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Madre col seme del marito in coma

• da Secolo XIX del 17 febbraio 2009, pag. 7

di Renzo Parodi

Una donna di Vigevano ha chiesto all`ospedale San Matteo di Pavia di prelevare gli spermatozoi del marito, in coma a causa di un gravissimo tumore al cervello in fase terminale e di utilizzarli per farle avere un figlio, attraverso il ricorso alla tecnica della fecondazione assistita. I medici dei San Matteo hanno inoltrato la richiesta all`ospedale di Padova, dove esiste un Centro di Crioconservazione dei gameti maschili. «In relazione alla disponibilità ad effettuare il prelievo di liquido seminale del paziente ricoverato presso la struttura di Rianimazione della Fondazione Irccs Policlinico San Matteo di Pavia - si legge in una nota dello stesso ospedale pavese questa Direzione ha autorizzato la suddetta Azienda ad effettuare la procedura... con una propria équipe, in piena autonomia, nel rispetto delle norme vigenti in materia». Interpellata dal Secolo XIX, la direzione sanitaria del San Matteo ha replicato con un secco no comment, rimandando a quanto è apparso nel comunicato ufficiale di cui sopra. La vicenda arriva a pochi giorni dal caso di Eluana Englaro e secondo una scuola di pensiero alquanto diffusa replica in qualche modo i temi oggetto di dibattiti, e purtroppo anche di rissa politica, che si erano accesi attorno alla vicenda della sventurata donna. In questo caso tuttavia - a differenza del testamento biologico - una legge esiste, è la n° 40 del 2004, che regola le procedure della fecondazione assistita. In particolare la legge restringe l`accesso alla fecondazione assistita alla coppia eterosessuale con problemi di sterilità, in grado di esprimere un consenso va- lido. Non ricorrendo queste circostanze la signora si è rivolta al tribunale di Pavia,che ha nominato un amministratore di sostegno, nella persona del padre del marito di lei. Queste notizie compaiono nella ricostruzione fornita dalla direzione del San Matteo, ospedale il cui centro di procreazione assistita è sprovvisto delle attrezzature e nonché delle autorizzazioni alla conservazione del liquido seminale. La situazione si è sbloccata sulla base, evidentemente, di un presunto consenso dell`uomo a subire il prelievo del liquido seminale. In se stesso l`intervento non presenta difficoltà tecniche particolari. Dice il professor Aldo Franco Derose, andrologo genovese del San Martino: «L`intervento chirurgico si realizza in anestesia locale, il liquido seminale viene aspirato con una siringa e messo a coltura. Con l`aiuto di un microscopio speciale si provvede a isolare gli spermatozoi che vengono inseriti nell`ovulo prelevato dall`utero della donna, alla quale viene reimpiantato al termine dell`intervento. La percentuale di successo (ossia di portare a termine al gravidanza) di questa tecnica di fecondazione assistita di secondo grado si aggira sul 25%-30%». In altre prove, tre tentativi su quattro hanno dato esito infausto. Non avalla affatto questa particolare versione della fecondazione assistita monsignor Rino Fisichella, presidente della Pontificia Accademia della vita: «Non bisogna violentare la natura... un figlio deve sempre essere un atto d`amore, non un esperimento di laboratorio», ha detto il prelato, durante una lectio magistralis su Santa Francesca Cabrini. «Pur con molta comprensione per chi vive queste situazioni, ogni desiderio non è legittimo». Dubbi hanno espresso sia Francesco D`Agostino, presidente onorario del Comitato Nazionale di Bioetica, che il vicepresidente, Lorenzo D`Avack. Secondo D`Agostino «dal punto di vista giuridico la ricostruzione della volontà, quando riguarda decisioni di rilievo personale e familiare, si configura estremamente pericolosa. E invece dovrebbe essere sempre accertata e verificata». D`Agostino si spinge a definire «un desiderio necrofilo» la decisione della donna pavese di essere fecondata dal seme del marito in coma e condannato alla morte. «La richiesta della donna sottolinea invece come lei stessa abbia bisogno di sostegno psicologico per voltare le spalle alla morte». D`Avack ricorda che la legge 40 «presuppone che le tecniche per ottenere una gravidanza siano eseguite con il consenso di entrambi i futuri genitori. I presupposti del consenso accordato nel caso specifico appaiono fortemente infondati». Incline al no persino Filomena Gallo, presidente dell`Associazione Amica Cicogna e vicesegretario dell`Associazione Luca Coscioni: «Nel caso Englaro non esisteva legge in materia, a regolare la vicenda della donna di Vigevano c`è la legge 40 del 2004. Se esiste una norma, questa va rispettata e il testo di legge stabilisce che per accedere alle tecniche della fecondazione assistita sia necessario il requisito della sterilità, e per applicarle serve un consenso scritto di entrambi i genitori, reso almeno sette giorni prima dell`inizio del trattamento».



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