdl), lanciava un allarme sul rischio che il nuovo partito vo­luto da Berlusconi nasca «su posizioni confessionali», e nel frattem­po si assisteva a un curioso testacoda tra Fabrizio Cicchitto, schiera­to in difesa di Sacconi, e Rosy Bindi, che invece parlava di «propa­ganda»; ovvero tra un vecchio socialista finito su posizioni «confes­sionali» — come aveva appena detto il suo compagno di partito Della Vedova - e una cattolica finita su posizioni laicoliberali. E, mentre l'As­sociazione Luca Coscioni chiedeva l'intervento del Capo dello Sta­to, proprio davanti a Giorgio Napolitano interveniva il presidente del Senato Renato Schifani per dire che sembra «maturo il tempo per una compiuta discussione in sede parlamentare» sul fine-vita, spiegando che il problema è quello del rispetto della persona e della sua autono­mia. «Un messaggio di speranza a favore della vita», chiosavano dal Pd Paola Binetti e Emanuela Baio. Ma l'Anm chie­deva di «rispettare le decisioni dei giudici».

 

Tutta questa storia dovrà tornare ad essere una storia privata: quella di una sfortunata ragazza la cui vita si è interrotta 17 anni fa per un incidente stra­dale. Lo chiede da tempo Beppino Englaro. Ieri i suoi legali hanno detto che eventuali trasferimenti di Eluana non saranno più annunciati alla stampa. Si­lenzio, dunque. Ma la realtà, per ora, è quella di uno scontro che ha finito per coinvolgere i livelli istitu­zionali più alti. Beppino, invece, continua a prefe­rire il silenzio. «Ora via da questo inferno», erano state le sue prime e uniche parole quando la Cassazione dichiarò inam­missibile il ricorso della procura generale milanese contro la decisio­ne della corte di appello di autorizzare l'interruzione della nutrizione. Ora, però, all'inferno sembra che stiano provando a rispedircelo.

 

Come già era accaduto in passato, è ancora una volta la politica a provare a mettersi di traverso tra un giudice e l'esecuzione della sen­tenza da esso pronunciata. Oggi come ieri. Già la Consulta diede uno schiaffo al Parlamento che aveva sollevato un conflitto tra poteri dello Stato con la Cassazione sul caso Englaro. Ora ci prova il governo.

 



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