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Biotestamento, l'impegno di Fini

• da il Campanile del 24 settembre 2009, pag. 4/5

di Lea Vendramel

L’imminente dibattito parlamentare sul testamento biologico si svolgerà «nel doveroso rispetto del diritto di ogni deputato ad esprimersi secondo coscienza». Parola del presidente della Camera, Gianfranco Fini, che ha ribadito la sua posizione favorevole alla libertà di coscienza nel corso di un incontro svoltosi ieri alla Camera con le delegazioni delle associazioni Luca Coscioni, composta da Marco Cappato, Mina Welby, Ernesto Ruffini, Simonetta Dezi e Rocco Berardo, e "A buon diritto", rappresentata dal presidente, Luigi Manconi. L’incontro era stato chiesto dalle due associazioni per consegnare al presidente della Camera un dischetto contenente 3.300 testamenti biologici raccolti on line in questi mesi e il libro "Lasciatemi morire" di Piergiorgio Welby, consegnato a Fini dalla moglie Mina. Fini ha assicurato di auspicare che il dibattito sul biotestamento si sviluppi «in un clima di pacatezza, scevro da ogni pregiudizio». Concetti che aveva già espresso alcune settimane fa in occasione della Festa nazionale del Pd, quando si era detto possibilista sull’eventualità di modificare il provvedimento sul testamento biologico, approvato dal Senato e ora approdato alla Camera. Le sue parole avevano scatenato dissensi e perplessità tra le file della maggioranza, ma ora sembrano trovare un sostegno proprio all’interno del Pdl. Con una lettera indirizzata al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, infatti, venti deputati del Pdl hanno chiesto al governo di cambiare strada e approfondire la discussione prima di arrivare all’approvazione definitiva della legge sul fine vita. L’iniziativa è stata promossa dal vice ministro allo Sviluppo economico, Adolfo Urso, e da Benedetto Della Vedova. «L’iper-regolamentazione giuridica del fine vita non contrasta solo con il senso di giustizia, ma con il senso di realtà - scrivono i venti onorevoli - l’infinita e drammatica casistica materiale e morale che emerge nelle relazioni di cura non può essere infilata a forza in una legge fatta di norme astratte e generali». I venti chiedono di approdare a «una soft law che ribadisca con chiarezza il no all’eutanasia e all’accanimento terapeutico, e che per il resto istituisca una sorta di riserva deontologica sulla materia del fine vita, demandando al rapporto tra i pazienti, i loro familiari e fiduciari e i medici la decisione in ordine a ogni scelta di cura». Non si tratta, però, di una presa di distanza dal partito, perché, come assicura il ministro dell’Attuazione del programma, Gianfranco Rotondi, «sul biotestamento il Pdl è unito». Ma la lettera, ammette Rotondi,  «marca l’esigenza di una sintesi tra laici e cattolici, con esiti magari più liberali, ma dentro lo schema valoriale del partito». Una lettera importante anche per il democratico Ermete Realacci, convinto che crei «le premesse per un dibatto di merito alla Carnera, una discussione non bloccata su posizioni ideologiche o propagandistiche in grado di produrre un serio cambiamento del testo uscito dal Senato». Del resto, nemmeno tra le file del Pd la posizione è univoca. «Fino a poco tempo fa - spiega il segretario Dario Franceschini in un colloquio con "L’Espresso"- su questi temi c’era solo la libertà di coscienza, in pratica significava che ognuno votava come voleva», ma «ora i tempi sono maturi per un passo ulteriore: il Pd deve discutere, poi però deve decidere. La posizione del partito è una. Poi si rispetterà chi, in coscienza, laico o cattolico che sia, non si sentirà di condividerla», Per quanto riguarda, invece, il ruolo della Chiesa, per Franceschini ha tutto il diritto di intervenire, ma «non può dire a un parlamentare come deve votare: è una scelta che appartiene all’autonomia del politico». E oltre che sul biotestamenta, il Pd deve arrivare ad una posizione comune anche sull’indagine conoscitiva sulla Ru486.



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